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Abruzzo

Abruzzo

Gli inglesi dicono che somiglia al Culmberland, gli austriaci al Salzkammergut, gli scozzesi alle Highlands. Tutti confrontano l’Abruzzo con i loro “angoli” più belli e selvaggi. Una terra dove la qualità della vita la raccontano i numeri: meno di 1.200.000 abitanti distribuiti su 10.700 kmq di superficie e in 305 comuni suddivisi in quattro province – con una densità che oscilla dai 57 abitanti del capoluogo L’Aquila, ai 255 della costiera Pescara – e coperta al 70% da parchi e aree protette.

L’arrivo in Abruzzo si avverte tramite un senso di spazio che si spalanca all’improvviso, dilatato e sorprendente. Si assottiglia il flusso del traffico, deflagra il silenzio davanti a un amplissimo sipario di monti, valli e altopiani lunari che digradano fino al litorale, che fila liscio per decine e decine di chilometri, ininterrottamente dalla foce del Tronto a quella del Sangro, avvalorando l’idea di una terra che va a incontrare il suo mare in forma piana, sabbiosa. Anche quando, lungo la Costa dei Trabocchi, fa convergere lo sguardo sui profili “aerei” e sottili dei tradizionali pontili per la pesca. Sennonché, alle spalle, ecco appunto che svettano all’orizzonte le cime più alte dell’Appennino, tra cui giganteggiano aspri il Gran Sasso, la Majella e le tante vette oltre i 2.000 metri del Parco Nazionale d’Abruzzo, habitat dell’orso marsicano, del lupo e dell’aquila reale. Veri paradisi per gli appassionati di trekking e ogni forma di outdoor, sci compreso, perché qui l’inverno imbianca tutto facendo da richiamo come fossero né più né meno che le Dolomiti, o quasi, ma a un’altra latitudine.

Anche i nomi delle città rispecchiano tra loro questo contrasto mare/monti, ognuna fiera del suo carattere. Accanto alle località in cui si cita il mare – Francavilla a Mare, Silvi Marina, Vasto Marina e così via – accanto a nomi salmastri come la pulsante Pescara, si ergono le tante rocche nell’entroterra montuoso: Roccaraso, Roccapia, Roccacaramanico… Fino a Rocca Calascio, onirico set di tanti film.

Per la sua posizione mediana, nel cuore dell’Italia, l’Abruzzo è sempre stato un crogiuolo di gentes: terra picena, vestina, marrucina, peligna, marsa, sannitica al tempo dell’impero romano, ma dopo il crollo di questo imbevutasi del teutonismo dei Longobardi. Di cui rimane traccia negli occhi e nei capelli chiarissimi dei montanari, nei nomi gutturali incisi sugli antichi sarcofagi e soprattutto, ancora una volta, nella toponomastica. Patria di grandi abati, d’espansione per ordini e congregazioni monastiche, dai benedettini ai francescani, la zona più a nord del vicereame di Napoli (poi Regno delle Due Sicilie), e al confine con la Marca Pontificia.

Ci sono vestigia romane, musei pieni di tesori ancora sconosciuti, imponenti cicli di affreschi medievali, un’irripetibile tradizione orafa del Tre-Quattrocento, una magnifica architettura medievale e rinascimentale. Cultura ce n’è tanta, ovunque, sedimentatasi nel corso dei secoli. Qui si trova Amiternum, antica città italica fondata dai Sabini, dove nacque lo storico Sallustio, Qui si trova la Sulmo patria del poeta Ovidio. Qui nacquero giuristi e filosofi da Marino da Caramanico a Benedetto Croce, oltre a papi, santi, condottieri e umanisti, e a personalità politiche e storiche delle quali sarebbe arduo dar conto. Ci limiteremo a tre nomi su tutti: Gabriele d’Annunzio. Ignazio Silone ed Ennio Flaiano, ciascuno a suo modo Maestro nell’interpretare lo spirito indomito e mai fiaccato della versione moderna di quelle antiche gentes, autoctone o di passaggio che fossero.

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Pietracamela

Pietracamela, Abruzzo

49 elementi Cosa fare e vedere

  • Borgo

Pietracamela

Pietracamela, Abruzzo

Il nome

Petra Cumerii e Pietra Cameria sono stati i primi nomi del paese. La prima parte del nome deriva da Preta, che in paleo-italico indica il masso (roccia, pietra) sul quale è costruito il borgo. Misteriosa la seconda parte, che può riferirsi alla roccia a forma di gobba di cammello che si scorge dal paese, come all’invasione dei Cimerii provenienti da Oriente (Petra Cimmeria) o a Petra Cacumeria , vale a dire “pietra in cacumine”, “pietra in sommità”.

La storia

XII sec., il villaggio nasce in seguito alle invasioni che costringono le popolazioni d’Abruzzo a rifugiarsi sui monti inaccessibili. Sotto il Regno di Napoli, il territorio è parte del feudo della Valle Siciliana di proprietà dei conti di Pagliara (il nome deriva dai primi abitanti provenienti dalla Sicilia in tempi remoti, oppure dalla via Caecilia che congiungeva Roma con l’Adriatico).
XIII sec., una pergamena riporta la nomina di un parroco di S. Leuty de Petra; a San Leucio è dedicata una chiesa nel borgo.
1432, la data più antica che si legge in paese è incisa su una lapide che sovrasta il portale della vecchia parrocchiale di San Giovanni. 1526, l’imperatore Carlo V concede al marchese Ferdinando De Alarçon Mendoza l’investitura del feudo della Valle Siciliana, tra i cui paesi c’è Petra Cumerii, che sotto gli Angioini e gli Aragonesi era appartenuto ai conti Orsini.
1590, il borgo viene fortificato dal governatore Marcello Carlonus per difenderlo dai briganti e resta ai De Alarçon Mendoza fino all’abolizione della feudalità.
1860-65, si intensifica nei primi anni dell’unità d’Italia il brigantaggio, piaga presente in Abruzzo come in gran parte del meridione sin dal XVI sec. A Pietracamela, come in tutta la provincia di Teramo, operavano dei “capi massa” che, alla guida di contadini miserabili, soldati disertori, ladri comuni ed evasi, sostenuti dai Borboni e dal clero, saccheggiavano e razziavano in opposizione prima all’occupazione repubblicana francese (1799, 1806-15) e poi al governo italiano.

Il paese che appare dopo l’ultimo tornante, sulla strada che sale al Gran Sasso, è fatto di pietra, acqua, aria, neve, braci dentro i camini, silenzio e profumi. L’antica meridiana segna la posizione del sole, che asciuga i prati bagnati di rugiada.
Lo scroscio di una cascata accompagna il cinguettio degli uccelli. I massi che incombono sul borgo sembrano giganti buoni a protezione del silenzio.
E le automobili non circolano, solo i nostri passi echeggiano sul lastricato di pietra, tra le fontane e le vecchie case, sotto gli “sporti” che congiungono gli angusti vicoli. Paese di belvedere, di panorami, di splendide passeggiate su vecchi sentieri, Pietracamela è prezioso come la natura che lo circonda.

Comune di pietracamela
(Provincia di Teramo)
Altitudine
m. 1005 s.l.m.
Abitanti
350 (280 nel borgo)

Patrono
San Leucio, 11 gennaio
(ma si festeggia l’11 luglio)
info turismo
Comune, tel. 0861 955112 – 955230 – comunepietracamela@tin.it
Centro visite del Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga,
presso palazzo Dionisi – www.comune.pietracamela.te.it

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  • Borgo

Tagliacozzo

Tagliacozzo, Abruzzo

Il nome

Il toponimo significa “taglio nella roccia” – dal latino talus (taglio) e cotium (roccia) – e starebbe ad indicare la fenditura che divide il monte e nella quale si è sviluppato l’insediamento urbano.

La storia

XI sec., è documentata l’esistenza di un abitato con base nel castello sul Monte Civita, appartenente alla Contea dei Marsi: il territorio fu, nell’antichità, prima degli Equi e poi del fiero popolo dei Marsi.
1173, il feudo passa ai De Pontibus, antica famiglia della zona. 1230 ca., dopo la morte di San Francesco, Tommaso da Celano e altri frati si stanziano presso la chiesetta di Santa Maria in Silvis, dando vita ad uno dei conventi più antichi e importanti d’Abruzzo. 1268, Carlo I d’Angiò, re di Sicilia, sconfigge a Tagliacozzo Corradino di Svevia: la battaglia segna il destino d’Europa in favore degli angioini e la fine degli svevi; si consolida il potere dei De Pontibus grazie all’appoggio dato a Carlo d’Angiò; in seguito il feudo passa per via matrimoniale agli Orsini che lo tengono fino al 1497.
1400 ca., il papa Alessandro V stacca la Contea di Tagliacozzo dal Regno di Napoli e la aggrega allo Stato Pontificio, confermandone la titolarità a Giacomo Orsini.
1806, dopo la Rivoluzione Francese il territorio entra a far parte del Regno di Napoli; finita la feudalità, il paese perde il suo ruolo centrale nella Marsica e si avvia alla decadenza.
1861, Tagliacozzo è agitata da fermenti filo-borbonici e anti-piemontesi.

Comune di Tagliacozzo
solo centro storico
(Provincia dell’Aquila)
Altitudine
m. 740 s.l.m.
Abitanti
6464 (1500 nel borgo)

Patrono
Sant’Antonio di Padova, fine agosto
Madonna dell’Oriente, 27/28 agosto
info turismo
Comune, tel. 0863 614203
Azienda di Promozione Turistica, piazza dell’Obelisco
tel. 0863 610318 – www.comune.tagliacozzo.aq.it

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  • Borgo

Opi

Opi, Abruzzo

ll nome

L’ipotesi più suggestiva è che derivi da Ope, antichissima divinità sabina, poi assimilata dai Romani, con il culto di Saturno, alla dea dell’abbondanza.

La più probabile, è che il nome venga dal latino oppidum, castello fortificato. Fantasioso anche l’accostamento al nome di Opice, sacerdotessa del tempio di Vesta.

La storia

VII-VI sec. a.C., il ritrovamento di una necropoli in Val Fondillo testimonia l’insediamento sannita.
III sec. a.C., durante le guerre tra i Marsi (alleati di Roma) e i Sanniti, si ipotizza che un primo abitato sia sorto intorno al tempio della dea Ope.
1188, una bolla papale di Clemente III menziona le chiese di Santa Maria Assunta (ancora esistente) e di Sant’Elia; nell’alto medioevo la popolazione è insediata in località Molino di Opi, che poi dovette abbandonare per una posizione più difendibile sulla cima del costone roccioso.
1284, muore senza eredi Berardo II di Sangro, signore di Opi; il feudo passa nelle mani della sorella Margherita che sposa Cristoforo d’Aquino, inaugurando il possesso dei D’Aquino che continuerà fino al XV sec., trasferendosi poi ad altri signori; finito il dominio dei D’Avalos, Opi passa sotto il controllo di altre potenti famiglie, finché il feudo non si estingue nel 1806 con la legge napoleonica sull’eversione della feudalità.
1456, un violento terremoto devasta l’Abruzzo e il borgo.
1591, è molto fiorente l’attività della pastorizia: un ricco argentario di Opi porta sul Tavoliere 4316 pecore.
1654, un terremoto distrugge la chiesa parrocchiale, ricostruita due anni più tardi.
1711, Opi conta 600 abitanti.
1809, il territorio è infestato da bande di briganti, tanto che i contadini rinunciano a raccogliere il fieno.
1816, è decretata l’unione amministrativa di Opi e Pescasseroli.
1854, Opi torna a essere comune autonomo.
1861, i cittadini, favorevoli ai Borboni, si rifiutano di riconoscere il tricolore italiano; continuano gli scontri tra i Bersaglieri e le bande di briganti.
1884, inizia la grande emigrazione verso le Americhe: in quindici anni il paese perde 520 cittadini.
1915, si abbatte su Opi e la Marsica un altro disastroso terremoto; la replica del 1984 lesiona l’antico campanile.

Posto su un’altura a schiena di cavallo, lambito dalle rocce, con le sue case in pietra, il borgo cerca di sopravvivere ai terremoti che con continuità minacciano di disfarlo. Un disegno di Escher, il visionario artista olandese, ce lo mostra in groppa alla sua collina, come nave arenata – in inverno – in un mare di ghiaccio. Opi è un luogo totalmente modellato sul territorio, in equilibrio instabile, come un lungo e bianco gregge di pecore su un dirupo. L’aspro carattere marsicano contrasta con l’origine, probabilmente fiabesca, del nome: opes in latino significa abbondanza, ma l’unica che qui si sia mai vista, era quella degli armenti, delle pecore e dei pastori. Oggi quel pugno di case nell’impervio paesaggio abruzzese può comporre la sua nuova sinfonia pastorale guardandosi intorno e vedendosi diverso in ogni stagione. Carrarecce innevate, torrenti che fluiscono nelle valli, policromie di fiori allo scioglimento delle nevi, vecchi tratturi percorsi da giovani viandanti, boschi secolari dove allo sguardo dei briganti si è sostituito quello fuggitivo del camoscio: Opi ha forse trovato la sua Ope.

Comune di opi
(Provincia de L’Aquila)
Altitudine
m. 1250 s.l.m.
Abitanti
452

Patrono
San Giovanni, 24 giugno
info turismo
Pro Loco, via San Giovanni, 50 – tel. 0863 910622 – 911930
Comune, via San Giovanni, 50 – tel. 0863 910606
www.comune.opi.aq.it

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  • Borgo

Pettorano Sul Gizio

Pettorano Sul Gizio, Abruzzo

Il nome

diverse interpretazioni: da pettorale, per la forma a petto di corazza dell’insieme urbanistico; da pettorata, ripida salita: il dirupo della Valle del Gizio; dal greco petra: roccia; da Pictorianus, nome di pagus romano.

La storia

1093, compare negli atti per la prima volta il “castellu qui Pectorianu bocatur”.
XII sec., con i Normanni il castello è già una consolidata realtà economica e politica, sede di un feudo che si estende dalla valle del Gizio verso il Piano delle Cinquemiglia e al Sangro, a capo del quale è Oddone della famiglia dei conti del Molise.
1229, l’esercito di Papa Gregorio IX caccia il duca di Spoleto dalla Marca, assedia Sulmona e conquista il castello di Pettorano; dopo questo episodio, Federico II tenta di riportare la situazione sotto controllo nominando titolare del feudo il figlio Federico.
1269, Oderisio de Ponte dona il feudo alla figlia Giovanna che sposa il figlio di Amiel de Courbain.
1310, il feudo è trasmesso ai Cantelmo, probabili discendenti dei reali di Scozia, venuti in Italia al seguito di Carlo I D’Angiò, e rimane loro fino al 1750; i principali interventi edilizi ed urbanistici realizzati a Pettorano sono opera di Fabrizio Cantelmo (1611-1658); di quel periodo sopravvivono le mura di cinta, 5 delle 6 porte di accesso, numerosi edifici civili e religiosi.
1706, un terremoto procura ingenti danni al paese.
1750, ai Cantelmo succedono i Montemiletto, che tengono il feudo fino all’abolizione del regime feudale nel 1806.
XX sec. il borgo è interessato dal fenomeno dell’emigrazione, prima transoceanica verso le Americhe, poi verso l’Europa e il Nord Italia.

Comune di pettorano sul gizio
(Provincia dell’Aquila)
Altitudine
m. 656 s.l.m.
Abitanti
1400 (400 nel borgo)
patrono
Santa Margherita,13 luglio

Pro Loco- Piazza Umberto I, N.3 – 0864 487004 – 334 134 8222 – 346 960 0292
Riserva Naturale- Piazza Zannelli – 0864 487006
Comune Piazza Zannelli – 0864 48115
Coop. Valleluna 388 099 2468

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  • Borgo

Campli

Campli, Abruzzo

Il nome

L’antico toponimo Campulum compare per la prima volta in un documento del 1078 che elenca i possedimenti di un Roberto Conte d’Abruzzo.

La storia

Abbracciata dai Monti Gemelli

Nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, in un territorio compreso nel “Distretto tra i due Regni”, dominato dai maestosi profili dei Monti gemelli, la cittadina di Campli si erge su un pianoro, tra le valli dei torrenti Siccagno e Fiumicino.
Il territorio camplese fu abitato fin dall’antichità, come testimonia il ritrovamento di tombe presso la Necropoli italica di Campovalano, utilizzata dal XII al II secolo a.C.
La cittadina ha mantenuto l’aspetto del borgo mercantile medioevale, caratteristica ben visibile nel centro storico dove sorgono gli edifici porticati risalenti al XIV sec. e gli eleganti palazzi cinquecenteschi, tra cui la Casa del farmacista, con la bella loggia della fine del ‘500, e la Casa del medico, dalla catteristica facciata decorata con sentenze e motti latini incisi sugli architravi delle finestre. Lungo il corso principale si può ammirare anche il bellissimo portale in pietra scolpita della Chiesa di San Francesco, dei principi del ‘300, annessa all’ex convento francescano, oggi sede del Museo Archeologico Nazionale.
Il periodo più fiorente e di massimo sviluppo di Campli parte dal XV sec. Tra i numerosi avvenimenti ricordiamo la presenza nel borgo di San Giovanni da Capestrano e la fondazione, da lui promossa, del primo convento di regola Osservante, intitolato a San Bernardino (1448-49). Fiorenti furono i commerci delle lane e delle stoffe.
Nel 1520 Campli, da territorio demaniale, divenne Feudo Farnesiano. Il feudo fu ceduto in dote da Carlo V alla figlia naturale Margherita d’Austria, che sposò in seconde nozze Ottavio Farnese, duca di Parma e Piacenza. Il dominio dei Farnese si protrasse fino al 1734 e, grazie alla loro influenza, Campli ottenne il titolo di città nel 1600, quando divenne sede vescovile e diocesi insieme alla città di Ortona fino al 1818.

Il fulcro della vita cittadina è rappresentato da Piazza Vittorio Emanuele II dove si affacciano i monumenti più imponenti: il Palazzo del Parlamento (XIV) – uno degli edifici civici abruzzesi più antichi, ampliato nel XVI sec. con un terzo piano dove venne aperto il primo teatro stabile d’Abruzzo – e la Cattedrale di Santa Maria in Platea, eretta sopra una piccola chiesa più antica, oggi Cripta (XII sec.).

Nel 1772 Campli ottenne il privilegio di erigere il Santuario della Scala Santa, uno dei luoghi di culto più interessanti del Centro Italia.

Il simbolo della vita cittadina resta il palazzo del Parlamento, detto palazzo Farnese, oggi sede del Municipio, l’edificio civico più antico d’Abruzzo, che risale alla fine dell’XIII secolo, quando Campli era governata da un piccolo parlamento. Di qui l’esigenza di un palazzo civico che ben rappresentasse, da un punto di vista architettonico, la ricchezza e la potenza del luogo. Tra gli attacchi subiti dai nemici e i numerosi eventi sismici, palazzo Farnese nel corso degli anni ha avuto profonde trasformazioni: la prima nel Cinquecento, l’ultima è il restauro è del 1888. Lo stile prevalente è il gotico; la facciata è abbellita da un porticato a sette archi a tutto sesto.

Campli, sotto il controllo dei Farnese, divenne luogo d’incontro di artisti provenienti da scuole di maestri come Giotto e Raffaello, come mostrano gli affreschi e i dipinti che impreziosiscono la cattedrale di Santa Maria in Platea, edificata nel 1395 sui resti di un’antica costruzione. La cripta del XII secolo offre un magnifico ciclo di affreschi di scuola giottesca della prima metà del Trecento. Di notevole interesse sono anche gli altari, tra cui quello del Sacramento realizzato in fine pietra da Sebastiano da Como (1532). Nella cappella di Sant’Andrea Apostolo si conservano la tela della Madonna con Bambino e Santi di Giovan Battista Ragazzini (1557) e una copia della Visitazione: l’originale di Raffaello è esposto al museo del Prado di Madrid. Il fastoso soffitto in tavole lignee dipinto dal chietino Donato Teodoro è della prima metà del Settecento.

Durante il periodo in cui Campli fu sede vescovile, il 21 gennaio 1772, grazie a un Privilegio Pontificio di Clemente XIV, venne istituita la Scala Santa, che nella tradizione cristiana rappresenta la scala salita da Gesù per raggiungere l’aula dove avrebbe subito l’interrogatorio di Ponzio Pilato prima di essere crocifisso. L’edificio sacro è costituito da 28 gradini da salire in ginocchio, per ottenere la remissione dai peccati. Coloro che effettuano il rito a Campli, ricevono l’Indulgenza Plenaria con lo stesso valore dell’omonima Scala di Roma. Ma il santuario, al di là del valore religioso, è impreziosito dalle tele e dagli affreschi del teramano Vincenzo Baldati. Lungo la scala di ascesa, i dipinti consentono al penitente di ripercorrere, metaforicamente, la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo, mentre lungo la scala di discesa i colori sono più vivi, a voler indicare simbolicamente la purificazione del fedele in seguito all’Indulgenza ricevuta.

Una visita a Campli non può non comprendere anche una passeggiata nei sobborghi medioevali di Castelnuovo, dove si può ammirare la maestosa Porta Angioina, rarissimo esempio di architettura militare di difesa del XIII sec., e in quello di Nocella con la Torre del Melatino.

Comune di Campli
(Provincia di Teramo)
Altitudine
m. 393 s.l.m.
Abitanti
7136

info turismo
Ufficio Turistico del Comune di Campli
Piazza Vittorio Emanuele II, N.4-Tel. 0861/5601207
Pagina: www.facebook.com/ufficioturisticocampli
E-mail: turismo@comune.campli.te.it

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  • Borgo

Pacentro

Pacentro, Abruzzo

Il nome

Pacinus, Pacinos, Pacine, Pacino: sono molte le congetture circa l’origine del toponimo. Probabilmente è legato al nome di qualche antico borgo, forse d’origine latina, come farebbe supporre il ritrovamento in zona di fabbriche, lapidi e sepolcri. La leggenda narra che Pacinus, eroe troiano, lasciato Enea sulle rive del Tevere, s’inoltrò per il Sannio e arrivato ai piedi del Monte Morrone vi fondò Pacentro.

La storia
VIII sec., la prima menzione di Pacentro si ha con la donazione al monastero di S. Vincenzo al Volturno della chiesa di Sancti Leopardo in Pacentru da parte dei duchi di Spoleto Lupo e Ildebrando.
X-XI sec., è eretto il castello a difesa della popolazione della Valle Peligna, minacciata dalle scorrerie di Saraceni e Normanni. Intorno ad esso sorgono le prime case e chiese, e si sviluppa l’economia del borgo.
1170 ca., il Catalogo dei Baroni del Regno di Napoli informa che il castello di Pacentro è abitato da 48 famiglie.
1270 ca.-1464, periodo caldoresco. Con il riaccendersi della contesa tra Aragonesi e Angioini per la successione al Regno di Napoli, Pacentro diviene uno dei perni della lotta angioina contro gli Aragonesi sostenuti da Sulmona. Sotto Giacomo Caldora Pacentro trova il modo di svilupparsi e conosce anche un periodo di relativo benessere. La sconfitta degli Angioini nel 1464 travolge Antonio Caldora che perde tutte le sue terre.
1483-1612, il feudo è possesso del ramo di Napoli della famiglia Orsini. Con l’avvento della dinastia aragonese, i nuovi feudatari apportano modifiche sostanziali al castello.
1613-1624, Pacentro appartiene al capitano Antonio Domenico De Sanctis.
1626-1648, smembrato dai creditori, il feudo perviene ai Colonna, principi di Zagarolo. 1664, la Regia Corte di Napoli vende il castello a Maffeo Barberini, al quale subentrano poi i marchesi Recupito di Raiano, che lo tengono sino all’abolizione del feudalesimo. XX sec., dopo essere stato interessato, nei decenni successivi all’Unità d’Italia, dal fenomeno del brigantaggio, il borgo è colpito nel corso del Novecento da due ondate di emigrazione, agli inizi del secolo e poi tra gli anni ’40 e ’60, che causano il suo spopolamento.

Comune di Pacentro
(Provincia de L’Aquila)
Altitudine
m. 700 s.l.m.
Abitanti
1500

Patrono
San Crescenzo, quarta domenica di settembre

info turismo
Comune: via S. M. Maggiore – tel. 0864 41114
Centro Informazioni Parco Naturale della Maiella: via Roma | tel. 338 3112184 | www.comune.pacentro.aq.it

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  • Borgo

Pietracamela

Pietracamela, Abruzzo

Il nome

Petra Cumerii e Pietra Cameria sono stati i primi nomi del paese. La prima parte del nome deriva da Preta, che in paleo-italico indica il masso (roccia, pietra) sul quale è costruito il borgo. Misteriosa la seconda parte, che può riferirsi alla roccia a forma di gobba di cammello che si scorge dal paese, come all’invasione dei Cimerii provenienti da Oriente (Petra Cimmeria) o a Petra Cacumeria , vale a dire “pietra in cacumine”, “pietra in sommità”.

La storia

XII sec., il villaggio nasce in seguito alle invasioni che costringono le popolazioni d’Abruzzo a rifugiarsi sui monti inaccessibili. Sotto il Regno di Napoli, il territorio è parte del feudo della Valle Siciliana di proprietà dei conti di Pagliara (il nome deriva dai primi abitanti provenienti dalla Sicilia in tempi remoti, oppure dalla via Caecilia che congiungeva Roma con l’Adriatico).
XIII sec., una pergamena riporta la nomina di un parroco di S. Leuty de Petra; a San Leucio è dedicata una chiesa nel borgo.
1432, la data più antica che si legge in paese è incisa su una lapide che sovrasta il portale della vecchia parrocchiale di San Giovanni. 1526, l’imperatore Carlo V concede al marchese Ferdinando De Alarçon Mendoza l’investitura del feudo della Valle Siciliana, tra i cui paesi c’è Petra Cumerii, che sotto gli Angioini e gli Aragonesi era appartenuto ai conti Orsini.
1590, il borgo viene fortificato dal governatore Marcello Carlonus per difenderlo dai briganti e resta ai De Alarçon Mendoza fino all’abolizione della feudalità.
1860-65, si intensifica nei primi anni dell’unità d’Italia il brigantaggio, piaga presente in Abruzzo come in gran parte del meridione sin dal XVI sec. A Pietracamela, come in tutta la provincia di Teramo, operavano dei “capi massa” che, alla guida di contadini miserabili, soldati disertori, ladri comuni ed evasi, sostenuti dai Borboni e dal clero, saccheggiavano e razziavano in opposizione prima all’occupazione repubblicana francese (1799, 1806-15) e poi al governo italiano.

Il paese che appare dopo l’ultimo tornante, sulla strada che sale al Gran Sasso, è fatto di pietra, acqua, aria, neve, braci dentro i camini, silenzio e profumi. L’antica meridiana segna la posizione del sole, che asciuga i prati bagnati di rugiada.
Lo scroscio di una cascata accompagna il cinguettio degli uccelli. I massi che incombono sul borgo sembrano giganti buoni a protezione del silenzio.
E le automobili non circolano, solo i nostri passi echeggiano sul lastricato di pietra, tra le fontane e le vecchie case, sotto gli “sporti” che congiungono gli angusti vicoli. Paese di belvedere, di panorami, di splendide passeggiate su vecchi sentieri, Pietracamela è prezioso come la natura che lo circonda.

Comune di pietracamela
(Provincia di Teramo)
Altitudine
m. 1005 s.l.m.
Abitanti
350 (280 nel borgo)

Patrono
San Leucio, 11 gennaio
(ma si festeggia l’11 luglio)
info turismo
Comune, tel. 0861 955112 – 955230 – comunepietracamela@tin.it
Centro visite del Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga,
presso palazzo Dionisi – www.comune.pietracamela.te.it

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  • Borgo

Tagliacozzo

Tagliacozzo, Abruzzo

Il nome

Il toponimo significa “taglio nella roccia” – dal latino talus (taglio) e cotium (roccia) – e starebbe ad indicare la fenditura che divide il monte e nella quale si è sviluppato l’insediamento urbano.

La storia

XI sec., è documentata l’esistenza di un abitato con base nel castello sul Monte Civita, appartenente alla Contea dei Marsi: il territorio fu, nell’antichità, prima degli Equi e poi del fiero popolo dei Marsi.
1173, il feudo passa ai De Pontibus, antica famiglia della zona. 1230 ca., dopo la morte di San Francesco, Tommaso da Celano e altri frati si stanziano presso la chiesetta di Santa Maria in Silvis, dando vita ad uno dei conventi più antichi e importanti d’Abruzzo. 1268, Carlo I d’Angiò, re di Sicilia, sconfigge a Tagliacozzo Corradino di Svevia: la battaglia segna il destino d’Europa in favore degli angioini e la fine degli svevi; si consolida il potere dei De Pontibus grazie all’appoggio dato a Carlo d’Angiò; in seguito il feudo passa per via matrimoniale agli Orsini che lo tengono fino al 1497.
1400 ca., il papa Alessandro V stacca la Contea di Tagliacozzo dal Regno di Napoli e la aggrega allo Stato Pontificio, confermandone la titolarità a Giacomo Orsini.
1806, dopo la Rivoluzione Francese il territorio entra a far parte del Regno di Napoli; finita la feudalità, il paese perde il suo ruolo centrale nella Marsica e si avvia alla decadenza.
1861, Tagliacozzo è agitata da fermenti filo-borbonici e anti-piemontesi.

Comune di Tagliacozzo
solo centro storico
(Provincia dell’Aquila)
Altitudine
m. 740 s.l.m.
Abitanti
6464 (1500 nel borgo)

Patrono
Sant’Antonio di Padova, fine agosto
Madonna dell’Oriente, 27/28 agosto
info turismo
Comune, tel. 0863 614203
Azienda di Promozione Turistica, piazza dell’Obelisco
tel. 0863 610318 – www.comune.tagliacozzo.aq.it

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  • Borgo

Opi

Opi, Abruzzo

ll nome

L’ipotesi più suggestiva è che derivi da Ope, antichissima divinità sabina, poi assimilata dai Romani, con il culto di Saturno, alla dea dell’abbondanza.

La più probabile, è che il nome venga dal latino oppidum, castello fortificato. Fantasioso anche l’accostamento al nome di Opice, sacerdotessa del tempio di Vesta.

La storia

VII-VI sec. a.C., il ritrovamento di una necropoli in Val Fondillo testimonia l’insediamento sannita.
III sec. a.C., durante le guerre tra i Marsi (alleati di Roma) e i Sanniti, si ipotizza che un primo abitato sia sorto intorno al tempio della dea Ope.
1188, una bolla papale di Clemente III menziona le chiese di Santa Maria Assunta (ancora esistente) e di Sant’Elia; nell’alto medioevo la popolazione è insediata in località Molino di Opi, che poi dovette abbandonare per una posizione più difendibile sulla cima del costone roccioso.
1284, muore senza eredi Berardo II di Sangro, signore di Opi; il feudo passa nelle mani della sorella Margherita che sposa Cristoforo d’Aquino, inaugurando il possesso dei D’Aquino che continuerà fino al XV sec., trasferendosi poi ad altri signori; finito il dominio dei D’Avalos, Opi passa sotto il controllo di altre potenti famiglie, finché il feudo non si estingue nel 1806 con la legge napoleonica sull’eversione della feudalità.
1456, un violento terremoto devasta l’Abruzzo e il borgo.
1591, è molto fiorente l’attività della pastorizia: un ricco argentario di Opi porta sul Tavoliere 4316 pecore.
1654, un terremoto distrugge la chiesa parrocchiale, ricostruita due anni più tardi.
1711, Opi conta 600 abitanti.
1809, il territorio è infestato da bande di briganti, tanto che i contadini rinunciano a raccogliere il fieno.
1816, è decretata l’unione amministrativa di Opi e Pescasseroli.
1854, Opi torna a essere comune autonomo.
1861, i cittadini, favorevoli ai Borboni, si rifiutano di riconoscere il tricolore italiano; continuano gli scontri tra i Bersaglieri e le bande di briganti.
1884, inizia la grande emigrazione verso le Americhe: in quindici anni il paese perde 520 cittadini.
1915, si abbatte su Opi e la Marsica un altro disastroso terremoto; la replica del 1984 lesiona l’antico campanile.

Posto su un’altura a schiena di cavallo, lambito dalle rocce, con le sue case in pietra, il borgo cerca di sopravvivere ai terremoti che con continuità minacciano di disfarlo. Un disegno di Escher, il visionario artista olandese, ce lo mostra in groppa alla sua collina, come nave arenata – in inverno – in un mare di ghiaccio. Opi è un luogo totalmente modellato sul territorio, in equilibrio instabile, come un lungo e bianco gregge di pecore su un dirupo. L’aspro carattere marsicano contrasta con l’origine, probabilmente fiabesca, del nome: opes in latino significa abbondanza, ma l’unica che qui si sia mai vista, era quella degli armenti, delle pecore e dei pastori. Oggi quel pugno di case nell’impervio paesaggio abruzzese può comporre la sua nuova sinfonia pastorale guardandosi intorno e vedendosi diverso in ogni stagione. Carrarecce innevate, torrenti che fluiscono nelle valli, policromie di fiori allo scioglimento delle nevi, vecchi tratturi percorsi da giovani viandanti, boschi secolari dove allo sguardo dei briganti si è sostituito quello fuggitivo del camoscio: Opi ha forse trovato la sua Ope.

Comune di opi
(Provincia de L’Aquila)
Altitudine
m. 1250 s.l.m.
Abitanti
452

Patrono
San Giovanni, 24 giugno
info turismo
Pro Loco, via San Giovanni, 50 – tel. 0863 910622 – 911930
Comune, via San Giovanni, 50 – tel. 0863 910606
www.comune.opi.aq.it

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  • Borgo

Pettorano Sul Gizio

Pettorano Sul Gizio, Abruzzo

Il nome

diverse interpretazioni: da pettorale, per la forma a petto di corazza dell’insieme urbanistico; da pettorata, ripida salita: il dirupo della Valle del Gizio; dal greco petra: roccia; da Pictorianus, nome di pagus romano.

La storia

1093, compare negli atti per la prima volta il “castellu qui Pectorianu bocatur”.
XII sec., con i Normanni il castello è già una consolidata realtà economica e politica, sede di un feudo che si estende dalla valle del Gizio verso il Piano delle Cinquemiglia e al Sangro, a capo del quale è Oddone della famiglia dei conti del Molise.
1229, l’esercito di Papa Gregorio IX caccia il duca di Spoleto dalla Marca, assedia Sulmona e conquista il castello di Pettorano; dopo questo episodio, Federico II tenta di riportare la situazione sotto controllo nominando titolare del feudo il figlio Federico.
1269, Oderisio de Ponte dona il feudo alla figlia Giovanna che sposa il figlio di Amiel de Courbain.
1310, il feudo è trasmesso ai Cantelmo, probabili discendenti dei reali di Scozia, venuti in Italia al seguito di Carlo I D’Angiò, e rimane loro fino al 1750; i principali interventi edilizi ed urbanistici realizzati a Pettorano sono opera di Fabrizio Cantelmo (1611-1658); di quel periodo sopravvivono le mura di cinta, 5 delle 6 porte di accesso, numerosi edifici civili e religiosi.
1706, un terremoto procura ingenti danni al paese.
1750, ai Cantelmo succedono i Montemiletto, che tengono il feudo fino all’abolizione del regime feudale nel 1806.
XX sec. il borgo è interessato dal fenomeno dell’emigrazione, prima transoceanica verso le Americhe, poi verso l’Europa e il Nord Italia.

Comune di pettorano sul gizio
(Provincia dell’Aquila)
Altitudine
m. 656 s.l.m.
Abitanti
1400 (400 nel borgo)
patrono
Santa Margherita,13 luglio

Pro Loco- Piazza Umberto I, N.3 – 0864 487004 – 334 134 8222 – 346 960 0292
Riserva Naturale- Piazza Zannelli – 0864 487006
Comune Piazza Zannelli – 0864 48115
Coop. Valleluna 388 099 2468

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  • Borgo

Campli

Campli, Abruzzo

Il nome

L’antico toponimo Campulum compare per la prima volta in un documento del 1078 che elenca i possedimenti di un Roberto Conte d’Abruzzo.

La storia

Abbracciata dai Monti Gemelli

Nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, in un territorio compreso nel “Distretto tra i due Regni”, dominato dai maestosi profili dei Monti gemelli, la cittadina di Campli si erge su un pianoro, tra le valli dei torrenti Siccagno e Fiumicino.
Il territorio camplese fu abitato fin dall’antichità, come testimonia il ritrovamento di tombe presso la Necropoli italica di Campovalano, utilizzata dal XII al II secolo a.C.
La cittadina ha mantenuto l’aspetto del borgo mercantile medioevale, caratteristica ben visibile nel centro storico dove sorgono gli edifici porticati risalenti al XIV sec. e gli eleganti palazzi cinquecenteschi, tra cui la Casa del farmacista, con la bella loggia della fine del ‘500, e la Casa del medico, dalla catteristica facciata decorata con sentenze e motti latini incisi sugli architravi delle finestre. Lungo il corso principale si può ammirare anche il bellissimo portale in pietra scolpita della Chiesa di San Francesco, dei principi del ‘300, annessa all’ex convento francescano, oggi sede del Museo Archeologico Nazionale.
Il periodo più fiorente e di massimo sviluppo di Campli parte dal XV sec. Tra i numerosi avvenimenti ricordiamo la presenza nel borgo di San Giovanni da Capestrano e la fondazione, da lui promossa, del primo convento di regola Osservante, intitolato a San Bernardino (1448-49). Fiorenti furono i commerci delle lane e delle stoffe.
Nel 1520 Campli, da territorio demaniale, divenne Feudo Farnesiano. Il feudo fu ceduto in dote da Carlo V alla figlia naturale Margherita d’Austria, che sposò in seconde nozze Ottavio Farnese, duca di Parma e Piacenza. Il dominio dei Farnese si protrasse fino al 1734 e, grazie alla loro influenza, Campli ottenne il titolo di città nel 1600, quando divenne sede vescovile e diocesi insieme alla città di Ortona fino al 1818.

Il fulcro della vita cittadina è rappresentato da Piazza Vittorio Emanuele II dove si affacciano i monumenti più imponenti: il Palazzo del Parlamento (XIV) – uno degli edifici civici abruzzesi più antichi, ampliato nel XVI sec. con un terzo piano dove venne aperto il primo teatro stabile d’Abruzzo – e la Cattedrale di Santa Maria in Platea, eretta sopra una piccola chiesa più antica, oggi Cripta (XII sec.).

Nel 1772 Campli ottenne il privilegio di erigere il Santuario della Scala Santa, uno dei luoghi di culto più interessanti del Centro Italia.

Il simbolo della vita cittadina resta il palazzo del Parlamento, detto palazzo Farnese, oggi sede del Municipio, l’edificio civico più antico d’Abruzzo, che risale alla fine dell’XIII secolo, quando Campli era governata da un piccolo parlamento. Di qui l’esigenza di un palazzo civico che ben rappresentasse, da un punto di vista architettonico, la ricchezza e la potenza del luogo. Tra gli attacchi subiti dai nemici e i numerosi eventi sismici, palazzo Farnese nel corso degli anni ha avuto profonde trasformazioni: la prima nel Cinquecento, l’ultima è il restauro è del 1888. Lo stile prevalente è il gotico; la facciata è abbellita da un porticato a sette archi a tutto sesto.

Campli, sotto il controllo dei Farnese, divenne luogo d’incontro di artisti provenienti da scuole di maestri come Giotto e Raffaello, come mostrano gli affreschi e i dipinti che impreziosiscono la cattedrale di Santa Maria in Platea, edificata nel 1395 sui resti di un’antica costruzione. La cripta del XII secolo offre un magnifico ciclo di affreschi di scuola giottesca della prima metà del Trecento. Di notevole interesse sono anche gli altari, tra cui quello del Sacramento realizzato in fine pietra da Sebastiano da Como (1532). Nella cappella di Sant’Andrea Apostolo si conservano la tela della Madonna con Bambino e Santi di Giovan Battista Ragazzini (1557) e una copia della Visitazione: l’originale di Raffaello è esposto al museo del Prado di Madrid. Il fastoso soffitto in tavole lignee dipinto dal chietino Donato Teodoro è della prima metà del Settecento.

Durante il periodo in cui Campli fu sede vescovile, il 21 gennaio 1772, grazie a un Privilegio Pontificio di Clemente XIV, venne istituita la Scala Santa, che nella tradizione cristiana rappresenta la scala salita da Gesù per raggiungere l’aula dove avrebbe subito l’interrogatorio di Ponzio Pilato prima di essere crocifisso. L’edificio sacro è costituito da 28 gradini da salire in ginocchio, per ottenere la remissione dai peccati. Coloro che effettuano il rito a Campli, ricevono l’Indulgenza Plenaria con lo stesso valore dell’omonima Scala di Roma. Ma il santuario, al di là del valore religioso, è impreziosito dalle tele e dagli affreschi del teramano Vincenzo Baldati. Lungo la scala di ascesa, i dipinti consentono al penitente di ripercorrere, metaforicamente, la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo, mentre lungo la scala di discesa i colori sono più vivi, a voler indicare simbolicamente la purificazione del fedele in seguito all’Indulgenza ricevuta.

Una visita a Campli non può non comprendere anche una passeggiata nei sobborghi medioevali di Castelnuovo, dove si può ammirare la maestosa Porta Angioina, rarissimo esempio di architettura militare di difesa del XIII sec., e in quello di Nocella con la Torre del Melatino.

Comune di Campli
(Provincia di Teramo)
Altitudine
m. 393 s.l.m.
Abitanti
7136

info turismo
Ufficio Turistico del Comune di Campli
Piazza Vittorio Emanuele II, N.4-Tel. 0861/5601207
Pagina: www.facebook.com/ufficioturisticocampli
E-mail: turismo@comune.campli.te.it

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  • Borgo

Pacentro

Pacentro, Abruzzo

Il nome

Pacinus, Pacinos, Pacine, Pacino: sono molte le congetture circa l’origine del toponimo. Probabilmente è legato al nome di qualche antico borgo, forse d’origine latina, come farebbe supporre il ritrovamento in zona di fabbriche, lapidi e sepolcri. La leggenda narra che Pacinus, eroe troiano, lasciato Enea sulle rive del Tevere, s’inoltrò per il Sannio e arrivato ai piedi del Monte Morrone vi fondò Pacentro.

La storia
VIII sec., la prima menzione di Pacentro si ha con la donazione al monastero di S. Vincenzo al Volturno della chiesa di Sancti Leopardo in Pacentru da parte dei duchi di Spoleto Lupo e Ildebrando.
X-XI sec., è eretto il castello a difesa della popolazione della Valle Peligna, minacciata dalle scorrerie di Saraceni e Normanni. Intorno ad esso sorgono le prime case e chiese, e si sviluppa l’economia del borgo.
1170 ca., il Catalogo dei Baroni del Regno di Napoli informa che il castello di Pacentro è abitato da 48 famiglie.
1270 ca.-1464, periodo caldoresco. Con il riaccendersi della contesa tra Aragonesi e Angioini per la successione al Regno di Napoli, Pacentro diviene uno dei perni della lotta angioina contro gli Aragonesi sostenuti da Sulmona. Sotto Giacomo Caldora Pacentro trova il modo di svilupparsi e conosce anche un periodo di relativo benessere. La sconfitta degli Angioini nel 1464 travolge Antonio Caldora che perde tutte le sue terre.
1483-1612, il feudo è possesso del ramo di Napoli della famiglia Orsini. Con l’avvento della dinastia aragonese, i nuovi feudatari apportano modifiche sostanziali al castello.
1613-1624, Pacentro appartiene al capitano Antonio Domenico De Sanctis.
1626-1648, smembrato dai creditori, il feudo perviene ai Colonna, principi di Zagarolo. 1664, la Regia Corte di Napoli vende il castello a Maffeo Barberini, al quale subentrano poi i marchesi Recupito di Raiano, che lo tengono sino all’abolizione del feudalesimo. XX sec., dopo essere stato interessato, nei decenni successivi all’Unità d’Italia, dal fenomeno del brigantaggio, il borgo è colpito nel corso del Novecento da due ondate di emigrazione, agli inizi del secolo e poi tra gli anni ’40 e ’60, che causano il suo spopolamento.

Comune di Pacentro
(Provincia de L’Aquila)
Altitudine
m. 700 s.l.m.
Abitanti
1500

Patrono
San Crescenzo, quarta domenica di settembre

info turismo
Comune: via S. M. Maggiore – tel. 0864 41114
Centro Informazioni Parco Naturale della Maiella: via Roma | tel. 338 3112184 | www.comune.pacentro.aq.it

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