Trieste, città dall’eleganza asburgica. Udine, roccaforte del Friuli. Pordenone, che già risente dell’influenza veneta. E infine quel puzzle complesso che è Gorizia, città di confine dove confluiscono cultura latina, slava e germanica e dove nel 2004 è stato abbattuto l’ultimo muro che divideva l’Europa Occidentale da quella Orientale. Una realtà così radicata nel suo passato che da ex luogo di villeggiatura di Francesco Giuseppe ogni anno festeggia ancora il genetliaco dell’imperatore.
Quattro città per quattro capoluoghi di altrettante province così diverse fra loro, eppure pacificamente conviventi. Poi, sui versanti opposti, da una parte località balneari come Lignano e Grado, e dall’altra stazioni sciistiche come la Carnia e il Tarvisiano sullo sfondo di Alpi Giulie e Carniche e Dolomiti Friulane, ultimo lembo di quell’immenso patrimonio tutelato dall’Unesco che abbraccia anche Veneto e Trentino Alto Adige. Nel mezzo, un’infinità di borghi in grado di coprire epoche e stili architettonici di ogni genere, nonché custodi di tradizioni ataviche tramandate da generazioni. Per fare solo qualche esempio, Cividale del Friuli, eletta nel 568 D.C. prima capitale del ducato longobardo in Italia, la quattrocentesca Gradisca d’Isonzo, fondata dai Veneziani, e la rinascimentale Palmanova, capolavoro di ingegneria militare circondata da mura a forma di stella a nove punte.
Splendide poi le campagne del Carso, del Collio e dei Colli Orientali coltivate a vite e prodighe di prodotti da vero gourmet. Basti citare il celebre prosciutto di San Daniele del Friuli, borgo medievale con case magnificamente dipinte che ospitano un’infinità di sale da degustazione, oltre a una delle biblioteche pubbliche più longeve d’Europa, la Guarneriana, fondata nel 1466 e con migliaia di incunaboli e codici, fra cui uno dei più antichi manoscritti dell’Inferno di Dante.
Il Friuli Venezia Giulia è dunque un mosaico di culture diverse sapientemente miscelate e ricomposte a formare un quadro affascinante e a tratti misterioso, come tutte le “terre di mezzo” che nei secoli ne hanno viste tante, trattenendo però solo il meglio di ogni passaggio: Romani, Longobardi, Barbari. Ungari, Veneziani e Austriaci, forieri ciascuno a suo modo di preziosi lasciti culturali, ancora oggi apprezzabili grazie a lingua, arte, architettura, gastronomia. E se di arte musiva si tratta, da queste parti se ne intendono davvero, in particolare ad Aquileia, sito archeologico fra i più importanti in Italia, i cui ritrovamenti hanno restituito ville romane con pavimenti riccamente decorati, ma soprattutto a Spilimbergo, sede della Scuola Mosaicisti del Friuli. Qui, dal 1922 si tramandano tecniche romane, bizantine e moderne, creando pregevoli opere che esportano nel mondo la fama di questo piccolo borgo fondato sulle sponde del Tagliamento nell’XI secolo dai conti Spengenberg originari della Carinzia.
Non è dunque un caso se lo scrittore e patriota Ippolito Nievo, benché padovano, definiva questa terra, all’epoca non ancora Regione così come la conosciamo oggi, “un piccolo compendio dell’universo”.
Il fascino spirituale dei santuari è spesso amplificato dagli splendidi paesaggi offerti dalle località che li ospitano: è così anche per la piccolissima isola di Barbana, nella laguna di Grado, dove si trova questo santuario mariano di antichissima origine, oggi sede di una comunità di Frati Minori Francescani.
Secondo la tradizione l’origine del santuario risale al 582 d.C., quando una violenta mareggiata minacciò la città di Grado. Al termine della tempesta un’immagine della Madonna, trasportata dalle acque, venne ritrovata sull’isola nei pressi delle capanne di due eremiti. Qui, il patriarca di Grado Elia fece erigere un sepolcro come ringraziamento alla Madonna per aver salvato la città. Presto l’isola divenne residenza stabile di una comunità di monaci e destinazione di frequenti pellegrinaggi.
Dal 1237 Barbana è anche meta del famoso Perdòn, la processione che la comunità di Grado compie ogni prima domenica di luglio a bordo di barche per rinnovare un antico voto alla Madonna che avrebbe salvato il paese da una terribile epidemia di peste
Il palazzo Coronini Cronberg, divenuto sede dell’omonima Fondazione per volontà del suo ultimo proprietario, il conte Guglielmo Coronini Cronberg (1905-1990), è una dimora storica risalente alla fine del Cinquecento. Passeggiando attraverso le quindici sale che compongono il percorso museale, tra cui la stanza dove nel 1836 soggiornò e morì l’ultimo re di Francia Carlo X di Borbone, il visitatore è trasportato d’incanto indietro nel tempo, grazie all’atmosfera calda e suggestiva delle sale con arredi cinque e seicenteschi del piano terra, ai suntuosi salotti settecenteschi, alle sale impero e agli ambienti ottocenteschi del piano nobile. Il Palazzo è circondato da uno splendido parco all’inglese di cinque ettari, nel quale si scoprono importanti reperti archeologici aquileiesi, un elegante tempietto di stile Liberty, piante rare e preziose: frassini, tigli, cedri dell’Himalaya, piante esotiche come le palme, i nespoli del Giappone, bamboo e una centenaria quercia da sughero; non mancano alcune piante da fiore particolarmente amate nell’Ottocento quali magnolie, oleandri, rose e camelie.
Il parco è stato realizzato sul finire dell’Ottocento, nella scia di un ambizioso programma di riqualificazione urbana che mirava a creare per Gorizia l’immagine di città giardino.
Negli anni tra le due guerre il palazzo fu dato in affitto, divenendo sede di un comando dell’esercito italiano, al quale, dopo l’8 settembre 1943, subentrarono le truppe tedesche che avevano occupato Gorizia. Risalgono a questo periodo alcuni importati interventi nel parco: la costruzione della piscina sul retro del palazzo e la collocazione all’ingresso del parco di un portale in pietra proveniente dalla distrutta villa Attems di Piedimonte. Divenuto in seguito sede di un comando partigiano jugoslavo e poi delle truppe alleate, solo all’inizio degli anni Cinquanta il palazzo fu restituito ai Coronini che vi si stabilirono definitivamente. Fu a partire da questo momento che il conte Guglielmo, con il sostegno della sorella Nicoletta, iniziò a progettare per la residenza di famiglia una destinazione museale, che prese forma, come era nelle sue volontà, dopo la sua morte, avvenuta a Vienna il 13 settembre 1990.
Fino agli anni ’50, Movada, Fleur e Redona Vecchia erano tre borghi meta di escursioni nella Val Tramontina, in provincia di Pordenone. Oggi, per vederli, bisogna attendere i periodi di secca del bacino artificiale del Lago di Redona, creato appunto a quell’epoca per produrre energia. Quando infatti il livello dell’acqua del bacino scende, tetti e campanili riaffiorano, riportando alla luce ciò che è rimasto di un tempo. Il lago è così diventato una delle principali attrattive dei comuni di Tramonti di Sopra e Tramonti di Sotto, nonché della Val Tramontina, da sempre nota per la natura rigogliosa e incontaminata e per la fauna selvatica che ne popola i boschi.
Sono considerate uno dei dieci posti più belli d’Italiadove fare il bagno dal noto tabloid inglese “The Guardian”.
Le pozze smeraldine lungo il corso del Meduna, sono un angolo davvero speciale inserito in uno dei contesti naturalistici più selvaggi delle Dolomiti.
Lungo il corso del Meduna, con solo una breve deviazione dal percorso che porta verso la borgata abbandonata di Frassaneit, è possibile arrivare a un luogo nascosto e ancora selvaggio, circondato da una natura incontaminata. Qui l’acqua si raccoglie in pozze profonde e le rocce bianche forniscono la piattaforma perfetta per un tuffo nelle acque fresche del fiume.
Queste piscine naturali sono le più conosciute ma rappresentano perfettamente una tipologia di piscina naturale che si ritrova in più luoghi nel territorio di Tramonti. Basti pensare alle due pozze presenti lungo il tratto del picnic Sottrivea (la cosiddetta “Cessa” e la seconda pozza creatasi recentemente a metà dell’area picnic), ma anche le altre piscine naturali, come la pila, o le pozze sotto i ponti e le passerelle, che si trovano risalendo il corso del Meduna.
L’incantevole bellezza e il fascino di questi luoghi permette di immergersi in un ambiente naturale e incontaminato dove il colore delle acque giustifica pienamente il nome “smeraldo” con cui le pozze sono note.
Situato in quello che un tempo era il Castello di Torre. Custodisce reperti che provengono da tutto il Friuli occidentale e ricostruiscono una vasta panoramica storica, dalla preistoria al Rinascimento.
A soli tre chilometri dal centro di Pordenone, si trova il museo, aperto al pubblico dopo il restauro del Castello di Torre. Sorto alla fine del XII secolo, residenza della famiglia dei signori di Ragogna, dopo l’assalto del 1402 da parte del capitano austriaco a Pordenone Mordax, il castello fu ricostruito e in parte trasformato in dimora signorile.
Il museo custodisce nelle sue sale i numerosi reperti raccolti dall’ultimo esponente della famiglia residente nel maniero, il conte Giuseppe di Ragogna, durante la sua attività di archeologo. I reperti presentati provengono da tutto il Friuli occidentale e ricostruiscono una vasta panoramica storica, dalla preistoria al Rinascimento.
Il Museo conserva alcuni reperti provenienti dal Palù di Livenza, Sito Unesco dal 2011, in museo fin dagli anni ’70, quando si iniziò la riscoperta del sito e si recuperarono le prime ceramiche o assegnati in deposito successivamente.
Borgo Frassaneit, detto anche “Il paese fantasma di Frassaneit” dista circa 5 chilometri dall’abitato di Tramonti di Sopra.
Infossato nel Canal del Meduna questo borgo, di nascita più recente rispetto alla vicina Tramonti, fino al primo dopo guerra vi abitavano una dozzina di nuclei familiari per un totale di circa 60 abitanti. La domenica l’intero paese scendeva a valle per recarsi alla santa messa e in quella occasione si faceva la spesa: sale e zucchero, in tra parte, i quali venivano barattati con burro e formaggi. A Tramonti i “frassanesi” utilizzavano una stanza adibita a deposito fino al loro ritorno.
Come usanza dell’epoca, anche gli uomini di Frassaneit si recavano in osteria a Tramonti dove, di tanto in tanto, restavano fino al giorno successivo. A Frassaneit infatti non vi erano osterie e si beveva il “sir” ( siero di latte ) mentre la grappa era utilizzata come medicina unitamente all’olio di ricino.
Negli anni ‘50 i circa venti bambini rimasti nel paese seguivano le lezioni presso la scuola dove la maestra insegnava a leggere, scrivere e a “far di conto” a classi unite.
Le persone malate o i morti venivano trasportati fino a Tramonti su una portantina o su stanghe, anche se alle volte poteva essere utilizzata anche solo una sedia legata alla schiena del portatore tramite dei lacci.
Durante le feste si ballava al suono della fisarmonica o di un vecchio grammofono.
Per Frassaneit transitarono in direzione della forcella Caserata e della Val Cellina, gli alpini della 69ª compagnia del Gemona in ritirata dopo la disfatta di Caporetto.
Ora il paese è completamente abbandonato e i suoi abitanti partiti verso la pianura o emigrati.