Galleria dell’Accademia di belle arti Tadini

Comune di LOVERE

  • Museo

Si deve al conte Luigi Tadini (1745-1829) la decisione di creare una fondazione che comprendesse le scuole di musica e di disegno – ancora attive – e di costruire un palazzo in riva al lago per esporre al pubblico le proprie raccolte d’arte, formate tra la fine del Sette e l’inizio dell’Ottocento.

La visita alla Galleria dell’Accademia Tadini consente di fare esperienza di una collezione ottocentesca, in un costante intreccio tra arte e vita.

L’edificio fu costruito accanto all’antica residenza aristocratica affacciata sull’attuale piazza Garibaldi, lungo la nuova strada che collegava Bergamo e Lovere. I lavori furono avviati nel 1821 con la costruzione della cappella, quindi proseguirono con il palazzo e furono completati entro il 1827; l’anno successivo la Galleria apriva al pubblico. Allo scenografo teatrale Luigi Dell’Era si deve la decorazione dei soffitti e delle pareti, che aveva lo scopo di creare una cornice degna alla collezione.

La visita comincia dalla Cappella al centro del giardino, costruita per ospitare la Stele Tadini, una tra le ultime opere di Antonio Canova, scolpita tra il 1819 e il 1821 per onorare la memoria di Faustino, figlio del conte, prematuramente scomparso nel 1799. Lo scultore e il giovane Tadini si erano incontrati a Roma nel 1795; il giovane aveva celebrato le opere dello scultore in un volume, pubblicato nel 1796, e Canova in segno di gratitudine gli aveva donato il bozzetto in terracotta per la Religione destinata al monumento a Clemente XIII, tuttora conservato in Galleria. Anni dopo, il ricordo della scomparsa di Faustino fu rievocato con una solenne scultura in marmo che trasforma il tragico episodio in una delicata elegia.

La collezione d’arte è esposta al piano nobile dell’edificio. Dopo la scenografica Galleria delle Armi, il Gabinetto delle Antichità ospita la raccolta archeologica acquistata dal conte a Napoli nell’ultimo decennio del XVIII secolo. Le sale XXI e XXII sono dedicate alla preziosa raccolta di porcellane orientali (Cina e Giappone) e occidentali (Meissen, Napoli, Venezia, Parigi, Sèvres). Concludono il percorso la Biblioteca, con oltre 4600 volumi, che restituisce la varietà degli interessi di un nobile del Settecento, e uno scenografico balcone che consente di ammirare il paesaggio del lago.

Al centro del museo, la grande Sala destinata ai concerti e alle rappresentazioni teatrali, ospita, dal 1927, una prestigiosa stagione musicale con interpreti da tutta Europa. Seguono le sale dedicate all’esposizione dei dipinti.

Negli anni delle soppressioni delle istituzioni ecclesiastiche, Luigi Tadini acquistò dipinti provenienti da Crema, nel tentativo di fare del “Museo Tadiniano” una sorta di documento della storia della città. Approdarono così nella raccolta le pale d’altare di Paris Bordon (pala Manfron), Vincenzo Civerchio, Aurelio Gatti. Intorno al 1810 il conte spostò i propri interessi verso la pittura veneta: arrivano così capolavori come la trecentesca Madonna con il bambino di Jacobello di Bonomo, la Madonna con il Bambino di Iacopo Bellini, la Madonna con il Bambino e santi di Palma il Giovane, il Cristo morto di Piero della Vecchia. A questi si aggiungono opere di scuola veronese tra ‘400 e ‘500 – la Madonna con il Bambino di Francesco Benaglio, i Santi Francesco e Guglielmo di Domenico Brusasorci, la Fuga in Egitto di Felice Brusasorci, e significative testimonianze della cultura seicentesca lombarda come le due tele di Carlo Francesco Nuvolone.

Il secondo piano ospita il Museo dell’Ottocento, nato dalla donazione della raccolta di cimeli garibaldini di Giovanni Battista Zitti, in seguito arricchita da altre famiglie loveresi. La partecipazione locale alle vicende del Risorgimento italiano (tre dei Mille avevano origine loverese) e lo stretto rapporto tra vicende sociali e culturali rende le opere esposte un significativo documento per la storia del territorio. Di particolare importanza, oltre alla selezione dei ritratti ottocenteschi, le tre tele donate da Francesco Hayez ai nipoti Enrico e Carlotta Martinolli Banzolini, tra cui lo straordinario Ecce Homo, tra le ultime opere dell’artista.

Conclude il percorso una raccolta di arte moderna e contemporanea, che comprende una documentazione della cultura artistica italiana ed europea del secondo dopoguerra, fino ad anni recentissimi.

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  • Eccellenza Naturalistica

Val di Rezzalo

Sondalo, Lombardia

Posta sulla sinistra orografica del fiume Adda, la Valle di Rezzalo si sviluppa per circa 13 chilometri partendo dall’abitato di Fumero (1465 m) e seguendo il percorso del torrente Rezzalasco fino al Passo dell’Alpe. Il sentiero è costituito da una strada militare che si snoda inizialmente nei densi boschi di Abete rosso che coprono il versante destro mentre sul sinistro notiamo le ripide valli colonizzate da Ontano verde che sovrastano ampi conoidi ricoperti di prati da sfalcio.
La Valle di Rezzalo è giustamente nota, oltre che per il suo interesse naturalistico, per i numerosi insediamenti rurali, costituiti da nuclei di baite, ancora oggi utilizzati durante la stagione estiva.

COME RAGGIUNGERE I SENTIERI:

Da Bormio si segue la S.S. 38 in direzione di Sondrio uscendo, dopo circa 15 km, a Le Prese. All’uscita si imbocca la Strada Provinciale a sinistra: dopo un’ampia rotonda, in località Le Prese si prende la strada a destra in direzione di Frontale e, su una strada a tratti stretta, di Fumero. Dopo Quest’ultima frazione si prosegue fino al termine della strada asfaltata, in località Fontanaccia, inizio dell’escursione, ove vi sono alcuni parcheggi.
Percorso: Fumero – Val di Rezzalo – Passo dell’Alpe – Ponte dell’Alpe
Tempo di percorrenza/km: ore 5 / km 13
Dislivello: 998 m
Difficoltà: T

Il percorso, lungo il quale caprioli, camosci e marmotte sono incontri frequenti per l’escursionista, ci porta in breve alla magnifica Piana dove è situato, tra boschi di larice e prati da pascolo, l’abitato di S. Bernardo.
Superata un’antica torbiera, ormai quasi completamente interrata, e costeggiata la piana, si giunge al limite superiore della vegetazione arborea. Il percorso prosegue tra cespuglieti e praterie alpine dove è ancora praticato l’allevamento sia di bovini sia di una particolare razza autoctona di capra da latte denominata “Frisa”. Giunti all’ampia sella del Passo dell’Alpe (2463 m) il panorama si apre verso la Valfurva e la Valle del Gavia.
Nelle vicinanze è possibile osservare i resti di linee fortificate risalenti alla Grande Guerra.
Dal Passo il sentiero prosegue in leggera discesa fino al Ponte dell’Alpe.
Lungo il percorso sono presenti diverse aree attrezzate ove sostare.

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  • Riserva

Riserva Naturale Pian di Gembro

Villa Di Tirano, Lombardia

La torbiera di Pian Gembro è una Riserva Naturale Parziale Botanica situata nel comune di Villa di Tirano tra Aprica e la località Trivigno.
L’origine della torbiera risale all’ultima glaciazione, circa 10.000 anni fa, quando una lingua del ghiacciaio dell’Adda defluiva verso quella dell’Oglio, modellando la conca di Pian Gembro, poi occupata da un lago che nel corso degli anni è stato invaso da detriti vegetali.
L’acidità del suolo e la carenza di ossigeno hanno rallentato i processi di decomposizione del materiale vegetale favorendo la formazione di uno strato di torba.
Nei primi anni del secolo è iniziata l’estrazione della torba per fini industriali, l’attività, sospesa da pochi decenni, se da un lato ha modificato profondamente il paesaggio dando luogo ad aree decorticate e pozze, dall’altro ha rallentato l’interramento della torbiera e la scomparsa delle specie vegetali caratteristiche di questi ambienti.
La vegetazione di Pian di Gembro presenta alcune specie, tipiche dei periodi post glaciali, rare nelle nostre zone e pertanto di particolare interesse botanico quali il Mirtillo di palude, l’Andromeda polifolia e l’Equiseto.
Altrettanto importante è la presenza di piante carnivore come la Drosera e la Pinguicola delle zone interrate o l’Utricularia delle pozze d’acqua.
La Riserva è sempre visitabile liberamente.

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  • Borgo

Parco delle Orobie Valtellinesi

Albosaggia, Lombardia

Risalendo la pianura padana verso nord s’incontra la catena alpina delle Orobie che si estende tra le province di Bergamo, Brescia, Lecco e Sondrio. Al versante meridionale, che si presenta dolce con valli caratterizzate dall’articolata morfologia, si contrappone quello settentrionale, che scende ripido verso il fiume Adda segnato da profonde incisioni vallive perlopiù parallele. Su questo versante, che si specchia nella catena delle Alpi Retiche a nord, si estende il Parco delle Orobie Valtellinesi. Il suo confine superiore coincide con quello della provincia di Sondrio lungo lo spartiacque tra il monte Legnone, a ovest, fino al passo dell’Aprica, a est. Il confine inferiore si attesta mediamente intorno ai 1000 metri di altitudine. Un territorio straordinario per la diversità e la varietà dei suoi ecosistemi: rupi, ghiaioni e vallette nivali sulle cime, praterie alpine a scendere fino ai boschi di conifere e di latifoglie, ruscelli, laghetti e torbiere.
La formazione delle Alpi Orobie risale a circa venti milioni di anni fa, nel Miocene, durante l’Orogenesi Alpina. La maggior parte della catena è formata da rocce di origine metamorfica, come gneiss, micascisti e filladi, mentre solo lungo lo spartiacque affiorano rocce di tipo sedimentario. L’attuale morfologia delle valli orobiche è il risultato dell’azione congiunta di fenomeni diversi, a cominciare dall’azione dei ghiacciai e delle acque, che hanno determinato l’erosione dei versanti. I torrenti hanno lasciato segni evidenti nelle profonde forre modellate nel tratto conclusivo, prima di sfociare nell’Adda. Ai ghiacciai si devono i caratteristici profili a ‘u’ dei tratti più in quota delle valli, le rocce montante e i numerosi laghetti. La diversa composizione del substrato, la morfologia variegata e l’elevata escursione altimetrica delle Orobie sono all’origine dei diversi ambienti che le distinguono da altre zone montante, ciascuno caratterizzato da una particolare componente vegetale e animale.
Le Orobie valtellinesi conservano i segni del glorioso passato che le ha caratterizzate quale via privilegiata per i traffici commerciali tra i due versanti e per le attività agricole e pastorali. Storia e tradizioni rivivono lungo l’antica Via Priula, transitabile dal 1593, quando la Valtellina era dominata dai Grigioni e la valle Brembana dalla Repubblica veneta. Gli scambi commerciali erano vitali per un’economia povera, fondata sull’agricoltura, che non garantiva il necessario sostentamento alle popolazioni delle valli orobiche. Durante la Prima guerra mondiale, su queste montagne venne realizzato un imponente apparato difensivo, noto con il nome di Linea Cadorna, che attraversava trecento comuni dal lago Maggiore al pizzo del Diavolo. I resti delle trincee sono visibili in val Gerola e al passo del Verrobbio. Della storia locale fa parte anche l’Homo Selvadego, il protagonista di leggende popolari raccontate davanti al fuoco nelle gelide serate invernali. La sua immagine si ritrova dipinta sui muri all’interno di un edificio a Sacco, in val Gerola, oggi diventato un museo.
Il prodotto tipico che più di ogni altro rappresenta le Orobie valtellinesi e, in particolare, le valli di Albaredo e di Gerola, è il formaggio Bitto, la cui lavorazione risale ai Celti, oggi riconosciuto con la Dop, la Denominazione di origine protetta. Prodotto soltanto nel periodo estivo sugli alpeggi con il latte delle mucche di razza bruna alpina, si gusta quale prelibato formaggio da tavola o come prezioso ingrediente dei rinomati piatti della cucina valtellinese. Gli allevatori delle Orobie hanno sviluppato nei secoli la loro abilità nell’arte della caseificazione. Oltre al formaggio Bitto sono rinomati una variante della ricotta, qui nota come maschèrpa, e il matusc. Rinomato è anche il miele d’alta montagna, prodotto sopra i mille metri di quota, e il monoflorale al rododendro, la cui disponibilità risente dell’andamento climatico. Tra i dolci è diffusa la tradizionale bisciola, una pasta lievitata con frutta secca.
Nelle Orobie valtellinesi crescono rigogliosi boschi di latifoglie alle quote inferiori e di conifere più in alto, favoriti dall’esposizione settentrionale del versante e dalle abbondanti precipitazioni. L’abete rosso è l’albero più diffuso del Parco, l’abete bianco e il faggio prevalgono nel settore occidentale, il larice e il pino cembro alle quote più elevate. Rododendri, ontani e ginepri segnano il passaggio dalla foresta alla prateria alpina che, durante la stagione estiva, si colora delle loro vistose fioriture. Vere e proprie perle botaniche sono la Sanguisorba dodecandra, lungo i corsi d’acqua a est, e la Viola Comollia, una rarità nei ghiaioni d’alta quota, e la Androsace Brevis, che cresce nelle pietraie colorandole con i suoi petali dal rosa al viola. Gli ambienti rupestri e quelli periglaciali ospitano specie che si adattano a condizioni estreme come le sassifraghe, Corydalis lutea e Ranunculus glacialis.
La fauna del Parco ha il suo emblema nel gallo cedrone, che qui trova luoghi ancora adatti alla riproduzione; l’uccello schivo e prudente è il simbolo del Parco. Passeggiando sulle Orobie è possibile incontrare caprioli, camosci e stambecchi, animali tipici delle Alpi che qui trovano il loro habitat. I boschi di conifere così ben conservati sono scelti da animali molto esigenti come il picchio nero, le due specie di civette, nana e capogrosso, la martora che difficilmente si adattano. Alcune pareti rocciose ospitano il nido dell’aquila reale, mentre una delle prede favorite dal rapace, la marmotta, abita le praterie d’alta quota. . A tutti gli animali le Orobie garantiscono le condizioni ideali per vivere e riprodursi.

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  • Riserva

Riserva Naturale del Pian di Spagna

Dubino, Lombardia

La Riserva naturale Pian di Spagna e lago di Mezzola si estende su un’area di poco meno di 1600 ettari nei comuni di Sorico e Gera Lario, in provincia di Como, e nei Comuni di Dubino, Verceia e Novate Mezzola, in provincia di Sondrio.
Questa area pianeggiante si trova incastonata tra diversi monti appartententi alla catena alpina: il massiccio montuoso del Monte Berlinghera, appartenente alle Alpi Lepontine a nord-ovest, le cime granitiche delle Alpi Retiche che abbracciano la Valle dei Ratti e la Val Codera a nord-est, mentre a sud spicca il monte Legnone.
Questa area protetta, nella quale troviamo addirittura ben tre diversi bacini idrici – più a sud la parte sommitale del lago di Como, poi il lago di Dascio e più a nord il lago di Mezzola – riveste una particolare importanza sotto l’aspetto paesaggistico e naturalistico. Terraferma, laghi e fiumi creano un ecosistema unico in cui troviamo una ricca varietà di flora e fauna, tipica degli ambienti umidi e lacustri.
Caratteristico, specialmente lungo le sponde meridionali del lago di Mezzola, è il canneto, habitat idoneo per l’avifauna selvatica, per poi trovare praterie igrofile man mano che ci si avvicina alla terraferma.
Ricchissima la fauna, costituita da:
– avifauna: Anatre tuffatrici (Moretta, Moriglione, Moretta Tabaccata, Quattrocchi) o Anatre di superficie (Germano reale, Alzavola, Marzaiola, Fischione), Cigni, Rallidi (Folaga), qualche rara anatra di mare (Orco Marino), Svassi, Strolaghe, Cormorani, Smerghi, Gabbiani e Mignattini; lungo i torrenti troviamo il Merlo acquaiolo, il Martin Pescatore e la Ballerina gialla. Sicuramente vedrete anche Tordi, Fringuelli, Cornacchie, Cince, Picchi e Capinere;
– invertebrati: sgargianti farfalle, leggiadre libellule e altri insetti acquatici;
– pesci: la trota fario, la trota iridea, l’agone, il lavarello, l’alborella, la carpa, il cavedano, il vairone, il pigo, il trotto, la scardola, la tinca, la bottatrice, l’anguilla, il luccio, il persico;
– anfibi: la Rana verde minore, la Raganella, il Tritone punteggiato e il Tritone crestato e il Rospo comune, che in primavera compie lunghi e rischiosi spostamenti;
– rettili: in acqua la Natrice tassellata e la Natrice dal collare, comunemente chiamata biscia d’acqua, sulla terra la Lucertola muraiola, il Ramarro, il Biacco, che può raggiungere anche i due metri di lunghezza;
La Riserva naturale Pian di Spagna e lago di Mezzola si trova in una zona di interesse storico-culturale: il forte di Fuentes e Forte Montecchio Nord a Colico e il tempio romanico di San Fedelino a Sorico rappresentano due tesori archittetonici di cui andare fieri.

Un ambiente ricco sotto ogni punto di vista che offre interessanti escursioni per ogni gusto. Tanti itinerari e passeggiate immersi nella natura e nella storia e punti di osservazione dislocati in diversi punti della riserva.
Particolarmente indicato per famiglie con bambini.
La Riserva offre la possibilità di percorsi personalizzati, visite guidate e attività ludico-didattiche per le scuole.

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  • Sportivo

Ponte nel Cielo

Tartano, Lombardia

UN COLLEGAMENTO DIRETTO TRA CAMPO E IL MAGGENGO FRASNINO, A OLTRE 140 METRI DI ALTEZZA. E’ il ponte tibetano più alto d’Europa.
Nel 2016 parte l’iniziativa della passerella, un ardito ponte tibetano che collega Campo Tartano con il maggengo Frasnino, sul modello di altre realizzazioni in Svizzera ed in Austria che hanno avuto un grande successo. Dal ponte tibetano si può ammirare lo spettacolare scenario delle nostre care montagne, la sella di Campo Tartano, le imponenti vette ed i ghiacciai delle Alpi Retiche, la verde vallata del Tartano, la diga di Colombera, il fiabesco maggengo Frasnino e l’apertura del fondovalle valtellinese che culmina nel lago di Como per tramonti indimenticabili. I soci del consorzio, valligiani ed altri cari amici tutti accomunati dall’amore per la montagna, con proprie risorse, hanno reso possibile la costruzione di questa grande opera che aiuterà la piccola ma bella Val Tartano a non rimanere abbandonata a se stessa. Lo sforzo economico ed umano per sostenerne la costruzione é stato affrontato con lo spirito proprio degli antichi consorzi, l’unione delle forze di tante persone per un valido fine comune condiviso.

234 M
Lunghezza
140 M
Altezza
1 M
Larghezza
1034 M
Quota partenza (Campo)
1038 M
Quota arrivo (Frasnino)
2018
Anno di costruzione

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  • Sportivo

Passi alpini (bici su strada)

Bormio, Lombardia

Stelvio, Gavia, Mortirolo, Spluga, San Marco: sono questi i più celebri e i più spettacolari transiti alpini, che fanno sognare i ciclisti di tutto il mondo. E da tutto il mondo pedalatori di ogni età si mettono in gioco e sfidano questi giganti resi famosi dal Giro d’Italia. Il ciclismo su strada registra numeri in crescita ed anche l’affluenza su questi passi si è fatta negli anni più numerosa.
Passo dello Stelvio
Una spettacolare serie di tornanti (40 sul versante lombardo, 48 su quello altoatesino), si incontrano al Passo dello Stelvio (2.758 m) collegando la Valtellina con l’Alto-Adige.
Appena più sotto al passo, nel versante valtellinese, la strada incrocia il Passo dell’Umbrail che porta in Engadina (Svizzera).
Una salita tra le più ambite dai ciclisti che possono ripercorrere le strade dei campioni del Giro d’Italia. Siamo nel Parco Nazionale dello Stelvio e partendo da Bormio si incomincia a salire tra boschi e maestose pareti rocciose; più in alto il paesaggio si apre in pianori erbosi in compagnia di ricchi salti d’acqua. Nella prossimità del passo, il panorama si apre sulla Valle di Trafoi e sui ghiacciai del monte Ortles che, con i suoi 3.905 metri, rappresenta la cima più alta del Parco dello Stelvio.
Passo Gavia
Il Passo Gavia, nel territorio del Parco dello Stelvio, è uno dei passi alpini più alti d’Europa (2.652 m s.l.m), secondo solo allo Stelvio. Mette in collegamento la Valtellina con Ponte di Legno. Da S. Caterina Valfurva la strada guadagna 900 metri di dislivello in circa 13 chilometri immersi dapprima in boschi di abeti, larici e cembri per poi entrare nelle praterie di alta quota del Passo Gavia e nel paesaggio frutto della millenaria azione dei ghiacciai del Tresero e del Dosegù.
Passo del Mortirolo
Tra i passi mitici della Valtellina, quello del Mortirolo raggiunge “solo” 1.852 m s.l.m., ma se pensate ad una passeggiata vi sbagliate di grosso. La pendenza in alcuni punti raggiunge il 23%, ogni curva in salita ne nasconde un’altra più difficile e prenderete fiato solo all’arrivo.
Dal fondovalle valtellinese si può salire al Passo del Mortirolo da diversi punti di partenza:
a) da Mazzo di Valtellina, con 12 chilometri di salita e 1.300 metri di dislivello;
b) da Grosio (frazione Tiolo) con 14 chilometri di salita e 1.100 metri di dislivello;
c) da Tovo Sant’Agata con 12,5 chilometri di salita (anche strade cementate) e più di 1.300 metri di dislivello (salita durissima: pendenza massima 23%).
Dall’estate 2020 in cima al passo è stata realizzata una piccola struttura ad uso dei ciclisti, con spogliatoio, servizi e punto di ricarica e-bike.
Passo dello Spluga
Una delle salite classiche della Valchiavenna del ciclismo su strada è quella che parte da Chiavenna e arriva al Passo Spluga che segna il confine con la Svizzera.
Lasciato il cuore della cittadina si inizia a salire affrontando un primo tratto in pendenza all’altezza del nucleo di Bette.
Si prosegue affiancando il Torrente Liro attraversando gli abitati di San Giacomo Filippo, Gallivaggio con il Santuario dedicato all’apparizione, Lirone e Cimaganda.
Dopo la piana di Campodolcino e i dieci tornati di Pianazzo, si incontra il bivio che a destra conduce alla rinomata stazione turistica di Madesimo, mentre a sinistra iniziano i tornanti e le gallerie degli Andossi da dove si gode del panorama su tutta l’alta Vallespluga. Si giunge poi al lago artificiale di Montespluga, al paesino omonimo e agli ultimi ripidi tornanti che salgono fino al Passo (2.115 m).
Passo San Marco
Il passo collega la Valtellina alla Val Brembana in provincia di Bergamo. È un valico d’importanza storica che collegava la Repubblica di Venezia ai paesi di lingua tedesca. Nel 1590 ebbe inizio la costruzione della nuova strada detta “Priula” dal nome del podestà di Bergamo Alvise Priuli. Ancora oggi, a fianco della nuova strada asfaltata, corre l’antico percorso con tratti di acciottolato. Per bikers esperti e in possesso di mtb full-biammortizzata è possibile tornare dal passo a Morbegno seguendo il ripido e vecchio tracciato.

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  • Eccellenza Urbana / Centro Storico

Centro storico di Bormio

Bormio, Lombardia

Grazie alla sua posizione centrale lungo le rotte commerciali del Nord e del Sud Europa, Bormio godette a lungo di forte autonomia e ricchezza che si rispecchia ancora oggi nel suo centro storico.

Passeggiando tra i vicoli e le viuzze del centro storico, un gioiellino dove resti medievali si mischiano a quelli del XIV-XVI secolo, epoca d’oro del contado, potete incontrare numerosi edifici civili e quelli religiosi e il simbolo del paese, il Kuerc.

Immergetevi nell’atmosfera di quella che fu, per settecento anni, una democrazia nel cuore delle Alpi, in cui la modernità ha fatto solo capolinea lasciando intatti scorci e panorami.

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  • Museo

Mulino di Bottonera

Chiavenna, Lombardia

Il Mulino di Bottonera, fondato nel 1867, sorge nel vecchio quartiere artigianale di Chiavenna: una zona che è stata caratterizzata dalle attività che utilizzavano l´acqua del fiume Mera attraverso una serie di canali.
Sorgevano mulini, una cartiera, un maglio, due fabbriche di ovatta, diversi birrifici ed il pastificio. Strutturato su tre piani ed organizzato secondo un complesso gioco di pulegge, nastri e macine proseguiva la sua attività ininterrottamente giorno e notte. Il lavoro era coordinato da un capo mugnaio che, con una squadra di operai, controllava il buon funzionamento delle macchine e il caricamento nei sacchi dei prodotti della lavorazione: farina, crusca, farinette. L´edificio cessò l´attività negli anni Sessanta. Grazie all´impegno dei volontari, che con circa nove mila ore di lavoro gratuito hanno recuperato in modo perfetto questa importante risorsa, è oggi possibile visitare il Museo strutturato su tre piani ed organizzato secondo un complesso gioco di pulegge, nastri e macine.

Bottonera, il quartiere artigianale
Il mulino dell´ex Pastificio Moro sorge in Bottonera, il vecchio quartiere artigiano di Chiavenna, edificato nell´800 nella parte alta della città, tra il fiume Mera e piazza Castello.
La Bottonera è stata caratterizzata dalle attività che utilizzavano l´acqua del fiume Mera attraverso una rete di canali destinati a fornire la forza motrice alle attività produttive come mulini, una cartiera, un maglio, due fabbriche di ovatta, diversi birrifici ed il pastificio. I canali ebbero la loro importanza sino alla fine degli anni 40 quando furono soppiantati dall´energia idroelettrica. Oggi la Bottonera, per quanto modificata, non ha perso le testimonianze della precedente “vocazione”. Percorrendo i vicoli del quartiere sono leggibili alcuni aspetti tipologici anche se le recenti ristrutturazioni hanno riconvertito gli edifici in sede di enti pubblici come la Comunità Montana, il centro scolastico per le scuole superiori, la Biblioteca centrale ed il Museo di valle.

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  • Patrimonio culturale Religioso

Basilica della Madonna di Tirano

Tirano, Lombardia

La Basilica della Madonna di Tirano sorge al crocevia tra l’Italia e la Svizzera, nel luogo dove la Madonna apparve nel lontano 1504.
Stando alla tradizione, all’alba del 29 settembre 1504 la Madonna apparve al tiranese Mario Omodei promettendo la cessazione della peste, qualora fosse stato costruito un tempio in suo onore nel punto esatto dove era apparsa, vale a dire vicino al ponte della Folla, al di fuori della cinta muraria urbana.

I tiranesi, confortati da una serie di eventi ritenuti miracolosi, subito si attivarono e in data 25 marzo 1505, nel corso di una solenne cerimonia, fu posta la prima pietra dell’edificio, ai piedi della medioevale chiesetta di Santa Perpetua.
Il Santuario a tre navate a croce latina è il più bell’esempio del Rinascimento in Valtellina.
Ricco fino all’esuberanza di stucchi e sculture, conserva, all’interno, un colossale organo, preziosa opera di intaglio iniziata nel 1608 del bresciano Giuseppe Bulgarini e completata nel 1638 dal milanese G.B. Salmoiraghi. In virtù della sua posizione è da sempre meta di fedeli provenienti da tutta l’Europa.
Papa Pio XII, nel 1946, proclamò la Beata Vergine di Tirano “speciale patrona celeste di tutta la Valtellina”.

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  • Museo

Castel Masegra – CAST

Sondrio, Lombardia

Il castello che domina Sondrio, in posizione strategica all’imbocco della Valmalenco, è l’unica struttura militare di Sondrio d’origine medievale ad essere rimasta integra e attiva fino ai giorni nostri.
Modificando nel corso dei secoli la sua funzione e la sua struttura architettonica, fino ad assumere l’aspetto così stratificato ed eterogeneo che oggi lo caratterizza, Castello Masegra riesce a fornirci uno spaccato sugli ultimi 700 anni di storia valtellinese.
La sua storia, come la sua testimonianza, è complessa: centro del potere feudale dei Capitanei, i signori di Sondrio, diventa elegante dimora signorile dei Beccaria nel Quattrocento e nel Cinquecento.
Alienato sul finire del secolo, passa al potente casato grigione dei Salis Soglio che ne faranno, dopo i torbidi e luttuosi eventi del ventennio che si apre col “Sacro Macello”, una fiorente azienda agricola.
Confiscato e riconvertito in caserma con l’annessione alla Cisalpina napoleonica, e infine, dal Secondo Dopoguerra, in distretto militare, il complesso è oggi di proprietà del Comune.
Di notevole interesse la camera picta rinascimentale custodita nella torre colombaia, con volta ad ombrello decorata con un prezioso ciclo di affreschi dell’ariostesco Orlando Furioso.
CAST, il “museo narrante” allestito fra le mura di Castello Masegra, è parte di un progetto più ampio che ha come tema la promozione della cultura alpina e del territorio che ne è depositario.
Cuore di questo percorso di valorizzazione sono le 3A della montagna (ARRAMPICATA, ALPINISMO, AMBIENTE) che diventano le protagoniste di un vero e proprio hub narrativo in continua evoluzione, grazie ad un variegato ventaglio di iniziative dentro e fuori CAST.

Dagli albori alla nascita del brand
La storia della valorizzazione di Castello Masegra si concretizza nel 2013, quando viene acquisito in proprietà dal Comune di Sondrio.
Da subito si individuano le linee del programma di riqualificazione e viene costituito un comitato tecnico scientifico formato da un responsabile di progetto affiancato da professionisti esperti in cultura e storia dell’alpinismo, educazione ambientale, comunicazione e design, didattica museale.

Gli obiettivi sono:
– rendere Castel Masegra un bene fruibile da un pubblico più ampio e diversificato;
– sviluppare l’indotto turistico della città di Sondrio e dell’area circostante in una dimensione di valorizzazione e rispetto degli elementi naturali.
Nel 2017 il progetto ottiene un importante finanziamento di Fondazione Cariplo e nel 2018 viene ufficialmente presentato il brand CAST, per identificare la mostra permanente fra le mura di Castello Masegra.
Il CAstello delle STorie di Montagna: non un mero spazio espositivo, ma un vero e proprio polo interattivo, in cui i racconti di arrampicata, alpinismo e ambiente possano essere fruiti dai visitatori e prendere vita in chiave esperienziale.
Partner e sostenitori sono:
Politecnico di Milano
Collegio Regionale delle Guide Alpine di Lombardia
CAI Nazionale e Sezione di Sondrio
Museo della Montagna di Torino
Sondrio Festival
Ecomuseo del Monte Rolla
Fondazione Bombardieri
Associazione Valtellin@ccessibile
Distretto Culturale della Valtellina
le aree protette della Provincia di Sondrio
AEVV Energie

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  • Museo

Museo Minerario della Bagnada

Lanzada, Lombardia

Il Museo Minerario della Bagnada si trova a Lanzada in Valmalenco.
Nasce con lo scopo di valorizzare il patrimonio minerario della Valmalenco: talco steatite, pietra ollare e serpentinoscisto per la copertura dei tetti.
Recuperata per fini museali, la Bagnada ha cominciato una nuova vita per la gioia delle migliaia di persone che, a partire dal 2008, ogni anno la visitano.
La miniera si sviluppa su nove livelli, quattro dei quali visitabili. Al suo interno si percorrono diverse tipologie di gallerie.
Ci sono quelle dove si estraeva il minerale, quelle di servizio, il locale che serviva per la conservazione degli esplosivi e per la preparazione delle cariche. Una di queste gallerie, grazie alla particolare acustica delle sue alte volte rocciose, ospita concerti e altri appuntamenti musicali.
In poco spazio vi si legge l’evoluzione delle modalità di coltivazione: dal pic e pala (piccone e badile) alla perforatrice ad aria compressa, unico strumento di modernità assieme a una piccolissima pala meccanica, anch’essa funzionante ad aria compressa.

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  • Arti, Saperi e Sapori

Muretti a secco e terrazzamenti

Albaredo Per San Marco, Lombardia

In Valtellina esiste la più grande area terrazzata vitata e non d’Italia. Sono infatti in totale 2500 i chilometri di muretti realizzati a secco. Nel 2018, i muretti a secco, o meglio “L’Arte dei muretti a secco”, ossia la tradizione e la cultura di quest’arte che ha reso storicamente coltivabili territori impervi come quelli valtellinesi, sono stati riconosciuti dall’Unesco come “Patrimonio immateriale dell’umanità”, un prestigioso riconoscimento internazionale.
La candidatura era stata presentata dall’Italia in collaborazione con Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera, a dimostrazione che l’arte del muretto a secco è un’opera culturale internazionale di grande rilievo.
La sistemazione terrazzata della vigna di Valtellina è l’elemento che maggiormente caratterizza il territorio. Attraverso la realizzazione del terrazzo è stato possibile recuperare allo sfruttamento agricolo le costiere pedemontane ed insediarvi le colture necessarie alla sopravvivenza delle popolazioni indigene.
Il sistema terrazzato della Valtellina si identifica con la realizzazione di una miriade di muri a secco in sasso che sostengono i ronchi vitati. Si tratta di un’opera iniziata millenni fa e portata avanti nel tempo attraverso la fatica e il lavoro quotidiano dei viticoltori che a tutti gli effetti contribuiscono al mantenimento del territorio.
Si stima che i muri si sviluppino per oltre 2500 km, con un’incidenza media/ettaro superiore ai 2000 mq di superficie verticale con costi estremamente elevati in termini di lavoro. Infatti a causa delle condizioni climatiche di tipo alpino, soltanto l’elevata esposizione delle ripide scarpate del versante Retico ed il calore ceduto per irraggiamento dalle sue rocce potevano fornire le condizioni ambientali per la coltura della vite.

La via dei terrazzamenti è un percorso che attraversa l’area più caratteristica del paesaggio valtellinese, i terrazzamenti vitati, posti a mezza costa, tra i 300 e 700 m di quota, sul versante retico della bassa e media Valtellina.
Si tratta di un itinerario a tratti ciclopedonale lungo settanta chilometri, che collega Morbegno a Tirano, e che può essere percorso da Sondrio in entrambe le direzioni.
Il percorso, complessivamente scandito da quaranta aree di sosta, serpeggia sul ripido fianco roccioso del monte, tra vigneti, meleti, e i tradizionali muretti a secco, passando per boschi, borghi storici, torrenti ed edifici, civili e religiosi, di grande interesse storico e artistico.

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