Parco Regionale dei Monti Picentini

Comune di NUSCO

  • Parco

Il Parco Regionale dei Monti Picentini si trova nel cuore dell’Appennino Campano, compreso tra le province di Avellino e di Salerno. È un complesso naturalistico di grande rilevanza sia sotto il profilo ambientale che idrogeologico. Racchiude il bacino idrografico più importante del mezzogiorno, infatti è dalle sorgenti dei Monti Picentini che nascono i fiumi Sele, Calore, Sabato, Picentino e Ofanto, le acque dei quali servono Napoli, l’Irpinia, fino al salernitano e alla Puglia. La vetta più alta è il Monte Cervialto, 1809 m., seguita dal Terminio, dal Felascosa, dal Raiamagra, dal Calvello, del Cervialto, dal Polveracchio, del Raia, del Nai, della Monna e del Costa calda. Ai piedi del Monte Cervialto si stende il Piano Laceno con l’omonimo lago.
Il parco è facilmente raggiungibile sia in auto, autostrada A16, statale 400, e autostrada Napoli Reggio Calabria, che con i mezzi pubblici.
Molti sono i punti di interesse all’interno del parco
Laceno è una frazione di Bagnoli Irpino incastonata in un paesaggio di straordinaria bellezza tra boschi, ruscelli ed imponenti catene montuose. Laceno con i suoi 16 km di piste è un riferimento per tutti gli amanti dello sci e della montagna. Il comprensorio sciistico del Laceno spazia da quota 1100 a quota 1700 m garantendo allo sciatore ogni tipo di emozione. Gli sport invernali praticabili sono vari: sci da discesa e fondo, snowboard, snowtubing, half-pipe, sky-cross. Le piste sono 11 per un totale di 16 km, tra cui la pista denominata nordica che offre il panorama sul golfo di Salerno. Per la morfologia del territorio a Laceno si trova una delle più importanti e conosciute cavità della Campania: le Grotte del Caliendo. Attualmente è percorribile solo nei periodi di magra estiva, sono in corso degli studi geo-speologici che hanno garantito i primi lavori per un accesso turistico. Caratteristica passeggiata anche quella sul Costone Raiamagra dove sarà possibile camminare a quasi 1700 m con lo sguardo rivolto al mare.
Lago Laceno è contornato da numerose vette che superano i 1500 m, quelle più interessanti per la presenza di una ricca flora e fauna sono: il Monte Cervialto 1809 m, il Monte Rajamagra 1667 m e il Mote Piscacca 1470 m. Sull’altopiano è presente l’omonimo Villaggio Laceno composto da decine di villette , residence e numerose strutture ricettive e l’offerta di escursioni organizzate e percorsi in mountain bike, nonché campi da tennis, campi da calcetto, parco giochi per i bambini, servizi di equitazione

L’area delle sorgenti del Sele è di grande bellezza, incontaminata e interessante anche perché da qui parte l’acquedotto più lungo del mondo e il terzo per portata d’acqua, noto come Acquedotto Pugliese, nasce a Caposele e termine a Santa Maria di Leuca.
A Caposele si trova il Santuario di San Gerardo Maiella, purtroppo distrutto dal terremoto del 1980. Il nuovo santuario è stato riaperto al culto nel 2000.
A Caposele si trovano anche i ruderi di un castello medioevale e a Bosco Difesa, un’area picnic in una faggeta, d’estate si tengono concerti di musica jazz e sagre.

A Calabritto si può visitare il Santuario della Madonna della Neve su un terrazzo naturale a circa 800 m di altezza. Secondo la leggenda la Madonna fece nevicare in questo luogo il 5 agosto, giorno in cui da allora viene festeggiata.
Da visitare anche la Chiesa e la grotta della Madonna del Fiume. Nella grotta la continua formazione di stalattiti ha dato origine a una credenza, di origine pagana, secondo la quale se una donna in attesa di un bambino beve l’acqua che goccia da una particolare stalattite si assicurerà abbondanza di latte.
Merita una visita anche il borgo Quaglietta con il suo castello di epoca normanna.

Tra i comuni di Senerchia e di Campagna si trova il Parco intercomunale del Monte Polveracchio che comprende due distinte oasi: l’oasi “Monte Polveracchio” e l’oasi “Valle della Caccia”, entrambe le oasi sono gestite dal WWF Italia in base ad una convenzione con i Comuni di Campagna e Senerchia.
L’Oasi “Valle della Caccia” oltre a essere caratterizzata da molte piante rare come l’Erica Terminalis e la presenza del lupo e del gatto selvatico offre una splendida passeggiata accompagnata dal dolce rumore delle acque fino a una bellissima cascata in una spaccatura della roccia. Di grande fascino anche la “grotta del muschio”, frutto di una concrezione calcarea. La visita dura circa un’ora.

Da Piano Canale partono due itinerari molto suggestivi; uno per “la Raia”, estrema cima del monte Riparossa, da dove si può ammirare tutto il panorama della Valle del Sele, l’altro itinerario è quello che porta fino ad una grotta, non molto grande, ma singolare già dal suo ingresso, in quanto si entra quasi distesi. Entrambi i sentieri sono percorribili all’incirca in 2h e 1/2, compresa la sosta.

La zona di Santo Stefano del Sole è nota soprattutto per le sue eccellenze gastronomiche. Il territorio è estremamente fertile, ricco di vigneti ed alberi da frutta, particolarmente note sono le ciliegie. I paccheri fatti a mano e conditi con un ragù di carne e pomodoro sono una specialità del luogo.

Il lago di Piana del Dragone, posto a circa 670 m sopra il livello del mare, è circondato da monti e da numerosissime piccole aziende dedite alla trasformazione lattiero-casearia ed alla commercializzazione dei relativi prodotti. In particolare, è caratteristica la lavorazione del fiordilatte vaccino e delle scamorze.
Abbondano anche i prodotti del sottobosco: funghi, origano, fragole e l’ottimo tartufo “Scorzone di Volturara” famoso per il suo aroma e profumo, e la produzione di castagne, in particolare la cosiddetta Palommina rossa di Volturara
Di grande interesse il Museo etnografico della Civiltà Contadina. Inaugurato il 17 luglio 1999, il Museo conserva e tramanda la storia e la vita contadina in un arco di tempo che va dall’ultimo decennio del 1800 sino agli anni ’ 60 del 1900. Oggetti, arnesi, arredi, ambienti, raccontano la famiglia patriarcale, la vita che seguiva il ciclo delle stagioni, le ricorrenze religiose, le fatiche nei campi, una storia “minore” ma un grande patrimonio culturale.

Nel territorio di Volturara Irpina, antica terra di briganti, è possibile effettuare interessanti escursioni a cavallo e si ha l’opportunità di ammirare un faggio ultracentenario, segnalato dalla pubblicazione del Corpo Forestale dello Stato come uno dei più vecchi alberi italiani.

A Montella, presso il complesso monumentale del Convento di San Francesco a Folloni, sono ospitati i Musei Civici di Montella. Folloni deriva dal latino”fullones”, ossia lavandai, perché nel periodo romano il luogo ospitava le folloniche dei tintori e dei lavandai.Proprio qui si insediò la prima comunità francescana, nel 1222. Il convento si trova a ridosso del fiume Calore e la sua fondazione si fa risalire allo stesso San Francesco che, andando pellegrino a Monte Sant’Angelo in Puglia, si fermò proprio in quel bosco, allora infestato di briganti. La tradizione vuole che durante la prima notte del suo pernottamento, nonostante l’abbondante nevicata, il leccio, sotto il quale il santo con i due confratelli che lo accompagnavano riposava, rimase asciutto mentre intorno era tutto bianco.
Sicuramente degno di nota è il Festival Internazionale del Cinema per Ragazzi di Giffoni, interamente dedicato ad un pubblico giovane. Nasce oltre trent’anni fa da un’idea dell’attuale direttore artistico, Claudio Gubitosi, allora diciottenne, si svolge ogni anno nel mese di luglio per la durata di dieci giorni. Ormai da essere una manifestazione poco più che regionale è un evento di respiro internazionale, a cui oggi aderiscono personalità del mondo cinematografico, culturale e musicale. Come scrisse in una lettera uno degli ospiti più prestigiosi, François Truffaut, «Di tutti i festival del cinema, quello di Giffoni è il più necessario». Nel tempo il Festival si è quindi evoluto, spaziando dal cinema alle altre specialità
Sorbo Serpico è paesino a soli 10 km di distanza da Avellino, completamente ricostruito dopo il sisma del 1980, merita una sosta gourmet: è Città del Vino, tappa delle Strade dei Vini e dei Sapori dell’Irpinia, nonché Città della Pace. È il luogo ideale per gustare il vino bianco “Fiano di Avellino” DOCG., dal sapore inconfondibile e dal profumo intenso e persistente, prodotto in luoghi con caratteristiche geografiche uniche ed incontaminate.
Nel Parco archeologico è possibile ammirare, tra l’altro, i resti di un castello medievale.

Anche Montemarano è definita “città del vino”, in quanto il suo territorio è inserito nel D.O.C.G. del “Taurasi” e come tale vengono commercializzati sia l’uva che il vino. È il posto ideale per gustare ed acquistare il rosso denominato aglianico.

Castelvetere è uno dei pochi borghi medioevali dell’Irpinia che ha conservato il suo aspetto originario nonostante il sisma del 1980. Il suo centro storico, dopo decenni di completo abbandono, è oggetto di un’imponente opera di recupero e valorizzazione. Il Borgo, attualmente gestito dall’Amministrazione Comunale, è stato ricostruito grazie al programma “Villaggi delle Tradizioni”. Una visita consente il parziale ma intenso recupero della memoria di tanti borghi irpini cancellati per sempre dal terremoto.

Interamente nel territorio comunale di Acerno (paese delle cento acque) si trova il Sentiero delle Acque, realizzato nel 2010 con l’associazione Agape splendido sia per le bellezze naturalistiche, sia per la valenza storica. Il percorso che parte da Acerno e scende al mulino, per poi risalire in montagna ed attraversare zone d’acqua, cascate e ruscelli, si ricollega a valle, al Sentiero dell’archeologia industriale, dove un tempo vi erano le ferriere e le cartiere di Acerno. Un tuffo nella natura pura, in un sentiero ricco di biodiversità e di sorprese tutte da scoprire.

Gli del luogo

Parco Regionale dei Monti Picentini

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  • Arti, Saperi e Sapori

I Tesori Borbonici: La Seta di San Leucio e il Complesso Monumentale del Belvedere

Caserta, Campania

Tra tutti i periodi storici, quello Borbonico fu per Caserta e la Campania il più glorioso e riconoscibile per palazzi, monumenti e residenze degne di una capitale Europea.
Soprattutto il regno di Carlo III di Borbone, primo e più importante tra i re della dinastia, tra il 1734 e il 1759, produsse così tanti cantieri di grande magnificenza, da sottolinearne il livello raggiunto e competere in grandiosità con i reali francesi per la supremazia culturale.
La più famosa è la Reggia di Caserta, che per motivi di sicurezza fu costruita a nord della capitale, ma che, per rivaleggiare con la reggia di Versailles, fu progettata dal grande architetto Luigi Vanvitelli, come simbolo di splendore e mecenatismo.
Nelle immediate vicinanze merita una visita il Borgo di San Leucio, la città ideale, che a fine ‘700 riforniva di tessuti i sovrani borbonici e che ancora oggi mantiene viva la preziosa arte della tessitura. Intuizione del re Ferdinando IV di Borbone, che fece edificare un vasto setificio e raccolse intorno ad esso una colonia di operai, in una struttura urbanistica organica e simmetrica, regolata con un codice scritto di suo pugno che doveva assicurare la felicità dei sudditi.
Oggi è possibile ripercorrere le tappe salienti del successo serico ammirando antichi macchinari, telai, manufatti, torcitoi e non solo presso il “Museo della seta”
Il Museo è composto da diverse sezioni: la sezione di archeologia industriale, ossia l’antica Fabbrica della Seta, l’Appartamento Storico e i Reali Giardini. Ciò che caratterizza questo Sito è lo strettissimo rapporto storico determinato dall’edificio-contenitore e la raccolta di beni presente in esso formandone un tutt’uno. Il percorso di visita, arricchito da dispositivi multimediali che aiutano la comprensione dell’enorme lavoro che c’è dietro ogni prodotto serico, si articola in:
• Sezione di Archeologia Industriale, si sviluppa su due piani e ospita numerosi macchinari e attrezzature dell’epoca utilizzate nelle varie fasi della lavorazione della seta. In particolare evidenza sono i nove telai a mano, tutti restaurati e funzionanti, per la produzione di broccati, broccatelli, lampassi, damaschi e della famosa “coperta leuciana” (un magnifico tessuto di damasco ad una spola, di grandi dimensioni, la cui produzione si afferma nella seconda metà dell’ottocento). Tra le eccezionalità si annoverano i due grandi torcitoi cilindrici in legno, sui quali 1200 rocchetti girano all’unisono, ricostruiti negli anni novanta del secolo scorso secondo i disegni originali e mossi dalla ruota idraulica posta nel sottosuolo. Nella parte finale della sezione sono esposti vari tessuti serici di moderna fattura, per poter finalmente toccare con mano la ricchezza e la delicatezza del prodotto finito.
• Appartamento Reale, composto da una serie di stanze particolarmente affascinanti, in cui la seta è sempre protagonista. Tra tutte spiccano: il Bagno Grande, cosiddetto “Bagno di Maria Carolina”, interamente dipinto ad encausto nel 1792 dal primo pittore di corte, Philiph Hachert; la sala da pranzo, dipinta con storie della vita di Bacco da Fedele Fischetti; la stanza da letto, sul cui soffitto campeggia l’Aurora, opera di Giuseppe Cammarano; il Coretto, da cui i sovrani assistevano alle celebrazioni liturgiche nella sottostante chiesa di San Ferdinando Re, tuttora aperta al culto.
• Sul fianco del Palazzo si aprono i Reali Giardini, disposti su sette terrazze. Dopo aver eseguito studi e rilievi approfonditi, si è potuta ottenere una conoscenza dei luoghi tale da poter riproporre anche la sistemazione dei giardini con le essenze e il disegno che originariamente ne componevano l’architettura.
Infine, è possibile visitare la Casa del Tessitore, un tipico esempio di abitazione dell’operaio leuciano, arredata con mobilio dei primi anni del ‘900, dove è ricostruito l’ambiente e le condizioni di vita dell’epoca.

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  • Castello/Fortezza/Rocca/Villa

I Tesori Borbonici: Real Sito di Carditello

San Tammaro, Campania

Il Real Sito di Carditello, situato nella provincia di Caserta, nel cuore della Campania Felix, fu costruito per volere di Ferdinando IV di Borbone nel 1787, nell’area individuata già alla metà del XVIII secolo da Carlo di Borbone e destinata all’allevamento, alla selezione di cavalli di razza reale e alla produzione agricola e casearia. Progettato dall’architetto romano Francesco Collecini, allievo di Luigi Vanvitelli, il Real Sito è composto da una palazzina centrale sormontata da un loggiato e da un belvedere, affiancata da altri edifici di servizio, e da un ampio galoppatoio ellittico, delimitato da due fontane con obelischi e con un tempietto circolare nel mezzo.

Negli anni, il complesso monumentale è passato attraverso vicende alterne e a partire dal 2004, con l’auspicato ‘vincolo’- dapprima limitato al solo edificio monumentale, ampliato poi all’area paesaggistica circostante – è iniziato il rapido processo di rivalorizzazione, sia grazie alla passione dei movimenti civici, che all’impegno del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, che lo ha acquistato nel 2013. A partire da queste premesse è stata costituita, nel febbraio del 2016, dal MiBACT, dalla Regione Campania e dal Comune di San Tammaro, la Fondazione Real Sito di Carditello.

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  • Arti, Saperi e Sapori

La vitivinicoltura del Vesuvio

Sant’ Anastasia, Campania

Le prime testimonianze delle tradizioni enologiche del Vesuvio si rintracciano in Aristotele, il quale racconta che i Tessali impiantarono le viti nella zona Vesuviana sin dal V secolo a.C.
Nel mito, Poseidone ed Efesto tennero a battesimo le prime bacche, Nettuno e Vulcano videro scorrere l’antico nettare dalle pendici del Vesuvio fino al mare.
Le divinità greche e romane del mare e del fuoco protessero i vitigni che affondavano le radici nel cuore di una terra ribollente allungando i loro tralci sulla costa tirrenica.
Due fulcri geologici vulcanici sono l’humus naturale dell’origine, evoluzione e peculiarità della viticultura campana: il complesso vulcanico Monte Somma – Vesuvio e i Campi Flegrei, tutt’oggi ambienti ideali e ricchi di varietà di vigne e di tradizioni culturali.
La superficie vitata si estende dalle prime falde fino all’altitudine di circa 700 m.s.l.m. dell’area vulcanica Monte Somma – Vesuvio.
I terreni godono di una diversa giacitura e possono essere distinti in 2 sottozone: l’Alto Colle Vesuviano (oltre i 200 m s.l.m.) con terreni tutti più o meno in pendio e il Versante Sud-Orientale, i cui terreni sono rivolti verso il mare.
Il Vesuvio è collocato tra il Golfo di Napoli, le impetuose catene dei Monti Lattari e l’Appenino Irpino. Il territorio beneficia dei venti provenienti dal mare che, uniti ai venti dei monti, garantiscono alla vite il microclima ideale per vegetare e produrre uve di straordinaria qualità.

Il suolo, di natura vulcanica e ricco di potassio, è formato in parte da depositi di ricaduta o di flusso ed in parte da depositi vulcanoclastici risedimentati localmente ad opera di acque di scorrimento superficiale.

L’areale di produzione può essere suddiviso in due macroaree:
– Il Vesuvio: l’area vulcanica venutasi a creare con l’eruzione del 79 d.C. con esposizione sul versante SUD, icona e simbolo della Città di Napoli e della Regione Campania. Il suo paesaggio rappresenta la facies terribile del Vulcano, a morfologia irregolare e ancora priva di un reticolo idrografico affermato.La vicinanza al mare e la presenza di un microclima più mite, caratterizzano i vini prodotti su tale versante.
– Il Monte Somma: l’originaria area vulcanica da cui è nato il Vesuvio, zona vitivinicola più antica e primordiale, con esposizione sul versante NORD. Il suo paesaggio rappresenta la facies tranquilla, verde, rigogliosa del Vulcano, con i suoi boschi di latifoglie e castagno, i terrazzamenti eroici che si inerpicano lungo i versanti, fino al limite del bosco, con gli albicoccheti e gli orti arborati lussureggianti e disordinati, che simulano essi stessi un boscogiardino ancestrale. Le forti escursioni termiche e un microclima fresco ed umido caratterizzano i vini prodotti su questo versante.
Tutto il territorio ricade nell’area del Parco Nazionale del Vesuvio, patrimonio di biodiversità.
La vitivinicoltura del Vesuvio ha preservato le sue particolari caratteristiche e i suoi tratti distintivi di antiche origini.
Il Caprettone e il Piedirosso, considerati ormai da diversi anni l’espressione della produzione vitivinicola del territorio, sono coltivati, sui declivi vulcanici, a piede franco, cosi da trasferire a ogni grappolo la tipicità del vitigno e l’impronta vulcanica dei terreni.
Le vigne, infatti, affondano le loro radici nella sabbia vulcanica la cui composizione impedisce alla Fillossera, nefasto parassita, di raggiungere l’apparato radicale della pianta.
L’esposizione dei vigneti, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, i terreni ricchi di declivi naturali, l’influenza della brezza marina che attraversa le vigne costantemente, la calda esposizione e la buona illuminazione, sono tutti fattori che concorrono a determinare un ambiente pedoclimatico particolarmente favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.
Non è difficile imbattersi in vigne centenarie e quelle ormai improduttive sono reimpiantate con l’antico metodo della propaggine, interrando un tralcio di una vite produttiva per far nascere una nuova pianta.
Gli anziani viticoltori hanno tramandato conoscenza e tradizione alle nuove generazioni consentendo così di preservare la biodiversità e la ricchezza ampelografica dell’area.
Le varietà autoctone più diffuse sono:
– Piedirosso;
– Caprettone.
I vitigni minori sono:
– Coda di volpe bianco;
– Aglianico;
– Falanghina;
– Catalanesca

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  • Termale

Le Terme d’Ischia

Casamicciola Terme, Campania

Le acque termali dell’Isola d’Ischia sono ben conosciute ed utilizzate fin dall’antichità.Già i primi coloni Euboici (VIII sec. A. C.), come dimostrano i numerosi reperti archeologici rinvenuti nel sito di Pithecusa e conservati presso il Museo Archeologico di Villa Arbusto a Lacco Ameno, apprezzavano ed usavano le acque delle sorgenti termali dell’Isola.

I Greci infatti utilizzavano le acque termali per ritemprare lo spirito ed il corpo e come rimedio per la guarigione dei postumi di ferite di guerra (in epoca pre-antibiotica!) attribuendo alle acque ed ai vapori che sgorgavano dalla terra poteri soprannaturali; non a caso presso ogni località termale sorgevano templi dedicati a divinità come quello di Apollo a Delfi.
Strabone, storico e geografo greco, cita nella sua monumentale opera geografica l’Isola d’Ischia e le virtù delle sue sorgenti termali (Geograph. Lib. V).

Se i Greci furono i primi popoli a conoscere i poteri delle acque termali, i Romani le esaltarono come strumento di cura e relax attraverso la realizzazione di Thermae pubbliche ed utilizzarono sicuramente e proficuamente le numerose sorgenti dell’Isola (come dimostrano le tavolette votive rinvenute presso la Sorgente di Nitrodi a Barano d’Ischia, dove sorgeva un tempietto dedicato ad Apollo ed alle Ninfe Nitrodie, custodi delle acque) anche senza fastosi insediamenti;
nell’Isola infatti non sono state rinvenute, come invece a Roma ed in altri centri termali dell’antichità, imponenti vestigia di edifici termali probabilmente per le eruzioni vulcaniche ed i terremoti che frequentemente ne hanno violentemente scosso le balze.
Il declino della potenza di Roma coincise con l’abbandono dell’uso dei balnea anche ad Ischia: non ci sono infatti tracce dell’uso delle acque nel Medioevo.

Di terme e termalismo si riprende attivamente a parlare nel Rinascimento ed un impulso decisivo alla moderna medicina termale venne dato da Giulio Iasolino, un medico calabrese, docente presso l’Università di Napoli, che verso la fine del 1500, affascinato dal clima e dai fenomeni di vulcanismo secondario (fumarole ed acque termali), intuendo le potenzialità terapeutiche del mezzo termale,Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
effettuò un meticoloso censimento delle sorgenti dell’Isola (per la prima volta appare la ricchezza idrogeologica del territorio isolano), ne individuò la composizione delle acque e compì dettagliate osservazione circa gli effetti delle stesse su numerose patologie che affliggevano i suoi contemporanei (nel descrivere la Sorgente del Castiglione, una delle più famose dell’epoca, Iasolino esprime tutto il suo entusiasmoper le acque termali: “Noi ogni dì vediamo operazioni e virtù di quest’acqua così meravigliose e stupende che veramente bisogna credere essere data dal cielo per la salute degli uomini”).

Con la pubblicazione del trattato “De Rimedi Naturali che sono nell’Isola di Pithecusa; hoggi detta Ischia” il Professor Iasolino liberò le acque termali di Ischia da quell’alone magico che fino ad allora ne aveva condizionato l’utilizzo.
Dopo le esperienze di Iasolino, agli inizi del ‘600, considerando che molte guarigioni si ottenevano con l’uso dei bagni termali e che le curead Ischia, abbastanza costose, potevano permettersele solo nobili e ricchi borghesi, un gruppo di nobili filantropi napoletani fece edificare nel comune di Casamicciola il “Pio Monte della Misericordia”, “stabilimento termale (per l’epoca) più grande d’Europa”, per permettere anche a chi non aveva adeguate possibilità economiche di godere delle qualità terapeutiche delle locali acque termali.
Dal ‘600 alla metà del ‘900 vennero costruiti in prossimità delle più rinomate sorgenti termali numerosi stabilimenti e strutture ricettive che fecero dell’Isola d’Ischia una rinomata stazione internazionale di cura e soggiorno dove vennero a curare le malattie del corpo, e non solo, personaggi celebri come Giuseppe Garibaldi, dopo la battaglia di Aspromonte, Camillo Benso conte di Cavour, Arturo Toscanini.
Dagli anni Sessanta, grazie alla lungimiranza ed all’intuito imprenditoriale del cav. Angelo Rizzoli, l’Isola d’Ischia e le sue acque si aprono ai grandi flussi turistici ed una intensa attività scientifica consacra le cure termali al rango di terapie alternative alle terapie farmacologiche per la cura di molte delle affezioni già perfettamente descritte da Iasolino.

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  • Festival

Pomigliano Jazz Festival

Pomigliano D'arco, Campania

Il Pomigliano Jazz Festival è una manifestazione musicale jazz che si svolge nel Parco Pubblico “Papa Giovanni Paolo II” nel mese di luglio a Pomigliano d’Arco (NA).

Il Festival è nato nel 1996, ad oggi è uno degli eventi musicali più importanti a livello campano. Vi hanno partecipato nel corso degli anni tanti artisti jazz del panorama italiano e internazionale, dando addirittura vita ad una etichetta discografica, Itinera, e ad una Fondazione, la Fondazione Pomigliano Jazz.

Nel 1996, sin dalla nascita il Pomigliano Jazz Festival si rivelò di altissimo livello grazie anche alla collaborazione con Umbria Jazz e al volontariato dell’associazione Metafore oltre che alla collaborazione dell’amministrazione comunale. Il battesimo dell’evento vide come ospite d’onore Herbie Hancock, alla sua seconda e ultima data in Italia dopo Perugia. Un anno dopo le cinque serate previste diventano consecutive, tre restano a pagamento e altre due totalmente gratuite come era successo anche nella prima stagione. Tra i nomi illustri quello di Roy Hargrove Crisol e Dee Dee Bridgewater. Nel 1998, tutto l’evento diventa gratuito e si decide di dedicare il tutto a George Gershwin. A ravvivare le serate, l’estro di Lester Bowie e i Brass Fantasy. Nella stagione successiva le serate scendono a tre, ma i talenti non mancano di certo.

Nel 2000 il Festival si sdoppia e comincia a prevedere anche una sezione invernale. Da questa edizione l’evento si ubica nella villa comunale di Pomigliano.

Nelle stagioni 2001 e 2002, le serate diventano quattro.

Nel 2003 ritornano al Pomigliano Jazz gli Art Ensemble of Chicago, già presenti in edizioni precedenti. La nona edizione invece, moltiplica gli spazi e dilata i tempi.

Nel 2011 il festival, per la prima volta, si è tenuto a settembre e non a luglio.

L’edizione del 2013 ha invece puntato a ridurre l’impatto ambientale agevolando la raccolta differenziata, il risparmio energetico e l’utilizzo di materiale di riciclo per gli allestimenti

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  • Arti, Saperi e Sapori

Procida Capitale Italiana della Cultura per il 2022

Procida, Campania

L’isola di Procida è stata nominata dal MiBACT Capitale Italiana della Cultura 2022; la commissione ha proceduto alla valutazione dei dossier di candidatura presentati e alla scelta della vincitrice.

“Il progetto culturale presenta elementi di attrattività e qualità di livello eccellente. Il contesto di sostegni locali e regionali, pubblici e privati, è ben strutturato; la dimensione patrimoniale e paesaggistica del luogo è straordinaria; la dimensione laboratoriale che comprende aspetti sociali e di diffusione tecnologica è dedicata alle isole tirreniche, ma è rilevante per tutte le realtà delle piccole isole mediterranee” la motivazione con cui la commissione ha nominato Procida Capitale Italiana della Cultura 2022.

Procida è la capacità di collegarsi al tempo ritrovato, è l’isola che non isola. Nel momento stesso dello sbarco, ti avvolge nel suo ritmo lento fatto di persone e di luoghi. Prima ancora che della Cultura per il 2022, è stata, è e sarà Capitale di relazioni, di inclusione, di cura e amore per l’ambiente marino e storico. Va vissuta preferibilmente a piedi, seguendo gli odori e i sapori che ti accolgono già a Marina Grande con il suo caratteristico Centro Storico affacciato sul Porto e, poco più in là, la spiaggia attrezzata di Silurenza. Proseguendo verso l’interno, in lieve salita, si arriva a piazza dei Martiri con la sua terrazza che domina il lato orientale dell’isola. Prologo della panoramicissima Terra Murata, l’antica città fortificata con il castello d’Avalos e l’Abbazia di San Michele. È la cosiddetta “montagna”, punto più alto e borgo medievale arroccato su un promontorio di tufo a picco sul mare, che per secoli è stato l’unico nucleo abitato di Procida.

Percorrendo la strada che scende si arriva alla Corricella, il coloratissimo borgo di pescatori dove tutto è autentico e genuino, anche i caratteristici locali nei quali è possibile mangiare a un metro dal mare. Case che sembrano dipinte coi pastelli: rosa, bianco, azzurro e verde, con porticine e finestrelle perennemente aperte. Un presepe marino, ma anche una storica location letteraria e cinematografica: qui fu allestito negli anni Cinquanta il set della casa di “Graziella”, il film tratto dall’omonimo romanzo di Lamartine; e qui, quarant’anni dopo, fu girato “Il postino”, ultima pellicola di Massimo Troisi.

Le spiagge più famose sono Chiaia e Chiaiolella. La prima garantisce, grazie alla scogliera e al fondale poco profondo, una maggiore fruibilità per le famiglie che vi arrivano munite di ombrellone e sdraio poiché l’arenile è per la maggior parte libero, anche se esistono delle zone attrezzate con dei lidi.

La Chiaiolella è invece la spiaggia più estesa dell’isola, spazi aperti si alternano agli stabilimenti balneari. Partendo da questa zona, si sale su una stradina stretta che costeggia un’area residenziale che affaccia sul lato sinistro della darsena. Si prosegue in una promenade che, tra ville con giardini a picco sul mare, natura e scorci mozzafiato, arriva a Punta Solchiaro, il promontorio più a sud di Procida‬ da cui ammirare Terra Murata e la terraferma da un punto di vista unico.

Altro luogo sospeso nel tempo e nello spazio è Vivara, riserva naturale collegata da un vecchio ponte alla “terraferma” di Procida. Verde e incontaminata, quest’area è popolata da una flora e una fauna selvagge che custodiscono reperti archeologici di origine micenea.

Tra natura e cultura, Procida ispira e inventa atmosfere che attraversano intatte gli effimeri e modaioli trend. È la sintesi perfetta della Campania che, nella sua unicità, ovunque e in ogni stagione riesce a stupire e sorprendere il viaggiatore.

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  • Parco

Parco Regionale del Matese

Piedimonte Matese, Campania

Il Parco si articola attorno al massiccio del Matese che con il Monte Miletto, la Gallinola ed il Monte Mutria, arriva a toccare il cielo. Il Matese si estende a cavallo tra Campania e Molise delle quali coinvolge 4 province Caserta e Benevento da un lato, Isernia e Campobasso dall’altro. Congiunge territori tra loro molto diversi, quello calcareo, aspro e splendente, composto da creste e profonde valli, e quello argilloso, dalle forme morbide e sinuose del versante adriatico. Clima continentale ad alta quota e mediterraneo a valle favoriscono l’alto grado di biodiversità del territorio. Peculiarità del parco sono i laghi: il Matese a 1000 metri, il più alto d’Italia, il Gallo e il Letino che vengono usati perlopiù per l’energia elettrica. Le grotte di Lete riservano ai visitatori grandi sorprese: le cascate della galleria superiore e le stalattiti e stalagmiti e le farfalle dagli occhi fosforescenti all’interno delle cavità. Il Parco del Matese è il paradiso degli escursionisti e degli sportivi: mountainbike, trekking, sci d‘erba e alpino, deltaplano, ma anche passeggiate a cavallo e escursioni speleologiche. Interessanti cittadine e borghi storici circondano il parcoche propongono interessanti itinerari culturali e artistici, enogastronomici e di artigianato.
Il Parco Regionale abbraccia i comuni campani di Ailano, Alife, Capriati a Volturno, Castello del Matese, Cerreto Sannita, Cusano Mutri, Faicchio, Fontegreca, Gallo Matese, Gioia Sannitica, Letino, Piedimonte Matese, Pietraroja, Prata Sannita, Raviscanina, San Gregorio Matese, San Lorenzello, San Potito Sannitico, Sant’Angelo d’Alife, Valle Agricola

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  • Arti, Saperi e Sapori

La vite maritata aversana

Aversa, Campania

La Regione Campania era denominata dai Romani Campania Felix, riferendosi alle di sicuro alle bellezze paesaggistiche e alla campagna che alla loro epoca erano assai apprezzata. I Romani consideravano la Campania zona prediletta per costruirvi le ville dove trascorrere le vacanze. La Campania è stata senza dubbio uno dei primi e più importanti “centri” di insediamento, di coltivazione, di studio e di diffusione della vite e del vino nel mondo. Non a caso i migliori vini dell’antichità come il Falerno, il Greco, il Faustiniano, il Caleno erano prodotti in Campania.
L’Aglianico, il Fiano, il Greco, la Falanghina, il Per’ e palummo, l’Asprinio, la Biancolella, la Coda di volpe, la Forastera e gli altri vitigni autoctoni coltivati in Campania costituiscono, quindi, la naturale discendenza di questi antichi vitigni denominati come Vitis Hellenica, l’Aminea Gemina, la Vitis Apiana, le Uve Alopeci, l’Aminea Lanata o Minuscola, ecc.
Questi nettari furono cantati, lodati da poeti come Orazio e Virgilio e descritti da naturalisti come Plinio il Vecchio. Oggi un certo degrado ambientale ed un mutamento nelle tendenze colturali hanno ridotto la produzione campana di vini.
Fra le antiche e storiche uve autoctone d’Italia, un posto di rilievo spetta certamente all’Asprinio. La patria indiscussa dell’uva Asprinio è l’agro Aversano – in provincia di Caserta – dove ancora oggi quest’uva viene coltivata con il tradizionale metodo della vite maritata, un sistema di viticoltura tipicamente Etrusco in cui la vite viene fatta arrampicare su alberi ad alto fusto, tipicamente il pioppo. Nonostante il sistema sia oggi in declino, è possibile ammirare ancora – viaggiando per le campagne intorno ad Aversa – il suggestivo spettacolo delle cosiddette alberate Aversane che si stagliano nel cielo anche ad altezze di 15 metri.
La testimonianza più antica della viticoltura risale al VI secolo a.C. Al tempo degli etruschi esisteva una particolare teoria sulla coltivazione delle viti: si usava la vite “maritata” a piante ad alto fusto, potata ed educata come una liana. Successivamente la scuola greca ha introdotto sistemi che allevano che la vite come arbusto sostenuto da un tutore; esempi del primo tipo sono a Caserta l’Asprino, allevato altissimo consociato a pioppi o gelsi oppure i vecchi testucchi di Taurasi, mentre esempi della seconda forma di allevamento sono gli alberelli pugliesi o la moderna spalliera.
In epoca romana, la vite fu “addomesticata” con l’utilizzo di pali e ci fu il ricorso a potature annuali. In questo modo la viticoltura campana raggiunse il massimo splendore.

Si ringrazia per il contributo di dati e di fotografie: Prof. arch. M. Isabella Amirante, arch. Antonella Violano: Dipartimento di Restauro e Costruzione dell’Architettura e dell’Ambiente Seconda Università degli Studi di Napoli

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  • Borgo

La perla del Sannio – Borgo Sant’Agata de’ Goti

Sant’agata De’ Goti, Campania

La cittadina di Sant’Agata de’ Goti in provincia di Benevento si compone di due parti distinte. La città moderna, nata a partire dal XIX secolo e quella antica di fondazione romana, molto suggestiva e affascinante. Il centro storico dal 2012 è stato inserito nel circuito de “I borghi più belli d’Italia”. Inoltre gli è stata riconosciuta la Bandiera arancione del Touring Club Italiano e dal 2005 fa parte dell’associazione Nazionale Città del Vino. Attorno al centro urbano vi è un pullulare di contrade, masserie, di diverse dimensioni che risalgono all’invasione longobarda. La cittadina immersa nel territorio sannitico è stata denominata “Perla del Sannio“. Per la sua bellezza, il suo clima mediterraneo, sempre mite e gradevole e, per i corsi d’acqua che attraversano il suo territorio. Prende anche il nome di “gioiello della Valle Caudina”, per la valle omonima, dove, in epoca romana, si consumò la più vergognosa sconfitta per l’esercito romano: la battaglia delle forche Caudine.

Il suo nome è il frutto di una summa dei vari periodi storici e delle invasioni che l’hanno interessata nel corso del tempo. Nel periodo longobardo, VIII secolo, fu intitolata a santa Catanese e, per volontà di Radoaldo e Grimoaldo al suo interno fu costruita la chiesa di Sant’Agata de Amarenis. Da qui il paese prende la prima parte del nome. In epoca normanna, intorno al 1117, si aggiunge la seconda parte, con l’arrivo nel territorio di Sant’Agata della famiglia di feudatari francesi Drengot.

Il centro storico è costruito sul tufo e, osservando il borgo storico dal ponte del torrente Martorano si nota come la mano dell’uomo sia stata sapiente nella costruzione della città. Un perfetto connubio tra natura e intervento antropico. La roccia disegna una mezzaluna su cui poggiano le case, e gli edifici collettivi. Un miracolo ancora integro e che si staglia imponente sul costone. In fondo scorre il fiume che, accarezza la roccia e, veglia benevolo sulla città.

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  • Museo

Paleolab – Museo del Parco Geopaleontologico

Pietraroja, Campania

Il Paleolab è un museo multimediale che, attraverso varie esperienze interattive, permette al visitatore di intraprendere un viaggio indietro nel tempo fino ad arrivare al Cretaceo, periodo in cui Pietraroja si trovava ai margini di una laguna.

A quell’epoca risalgono i fossili di pesci, coccodrilli e salamandre, conosciuti fin dal 1700, e soprattutto lo Scipionyx Samniticus, il piccolo cucciolo di celosaurus vissuto 110 milioni di anni fa, che costituisce un unicum perché presenta ancora intatti gli organi interni e le fibre muscolari.

Il percorso di visita ha inizio con un ascensore geologico, una sorta di teletrasporto, grazie al quale il visitatore ripercorre in pochi secondi le epoche geologiche fino ad arrivare al Cretaceo. Gli exibit, le scenografie, i filmati e un grande acquario interattivo permettono nelle prime sale del museo di entrare in questo ambiente tropicale e di conoscerne gli abitanti. Tutti i reperti sono esposti in copia per motivi di sicurezza. Continuando il viaggio nel Paleolab il visitatore attraverso le varie sale ripercorre le fasi geologiche che hanno portato alla nascita dell’Italia e dei suoi rilievi. Le ultime sale del museo sono dedicate alla storia degli esseri viventi sulla terra e ai fossili che permettono di ricostruirne la storia.

Per i più piccoli è stato allestito un campo scavi per rivivere l’emozione delle scoperte paleontologiche ed è stato creato un laboratorio didattico dove è possibile, usando forme di gesso, creare un piccolo calco dei reperti esposti. Inoltre, attraverso la visione di cartoni animati, i ragazzi possono avere un riassunto semplificato di quanto visto durante il percorso di visita.

La visita si conclude nella sala proiezioni dove è possibile vedere filmati 3D sul sito paleontologico.

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  • Arti, Saperi e Sapori

La ceramica cerretese – laurentina

San Lorenzello, Campania

“Ceramica di Cerreto Sannita e San Lorenzello” è la denominazione che dal 1992 (anno dell’approvazione della legge per il riconoscimento dei centri italiani di antica produzione ceramica) ha sostituito le vecchie nomee di “ceramica cerretese” e “ceramica laurentina” che col tempo avevano diviso questi due vicinissimi comuni sanniti, separati geograficamente dal letto del Torrente Titerno.
Non a caso i manufatti e le decorazioni sono uguali in entrambi i due centri; ciò è dovuto al fatto che San Lorenzello è stato per secoli, assieme a Civitella Licinio, un “casale” (frazione) di Cerreto Sannita e per questo ne ha condiviso la storia e le sue tradizioni.

Tradizionalmente si suole far risalire l’origine della ceramica cerretese e laurentina alla fine del XVII secolo quando a seguito del terremoto del 5 giugno 1688 la ricostruzione della “nuova” Cerreto Sannita attirò diversi artisti forestieri fra i quali molti ceramisti come il Russo, lo Scarano, il Gaudioso, i Cinquegrani, i Marchitto e i Giustiniani. Ma ritrovamenti di materiale ceramico fra i ruderi di Cerreto antica (oggi conservati al Museo della ceramica) fanno pensare che anche prima del 1688 era presente in questo territorio locale una certa manifattura. Un’altra conferma ci viene data dalla relazione che il Vescovo De Bellis stilò a seguito di quel sisma e che dice che rimasero in piedi solo “..tre piccole casette d’un vasaio..”.

Il collezionista Salvatore Biondi nel suo libro “Storia delle antichissime ceramiche di Cerreto Sannita” ritiene che il manufatto più antico della tradizione locale sia un busto raffigurante l’Ecce Homo che nel XIV secolo era in possesso della prima badessa del Monastero delle Clarisse, Caterina Sanframondi. Di questa opera purtroppo resta solo un documento fotografico dato che oggi l’opera risulta essere dispersa. Nella collezione Biondi vengono citati anche alcuni manufatti che dopo alcune perizie di storici dell’arte furono datati al ‘400, al ‘500 e al ‘600. Della seconda metà del ‘400 è invece una piastrella di ispirazione iberica recuperata durante i recenti lavori di restauro della Chiesa della Madonna del Carmine.

Prevale quindi negli studiosi locali la tesi che a seguito del terremoto del 5 giugno 1688 la precedente tradizione venne innovata grazie alla venuta di maestri ceramisti napoletani che mischiarono le loro esperienze con i ceramisti locali.

Famosissimi ceramisti furono i Giustiniani ed in particolare Antonio che venne da Napoli per stabilirsi a San Lorenzello dove eseguì numerose opere fra le quali citiamo il timpano del portale della Chiesa della Congrega della Sanità, dai vivaci colori. Suo figlio, il più famoso Nicola (a cui è intitolato l’Istituto d’arte di Cerreto Sannita) tornò a Napoli e fondò una fabbrica di rinomate maioliche che operò sino a quando venne distrutta da un bombardamento nel 1943. Altra grande famiglia che preferì rimanere a Cerreto Sannita fu quella dei Marchitto il cui capostipite fu Domenico, deceduto nel 1669. I suoi figli continuarono ad esercitare quest’arte (una loro opera è la lunetta del portale della Chiesa di San Donato a San Lorenzello, attualmente esposto nell’Ex Palazzo Ducale di Cerreto) ed un suo discendente, Tommaso, fu più volte lodato dai Sovrani borbonici per le sue doti artistiche, ampiamente dimostrate nella “stufa” che egli regalò a Re Francesco I e nel presepe di famiglia che diede in prestito a Ferdinando IV per farlo esporre nella Reggia di Caserta. Tommaso Marchitto assieme al Duca di Pescolanciano fondò una fabbrica di maioliche i cui manufatti fecero esclamare al Re di Napoli la celebre frase “Ma queste sono ceramiche di Cerreto!”.

Nel 1957 la nascita dell’Istituto d’arte ha dato un nuovo impulso a questa antica forma d’arte e oggi le numerose botteghe di Cerreto e San Lorenzello ripropongono nei loro oggetti decori tradizionali ma anche moderni e sperimentali.

Caratteristiche. Manufatti caratteristici della ceramica di Cerreto Sannita e San Lorenzello sono le acquasantiere, le brocche, i piatti da pompa, le lucerne, le “riggiole” (mattonelle) e gli albarelli (vasi da farmacia). Le acquasantiere sono la testimonianza della grande fede dei nostri padri ma rappresentavano anche la potenza economica del committente: una acquasantiera barocca, ricca di aggiunte plastiche e di decorazioni valeva molto di più di una con uno schema più semplice.

Nelle ceramiche di Cerreto Sannita e San Lorenzello prevale il decoro paesaggistico largamente usato dai Giustiniani che crearono diversi pannelli con raffigurazioni immaginarie di case immerse nella natura. Fra i decori modulari (che si ripetono all’infinito) si annoverano le pavimentazioni che sono prevalentemente di due tipologie e cioè a rosa dei venti e a festone. Queste tipologie decorative trovano la loro massima espressione nella Chiesa di San Gennaro a Cerreto Sannita dove possiamo ancora oggi ammirare nella predella dell’altare maggiore (Nicolò Russo, 1730 – foto) splendidi festoni di carattere floreale che si mischiano ad elementi faunistici.

Immagini di carattere religioso sono invece proposte oltre che nelle già citate acquasantiere anche nelle edicole in ceramica che venivano poste sulle botteghe dei ceramisti per invocare protezione dato che le fornaci, spesso rudimentali, erano non di rado soggette a incendi. Queste edicole, sparse su alcune casette del centro storico di Cerreto Sannita, raffigurano nella maggior parte dei casi la Madonna col bambino, in alcuni casi attorniata da Santi.

I colori tipici sono il giallo, il verde, l’arancio ed il blu Cerreto, tutti filettati col manganese.

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  • Festival

Ravello Festival

Ravello, Campania

Il Ravello Festival, nella sua attuale configurazione, deriva da una serie di iniziative precedenti che ne fanno uno dei più antichi festival italiani. Va riconosciuto a Girolamo Bottiglieri e a Paolo Caruso l’ideazione dell’evento culturale che più di ogni altro avrebbe contribuito a costruire l’identità di Ravello come “Città della musica”. L’associazione del nome di Wagner alla Villa Rufolo, resa splendida e accogliente dal filantropo scozzese Francis Neville Reid, era troppo allettante per non suggerire l’idea di realizzare concerti in un sito benedetto personalmente dal grande compositore. Per questo motivo, negli anni Trenta, l’orchestra del Teatro di San Carlo vi si esibì più di una volta, con programmi legati appunto a Wagner. A uno di questi concerti presenziarono anche i Principi di Piemonte, e Ravello ricambiò l’onore della loro visita dedicando alla Principessa il belvedere che attualmente separa l’Hotel Palazzo Avino dall’Hotel Palazzo Confalone. L’idea rimase nell’aria, così che Paolo Caruso la ripropose, venti anni dopo, aggiungendovi l’ardita soluzione logistica di un palco sospeso nel vuoto. L’iniziativa prese corpo grazie all’impegno dell’Ente Provinciale per il Turismo, allora diretto da Girolamo Bottiglieri e, nell’estate del 1953, in occasione del settantesimo anniversario della morte di Wagner, i “Concerti wagneriani nel giardino di Klingsor” (come diceva testualmente la copertina del programma di sala) presero avvio con due serate affidate all’Orchestra del Teatro di San Carlo diretta da Hermann Scherchen e William Steinberg. Per anni Wagner è rimasto nume tutelare del festival e tuttora un’attenzione particolare viene devotamente riservata alle sue musiche.

Complessi e artisti
Nel corso di mezzo secolo, sul palco arditamente proteso verso il mare, si sono alternate eccellenti orchestre (Staatskapelle di Dresda, Münchner Philharmoniker, Royal Philharmonic, London Symphony Orchestra, complessi del Teatro Kirov di Leningrado e della Gewandhaus di Lipsia, Orchestra Nazionale della Rai, Orchestra del Maggio Musicale, Orchestre National de France, Filarmonica di San Pietroburgo, Orchestra Giovanile di Caracas); noti complessi da camera (la Chamber Orchestra of Europe, la Camerata Academica del Mozarteum di Salisburgo, il Trio di Trieste, il Quartetto Italiano); illustri direttori (Ashkenazy, Barbirolli, Barenboim, Chung, Davis, Frühbeck de Burgos, Gergiev, Järvi, Maazel, von Matacic, Mehta, Pappano, Penderecki, Prêtre, Semkow, Sinopoli, Spivakov, Tate, Temirkanov e Tilson-Thomas); importanti solisti (Argerich, Asciolla, Canino, Cassado, Ciccolini, Glass, Kempff, Lindbergh, Lupu, Pogorelich, Rampal, Repin, Rostropovich, Ughi, Weissenberg); famosi jazzisti (Bollani, Caine, Hancock, Marsalis); prestigiosi cantanti lirici (Behrens, Christoff, Cura, Domingo, Jerusalem, Meier, Raimondi, Salminen, Urmana) e pop (Noa, Ranieri, Toquinho); celebri compositori (Battistelli, Nyman, Sciarrino); danzatori e coreografi di successo (Bejart, Bill T. Jones, Bolle, Ferri, Martha Graham Dance Company, Petit); attori e registi di fama mondiale (John Malkovich, Margarethe von Trotta, Abbas Kiarostami, Fernando Meirelles, Dino Risi, Toni Servillo, Valeria Golino, Mario Martone, Palmer).

Musica e paesaggio
Ogni anno, puntualmente, i musicofili si accalorano sulla legittimità dei concerti all’aperto, punteggiati da suoni e rumori estranei alla musica. Ma, per i concerti di Villa Rufolo, vince il godimento complessivo dell’udito e della vista, dove l’imperfezione dell’uno è ampiamente compensata dalla magnificenza dell’altra. Come ha notato delicatamente Gore Vidal, “spesso, quando l’orchestra suona Wagner, la luna piena si alza dalle montagne i cui contorni ricordano un drago con la testa dolcemente reclinata sulla spiaggia, verso est, mentre gli uccellini di Ravello, musicalmente bene istruiti dopo tutti questi anni, fanno il contrappunto dall’alto dei pini scuri”.

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Eventi

Elea-Velia : Trekking Crinale degli Dei

Sportivo

Comune: Ascea

Mese di inizio: Dicembre

Durata: 10 Giorni

Sisma80 – La mostra

Culturale

Comune: Napoli

Mese di inizio: Dicembre

Festival Internazionale del Film “Laceno d’Oro”

Culturale

Comune: Bagnoli Irpino

Mese di inizio: Dicembre

Durata: 8 Giorni

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