Forte dell’Annunziata Museo Civico Archeologico Girolamo Rossi

Comune di VENTIMIGLIA

  • Museo

Il Museo Civico Archeologico, istituito nel 1938 e intitolato a Girolamo Rossi, lo scopritore della città romana di Albintimilium, è ospitato dal 1989 nel piano rialzato della Fortezza dell’Annunziata.
Dalla sua piazza d’armi si apre una veduta straordinaria che comprende, a occidente, la piana di Latte, i giardini botanici Hanbury e le grotte dei Balzi Rossi, fino ad arrivare a Cap Esterel; a oriente, la città moderna, oltre la quale si conservano i resti del municipium romano e lo sguardo si può spingere verso la punta di Sant’Ampelio a Bordighera, per perdersi ruotando nell’orizzonte marino.

Il Forte dell’Annunziata venne edificato, per volere del Governo Sabaudo, al fine di rafforzare il confine occidentale dei propri domini. Esso costituiva la ridotta del sovrastante Forte San Paolo, edificato nel XIII secolo dai genovesi a seguito della conquista di Ventimiglia (1222), cui era collegato con sotterranei e camminamenti e che a sua volta venne restaurato dai Sabaudi, dopo che Ventimiglia era divenuta piazzaforte militare nel 1814. Ai lavori preparatori sovrintese l’allora giovane luogotenente del Corpo Reale del Genio Sabaudo, Camillo Benso conte di Cavour, che soggiornò a Ventimiglia tra il 1828 e il 1829, e lo stesso re Carlo Alberto giunto in città il 2 aprile 1836 per far visita ai lavori.
Il Forte o Ridotta dell’Annunziata sorse sopra i resti del Convento dei Francescani Minori Osservanti, di cui mantiene tuttora la dedicazione, eretto nel 1503 sui resti della precedente chiesa di san lazzaro, citata dai documenti almeno a partire dal XIV secolo con l’annesso dormitorio destinato a lazzaretto.
Nel 1883, dopo la cessione di Nizza, la funzione di Ventimiglia quale piazzaforte venne dichiarata cessata, il Forte San Paolo demolito e la Ridotta declassata a caserma militare, con la denominazione di “Caserma Umberto I”. Nel 1931 venne edificato il piano sopraelevato per ospitare un contingente di bersaglieri, dal 1989 sede del Museo Civico Archeologico “Girolamo Rossi”. Nel piano rialzato della fortezza è ospitato il più prestigioso e completo museo archeologico della Liguria. Sviluppato su oltre 1.200 metri quadrati offre ai visitatori l’esposizione dei tesori trovati nell’area archeologica dell’antica Albintimilium, municipio romano d’importanza fondamentale nell’economia dell’epoca.
Il nucleo originario del museo si costituì nel 1876 con i primi scavi iniziati nella città romana di Albintimilium (attuale Ventimiglia) dall’erudito ventimigliese Girolamo Rossi (1839-1914). Solo dalla fine del 1989 si è riusciti a dare ai reperti una sistemazione definitiva.
Il museo si propone di raccogliere ed esporre al pubblico i materiali provenienti dall’antica Albintimilium, dal suo immediato suburbio e dalle collezioni archeologiche formatesi attorno agli scavi tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Si spera in breve tempo di ultimare i lavori in modo da poter documentare in maniera completa la vita dell’antico municipium.
C’è la possibilità di usufruire di un servizio di visite guidate e proiezione diapositive e di
attività didattica per le scuole di ogni grado.
La visita al museo ha inizio dalla Prima sala, in cui sono esposte le riproduzioni di mappe e documenti riguardanti il “contenitore” cioè la fortezza.

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Forte dell’Annunziata Museo Civico Archeologico Girolamo Rossi

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  • Festival

Il Festival Paganiniano

Carro, Liguria

I nomi sono numina, divinità, visioni e, in senso lato, possono essere considerati anche destini. Destini che possono procedere a passo lento o a passo andante su strade parallele e che mai riusciranno ad incontrarsi e altri invece che riescono ad incrociarsi e a diventare una storia.
La storia del Festival paganiniano di Carro è quella di una rete di amicizie che nel tempo, con passione e generosità, si è trasformata anche in un progetto, riuscendo a collegare, con fili invisibili, luoghi e persone, uniti dall’amore per la Val di Vara, per la sua gente, per la cultura e per la musica.
Il Festival paganiniano di Carro è un nome, e dunque un destino, che continua a passare di bocca in bocca, di paese in paese, di città in città. Ed è un nome che richiama a sua volta altri nomi: nomi di un luogo antico come Carro e di un’icona della cultura , come quello di Niccolò Paganini, i cui destini si sono incrociati da quando gli antenati del più famoso violinista di ogni tempo, secoli fa, scelsero di vivere in questo paesino arroccato nell’Appennino Ligure. Chissà da dove arrivavano. Il cognome Paganini sembra avere almeno tre ceppi, di cui uno nella Liguria orientale, e un possibile antenato fa capolino dal lontano XIII secolo: Paganino da Sarzana, personaggio singolare e ai più sconosciuto, poeta e rimatore di grande perfezione nel Vulgare, influenzato dalla lirica provenzale.
Se molti dei suoi scritti furono conservati dal celebre fiorentino Francesco Redi, a far sì che non venisse dimenticato è stato G.B. Spotorno ricordandolo nella Storia Letteraria della Liguria, pubblicata in 5 volumi a Genova nel 1858.
Qui, però, interessa ricordare che quando due o più parole si incontrano e unendosi ne formano un’altra – gli enigmisti insegnano – diventano una sciarada, diventano un’altra cosa. Diventano, come è successo con il Festival Paganiniano di Carro, una bellissima avventura fatta di incontri, emozioni, suggestioni, scorci, paesaggi, luci, suoni, sapori che molti non conoscevano e che altri credevano scomparsi. Con il progetto del Festival Paganiniano di Carro ad unirsi sono state non solo delle parole, ma visioni e volontà che hanno saputo creare un evento a cui tutti gli Amici del Festival hanno dato e continuano a dare un aiuto prezioso.
Il Festival è nato, idealmente, in una bellissima giornata dei primi di dicembre del 2001 quando a Carro, per la prima volta, vi fu la riunione delle Proloco liguri, fortemente voluta da Carmen Breschi, in quegli anni presidente della Pro Loco di Carro, di cui Teresa Paganini De Lucchi era l’insostituibile vicepresidente. Fu in quell’occasione, come spesso capita quando persone diverse si incontrano e si scambiano impressioni, che si delineò l’idea di riproporre per l’estate successiva qualche concerto dedicato a Niccolò Paganini come già in anni passati era stato fatto, in modo episodico e non continuativo.
Ad aiutare tutti noi che facevamo parte del direttivo della Pro Loco di allora a realizzare questo progetto fu, insieme alla Società dei Concerti di La Spezia, anche l’associazione Amici di Paganini di Genova che, nel febbraio del 2002, accettò l’invito di venire a passare una giornata a Carro. Il presidente Enrico Volpato e l’allora vice presidente Enrico Belloni concordarono con Gabriella Arbasetti, a quei tempi assessore per la Cultura del Comune di Carro, di pensare, nell’ambito di quello che cominciava a prendere forma di “Festival Paganiniano di Carro”, sotto l’egida della Pro Loco, un concerto che si sarebbe svolto nel carrugio Paganini.
La sera del 22 luglio in un’atmosfera sospesa e con l’emozione che sfiorava l’incredulità, molti di noi assistettero all’inaugurazione di quell’evento, ancor minuscolo, ma già grandioso.
L’Associazione Amici di Paganini di Genova aprì la manifestazione con Neli Mocinova al violino e Christian Giraudo alla chitarra, che suonarono musiche di Niccolò Paganini, Astor Piazzola, Jacques Ibert, Manuel De Falla.
La Società dei Concerti di La Spezia, nelle serate del 7 e 9 agosto, proseguì con i violinisti Valerio Giannarelli e Cristiano Rossi, il chitarrista Stefano Bartolommeoni, il pianista Marco Vincenzi e musiche di Paganini, Listz, Beethoven; grande successo riscosse poi, la sera dell’11, “Via Gattamora!” – luogo natale di Niccolò – lo spettacolo teatralmusicale di Luigi Maio, vulcanico autore e attore di una rilettura in chiave satirica della vita di Paganini. In fine, il Centro Lirico Concertistico Alta Valle del Vara concluse quel primo ciclo di spettacoli con un concerto pianistico eseguito dal Maestro Fernando Mainardi.
L’anno successivo, nel 2003, grazie ancora una volta all’interessamento e all’aiuto di Piergino Scardigli, allora presidente della Camera di Commercio di La Spezia, il progetto ha potuto continuare. Da quel momento ad organizzare i concerti fu unicamente la Società dei Concerti di La Spezia, il cui vicepresidente vicario Ernesto Di Marino ha sempre creduto fortemente nel progetto di un Festival paganiniano. I tre spettacoli si svolsero sempre nel carrugio Paganini, molto suggestivo e autentico, ma logisticamente difficile da gestire. Nell’estate 2004, con l’appoggio del sindaco di allora, Gino De Mattei, che riuscì persino a convincere il parroco Don Otello a non far suonare le campane durante gli spettacoli, i tre concerti vennero spostati nella bellissima piazza del paese dove, ogni anno, continuano a svolgersi.
Dal 2005 il Festival Paganiniano di Carro, oltre a trovare nella società Isagro, sponsor principale, un amico in più, è diventato itinerante, portando i concerti in altri paesi della Val di Vara: Beverino, Bolano, Brugnato, Calice al Cornoviglio, Maissana, Mattarana- Carrodano, Sesta Godano, Riccò del Golfo, Suvero- Rocchetta Vara, Porciorasco-Varese Ligure; al mare a Bonassola e in val di Magra ad Arcola, Nicola di Ortonovo, a Ponzano al Monte, a Santo Stefano Magra, ma anche a Levanto e a Vernazza. In questi “luoghi nuovi” il Festival ha trovato altri amici, molti dei quali oggi fanno parte dell’Associazione Amici del Festival Paganiniano di Carro, creata nel 2007 ed aperta, come declina lo Statuto, a tutti coloro che desiderino aiutare a promuovere il Festival e a valorizzare il territorio. Dalla prima edizione del Festival molte cose sono cambiate in Val di Vara. Si è rafforzata una cultura dell’accoglienza, sono nate nuove strutture e nuove economie.
Si sono restaurate vecchie case che rischiavano di essere abbandonate e andare distrutte. È ritornato ad essere prodotto e venduto anche un antico vino. Sono stati ripuliti vecchi sentieri e molti dei suoi paesini sono diventati una meta per chi desidera conoscere e gustare il sapore di rapporti sinceri. Dire che questo sia stato un risultato del Festival forse può sembrare azzardato. Sicuramente il Festival vi ha contribuito, a riprova di come la cultura – se mai ancora fosse necessaria una conferma – sia uno strumento straordinario non solo per creare sviluppo, ma per favorire nuovi incontri e attimi di felicità. Lo prova il successo di pubblico non solo del Festival, ma di tutte le manifestazioni culturali che il territorio propone in luoghi diversi. Per concludere non resta che affidarci, in vista delle prossime edizioni del Festival e delle future iniziative dell’Associazione, ai motti latini che meglio di qualsiasi altra spiegazione riescono ad esprimere quello che è stato, è e sarà il Festival Paganiniano di Carro: audacia nos ducat, comite fortuna. Che l’audacia ci conduca, se la fortuna vorrà esserci compagna.

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  • Museo

Polo Museale Alta Val Nervia – Chiesa Di San Bernardo

Pigna, Liguria

Il Polo Museale comprende il “Museo del cibo”, il “Museo della lavanda” e il “Museo etnografico della memoria contadina”.
Ha l’intento di presentare la tradizionale vita contadina dell’Ottocento e Novecento a Pigna e in Alta Val Nervia, fra la Riviera e le Alpi Liguri, valorizzare i prodotti tipici del territorio e la lavorazione della lavanda. Si rivedono i pastori attraversare le montagne con le loro greggi; i contadini indaffarati nella raccolta e nella distillazione della lavanda o di altre piante aromatiche, altri intenti alla coltivazione del grano, della vite e degli olivi nelle campagne attorno al borgo medievale dove, una volta, erano attivi anche numerosi artigiani: il calzolaio, il falegname, il fabbro.

All’origine, la chiesa di San Bernardo, la cui costruzione comincia tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento forse sopra un edificio anteriore, occupava un’ubicazione strategica circondata da uliveti coltivati: sorge su una area distante una decina di minuti a piedi dal centro abitato di Pigna e verosimilmente qui si fermavano i viandanti per la sosta notturna. Da subito la cappella è luogo di conforto spirituale e di rifugio nelle notti del Quattrocento dove ogni ingresso al centro abitato è pressoché impossibile nelle ore serali e notturne.
Questa chiesa è situata sulla vecchia via che collegava Sanremo, Baiardo, Pigna, Saorgio, Tenda. Era un’importante mezzo di comunicazione tra la costa ed il suo entroterra, la valle del Roja, la contea di Nizza, il basso Piemonte e le sue valli. Da qui passavano a dorso di mulo i prodotti provenienti dalla costa (sale, pesce salato, spezie) che insieme ai prodotti della mezza costa e della montagna (olio, vino, castagne) raggiungevano le valli del Cuneese e la pianura. Facevano ritorno verso la costa i prodotti caseari, latticini, grano ed altri importanti prodotti cerealicoli. Questa via si estendeva, escluso il tratto Sanremo e Baiardo, sul territorio controllato dal Duca di Savoia di cui Pigna era l’estremo presidio a Sud.

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  • Patrimonio culturale Religioso

Concattedrale, Palazzo Vescovile e Museo Diocesano

Brugnato, Liguria

La chiesa cattedrale risale al XII sec. e viene edificata, verosimilmente, nel momento in cui Brugnato diventa Diocesi suffraganea dell’Arcidiocesi di Genova. L’edificio, presenta uno schema planimetrico a due navate divise da pilastri colonniformi e sorge sui resti di due chiese preesistenti, la più antica delle quali, posta sotto l’attuale navata maggiore, risale ad epoca bizantina (VI secolo) .
Al centro del catino absidale, si possono ammirare tre volti in pietra sbozzata (maschere apotropaiche), con funzione rappresentativa dei tre santi Pietro, Lorenzo e Colombano, contitolari della cattedrale.
Sulla terza colonna, volto verso la navata maggiore, è un affresco, risalente al XV sec. che raffigura Sant’Antonio Abate.
Il Santo, la cui figura è inquadrata da una fascia decorativa con motivi vegetali e rosette, è riconoscibile dagli attributi che lo identificano: il tradizionale mantello, il bastone da eremita e il tintinnabulum.
Sulla parete della navata minore i recenti restauri hanno riportato alla luce un altro pregevole affresco cinquecentesco, raffigurante la presentazione di Gesù al tempio.
Vi si riconoscono il Sacerdote, al centro, con Maria e Giuseppe che offrono il Bambino Gesù su di un vassoio, insieme a due colombi. A destra sono riconoscibili San Francesco e San Lorenzo.
Di rilevante importanza è il complesso archeologico, rinvenuto già negli anni ’50 ed oggi visitabile e lasciato a vista, tramite cristalli posizionati sul pavimento moderno.
Sotto la navata maggiore sono visibili i resti di una chiesa ad aula unica di cui restano i muri perimetrali, la pavimentazione in cotto, un fonte battesimale.
Lo scavo archeologico, condotto dalla Soprintendenza Archeologica della Liguria nel 1994, ha permesso di individuare diverse fasi di ampliamento dell’impianto originario che mettono in relazione questa chiesa col primo insediamento benedettino. Sotto la navata minore sono visibili i muri perimetrali di una piccola chiesa ad aula unica cronologicamente più tarda, il cui momento di fondazione è incerto.
Il palazzo fu l’antica dimora del vescovo della diocesi di Brugnato già dal 1133; la presenza di tale edificio, eretto sulle fondazioni della più antica abbazia di San Colombano, è testimoniata in documenti e registri vescovili databili tra il 1277 e il 1321.
Nella sua storia la struttura fu più volte rimaneggiata da restauri e ampliamenti, il più cospicuo dei quali si svolse durante il vescovato di Giovanni Battista Paggi tra il 1655 e il 1663. Successive riparazioni, con innalzamento del soffitto e rifacimento completo delle coperture, furono eseguite nel XVIII secolo dal vescovo cardinal Benedetto Lomellini; le decorazioni interne del soffitto furono realizzate durante la reggenza di monsignor Francesco Maria Gentile.
Dal 1820, anno in cui la diocesi brugnatese viene unita alla diocesi di Luni-Sarzana, l’antico palazzo vescovile, proprio in quell’anno restaurato dal cardinale Giuseppe Spina, diventa dimora per breve visite e quindi abitato saltuariamente. Il palazzo ospita oggi il locale museo diocesano diviso nella sezione diocesana ed archeologica.
Il museo ospita una selezione di pregevoli manifatture; di particolare interesse è la sala che ospita una selezione di argenti provenienti dalla cattedrale adiacente.
I criteri espositivi rispondono alla duplice funzione che anticamente aveva posseduto il palazzo: l’essere, allo stesso tempo, dimora privata e palazzo di rappresentanza.
Salone di rappresentanza e sale attigue:
Simboli del potere pastorale ed oggetti legati alla liturgia e alla celebrazione della Messa. In questa sala, è da ammirare il soffitto ligneo a trompe l’oeil , risalente ai lavori di rinnovamento apportati, nel 1767, dal Vescovo Francesco Maria Gentile. L’apparato decorativo ha una struttura a grandi specchiature con motivi fitoformi, tipiche del barocchetto genovese. Al centro del soffitto è situato lo stemma della famiglia Gentile, con gli attributi vescovili.
Tra gli oggetti custoditi in queste sale, troneggia una pala d’altare opera del genovese Cesare Corte (fine XVI – XVII): si tratta della Madonna del Rosario e i Santi Pietro e Domenico.
Studio, camera da letto, saletta:
Libri liturgici, documenti provenienti dall’archivio diocesano. Il mobilio della stanza è, in gran parte, quello originario.
Nello studio si trova un pregadio di stile rococò: al centro sopra la mensa si trova un dipinto raffigurante l’Addolorata; ai lati, dopo una lunga fase di restauro, sono venuti alla luce due affreschi, uno dei quali raffigura la parabola della Samaritana al pozzo. Ancora in questa sala, sulla parete Ovest, si trova la Lactatio di San Bernardo del pittore Gian Lorenzo Bertolotto (1646 – 1721), invece sulla parete Est si trova L’Orazione di Gesù nell’orto, del pittore piemontese Giuseppe Vermiglio. Nella parete Sud, si trova l’affresco di un pittore anonimo ligure della fine del XV secolo: si tratta della Madonna col Bambino ed i SS. Pietro e Lorenzo.
Al pianterreno del museo, si trova la sezione archeologica. Qui è possibile vedere i basamenti originari del palazzo vescovile che ospita il museo. In questa parte del palazzo sono stati rinvenuti numerosi reperti ceramici, non ancora esposti al pubblico perché ancora in fase di studio e di catalogazione.

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  • Monumento

Il Castello Malaspina di Madrignano

Calice Al Cornoviglio, Liguria

Il castello è citato per la prima volta in un diploma imperiale di Federico Barbarossa risalente al 1164, nella quale espressamente viene concesso il castrum Madrognani ad Obizzo Malaspina.
Dal 1206 la proprietà sul feudo di Madrignano e del relativo castello appartiene per ben cinque secoli alla famiglia Malaspina a parte una per una cinquantina d’anni (1416-1469) che, in seguito all’assalto e distruzione da parte della Repubblica di Genova, passa ai conti Fieschi.
Una seconda e definitiva distruzione a cui non seguì una nuova ricostruzione, ma solo un riadattamento delle parti ancora in buono stato, la subì all’inizio del XVIII secolo durante gli scontri tra gli eserciti franco-spagnoli con gli imperiali austriaci.
Dal 1772, così come il castello di Calice la proprietà rientrò nei confini del Granducato di Toscana.
Con il Regno d’Italia il castello fu adibito a prigione e a caserma.
Danneggiato dal terremoto che colpì la Garfagnana e la Lunigiana nel 1920, subì ulteriori danneggiamenti nei diversi bombardamenti aerei alleati nella Seconda Guerra Mondiale.
Il castello così come oggi appare è il frutto di lunghi anni di risanamento e restauro conclusi nel 2016.
Attualmente ospita al primo piano gli uffici del Comune di Calice al Cornoviglio mentre al piano terra il centro espositivo “Gli Antichi Liguri in Val di Vara”.
È raggiungibile dal sottostante parcheggio tramite una breve funicolare panoramica.

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  • Museo

Museo Regionale Etnografico e della Stregoneria

Triora, Liguria

Nato dall’entusiasmo dei giovani dei Campo Eco organizzati dal Comune di Genova nel 1982-83 e dall’immediata risposta entusiastica dei trioresi, il Museo di Triora Etnografico e della Stregoneria raccoglie oggi moltissimi oggetti antichi – ma a volte ancora in uso in borgate remote del territorio comunale, come Borniga o Goina – che testimoniano una cultura contadina e pastorale particolarmente viva e palpitante.

Lungi dal voler essere solo una sterile esposizione di oggetti, il Museo di Triora invita ancora, come nelle parole del manifesto dei ragazzi del Campo Eco di tanti anni fa, a visitare il paese antico a esplorare le sue incantevoli frazioni, dove in qualche caso si potrà riscontare l’uso di attrezzi notati in queste sale.
Sarà possibile così, a contatto con una natura pressoché incontaminata, intravedere e respirare momenti di un’”altra vita”, forse in qualche modo più autentica.
L’Associazione Turistica Pro Triora, che collaborò sempre con i ragazzi genovesi, intessendo rapporti di amicizia che sopravvivono tuttora, raccolse idealmente il testimone e in stretta collaborazione con il Comune di Triora, si occupò della gestione e della custodia del museo.
Con il nuovo interesse suscitato nel 1987 dal Convegno Nazionale promosso dal Comune di Triora e dall’Università di Genova in occasione del quarto centenario dei processi per stregoneria, vennero allestite nuove sale nei sotterranei dell’edificio, dove un tempo erano le carceri.
Costanti migliorie e ammodernamenti vengono apportati tutti gli anni, grazie soprattutto all’entusiasmo di Silvano Oddo, già assessore comunale, attivissimo consigliere della Pro Triora, che ha assunto la carica di direttore della struttura.

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  • Tradizione

Festa du Paise

Bardineto, Liguria

La Festa veramente Bardinetese per eccellenza si celebra il 16 Agosto, giorno di San Rocco, Patrono della Comunità di Bardineto. Correva all’incirca l’anno 1650, allorché i Bardinetesi avevano già preparato i Lazzaretti a San Nicolò poiché la peste era arrivata a Calizzano (come testimonia anche un antico quadro custodito nel santuario di Nostra Signora delle Grazie). Ma a quanto pare, non si verificò alcun caso di peste nel paese. A ciò si aggiunga il fatto che Bardineto, volesse dare al paese anche un Santo laico”, considerato che la Chiesa aveva già San Giovanni Battista come Protettore. La scelta quindi, cadde su San Rocco, che divenne patrono dell’intera Comunità Bardinetese. Ma chi era San Rocco? Sulla figura del Santo non si hanno notizie biografiche degne di fede storica. I dati più attendibili lo vedono nascere a Montpellier e morire ad Angera sul Lago Maggiore, nei XIV secolo. Orfano in giovane età, dopo aver distribuito in elemosine il patrimonio paterno, lascia Montpellier per un pellegrinaggio a Roma. Giunto a Cesena, Rocco si pone al servizio degli appestati che, primi, ne sperimentano la taumaturgica potenza. Da Cesena riprende la via di Roma dove guarisce un cardinale che lo presenta al Papa. A Roma si trattiene tre anni dedicandosi ai poveri ed agli appestati, quindi va a Rimini, Novara, Piacenza dove si ammala e vive per parecchio tempo in un luogo silvestre: guarito riprende la via della patria, ma ad Angera, sospettato di spionaggio, viene arrestato e muore in prigione dopo cinque anni di reclusione.
Riconosciutane l’identità dopo la morte, viene sepolto con tutti gli onori. Secondo altri, avrebbe perduto la vita a causa della peste e perciò dal XV secolo è invocato assieme a San Sebastiano come taumaturgo e protettore contro questo morbo. Le immagini di San Rocco sono rare prima del 1485 quando secondo una tradizione, i Veneziani ne trasportarono le Reliquie dall’ Oriente. Da allora il culto de santo ebbe grande impulso e dappertutto sorsero Chiese, Confraternite ed Oratori in suo onore specie nelle campagne. E rappresentato giovane pellegrino, con barba, in atto di additare con la mano destra un bubbone ed una piaga sulla gamba. È spesso accompagnato da un cane che ha un pane in bocca, a ricordo della leggenda secondo la quale il nobile Gottardo mandava, tramite il proprio cane, il cibo al Santo, malato presso Piacenza. Le Reliquie si conservano tuttora a Venezia.
Il giorno di San Rocco a Bardineto, si distingue in due parti: dapprima c’è la Festa Sacra con la Processione ed i Misteri portati a braccia dalla Confraternita Bardinetese dedicata ai SS. Maria Annunziata e Carlo Borromeo e da altre numerose confraternite partecipanti.
Dopo la Festa Sacra, esiste il festeggiamento “profano’’, che inizia verso sera per protrarsi fino alla mattina. E’ tutto il paese che si stringe attorno al suo cuore, nella piccola Piazza Soprana. Nato nel 1975 come intrattenimento del “Borgo’’, dove si offrivano i piatti tipici Bardinetesi e si finiva col ballo, nel corso di questi venti anni, si è arricchito di scenette, balletti, improvvisazioni che mutano ogni anno. Ed Ogni volta vengono allestite la ‘Greppia’’ e la “Cantina’’, ogni volta le patate vengono usate a quintali per la Polenta Bianca (piatto “Nazionale Bardinetese’’), ogni volta nell’aria si respira il profumo delle Frittelle e della Torta Pasqualina, preparate in tutte le case del Borgo, case unite come le dita di un pugno chiuso. Ed ogni volta si assiste alla scenetta in dialetto che fa un po’ da specchio a quello che avviene durante l’anno in paese, celebrando con affetto meriti e vizi locali.

Anno dopo anno, sono centinaia coloro che si prestano in mille modi per il buon funzionamento della serata. Una cosa è certa: nella Piazzetta Soprana diventata per l’occasione palcoscenico e balera, a una Risata ed un Ballo li lasciano tutti, anziani e bimbi, uomini e donne, allegri e tristi. E’ l’unica sera che gli abitanti del circondario si rassegnano volentieri a non chiudere occhio per tutta la notte, qualsiasi tipo di lavoro abbiano da svolgere la mattina dopo.

Sono numerosi i Bardinetesi che trasferitisi in Riviera o altrove, la sera dopo Ferragosto, accorrono tra gli archi e i portici che li hanno visti crescere. E tanti giovani che a Bardineto non ci sono nemmeno nati, ci vengono lo stesso, rispondendo ad una tradizione trasmessa loro dai parenti. E tanti sono anche i “Foresti’’, coloro che a Bardineto trascorrono l‘Estate, che vengono coinvolti in questa Festa sempre uguale e tuttavia sempre diversa. E quelli che vengono per la prima volta si meravigliano di un paese in cui nessuno si chiama per cognome, perchè tutti si conoscono da sempre.

A Bardineto, punto piccolissimo sull’Atlante, nel bene e nel male, esistono ancora il calore umano e la capacità di stendere la mano agli altri; e magari può servire anche la sera di San Rocco. È una sorta di fuga dal tempo: certo non elimina la problematicità della vita, all’indomani ognuno ritorna alle proprie difficoltà, agli ostacoli quotidiani; ma almeno per una notte all’anno, forse solo per poche ore, è tanto bello ascoltare solo la voce del proprio paese, i ricordi, le risate liberatorie e riconoscere le radici che si annidano nei pensieri e nel cuore. Ha scritto Cesare Pavese:
“….Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.” Ed è vero.

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  • Patrimonio culturale Religioso

Santuario dei Santi Cosma e Damiano

Magliolo, Liguria

L’attuale costruzione del santuario risale al 1716 su una precedente struttura del XVII secolo. L’edificio è posto all’estremo ponente del capoluogo, su di un contrafforte che domina la val Maremola, la vallata di Isallo e il suo itinerario di accesso che si snoda attraverso le gole calcaree dell’alta valle.

Il poggio, anticamente isolato dalle abitazioni, era incrocio di antiche mulattiere che collegavano il mare con il passo del Melogno e verso Isallo.

La dedica ai santi Cosma e Damiano – patroni dei medici e dei chirurghi – si deve probabilmente a memoria di qualche preesistente ospizio per la cura di viandanti e infermi.

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  • Parco Tematico / Divertimento

Parco Avventura Airole

Airole, Liguria

Il parco avventura di Airole, è un parco divertimenti, immerso nella natura. È costituito da 3 percorsi: VERDE: il percorso più facile (2 mt altezza) BLU: percorso medio facile (4/6mt altezza) ROSSO: il più difficile (5/9 mt altezza).

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  • Museo

Museo dell’Arte Vetraria Altarese

Altare, Liguria

Secondo una radicata e costante tradizione orale, l’arte del vetro fu anticamente introdotta ad Altare da una comunità benedettina che, rilevate qui le condizioni naturali idonee, si racconta avrebbe richiamato dal nord della Francia ( Normandia o Bretagna), alcuni esperti artigiani. Un confronto con i dati archivistici in seguito acquisiti non infirma quanto riferito.
Sull’isola di Bergeggi (insula Liguriae), presso la chiesetta voluta dalla devozione popolare sul sepolcro di Sant’Eugenio, il Vescovo di Savona Bernardo, nel 992, fece costruire un cenobio affidandone la cura a monaci benedettini chiamati dall’abbazia di Saint Honorat (isole provenzali di Lérins). L’atto relativo è tramandato dal cronista savonese G.V.Verzellino (1562-1638) “non per esteso – rileva Valeria Polonio – ma in abbondante regesto, con tali particolari da garantirne l’autenticità”.
Tra il 1124 e il 1134 le terre di Altare – allora pertinenti alla diocesi di Alba – furono donate dal vescovo Rimbaldo ai cenobiti lerinesi di Sant’Eugenio e una bolla di Papa Innocenzo II in data 20 febbraio 1141 ne confermò loro il possesso. L’insediamento benedettino ad Altare va pertanto inquadrato storicamente in tale contesto.
È opportuno qui ricordare come dall’Alto Medioevo sia le fonti scritte che i dati archeologici testimonino in Occidente di stretti rapporti intercorsi tra i centri di produzione vetraria e i monasteri, dove si inizia a far uso di vetro per le finestre abbaziali. Esigendo poi la chiesa una particolare oggettistica di culto (calici, urne, reliquiari) anticamente le arti plastiche furono esercitate quasi esclusivamente nei cenobi e, comunque, soprattutto a beneficio del clero, cosicché – sottolineano molti autori – le officine vetrarie vennero spesso a gravitare attorno ad insediamenti monastici.
Il Museo dell’Arte Vetraria Altarese, nato all’interno della S.A.V. quale museo d’azienda, oggi è ospitato nelle sale di Villa Rosa ed offre ai suoi visitatori una rassegna di opere che vanno dal 1650 ai giorni nostri,oltre ad attrezzi e stampi per la lavorazione artigianale.
Villa Rosa, in perfetto stile liberty, venne fatta costruire tra il 1905 e il 1906 da Monsignor Bertolotti per la sorella Rosalia, da cui la denominazione.
Il committente affidò la progettazione all’Ingegnere Nicolò Campora, uno dei progettisti più attivi ed aperti alle nuove tendenze dell’architettura internazionale.
La villa fa parte di una serie di edifici liberty che si diffusero nel paese all’inizio del 1900, in gran parte ancora esistenti. Acquistata dallo Stato con diritto di prelazione nel 1992, dopo i restauri la villa è stata riportata all’antico splendore e adibita a sede del Museo dell’Arte Vetraria Altarese.

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  • Arti, Saperi e Sapori

Amaretti di Sassello

Sassello, Liguria

La produzione di Amaretti a Sassello è cominciata nel XIX secolo e da allora la ricetta si è tramandata di generazione in generazione. La ricetta tradizionale prevede l’uso di ingredienti semplici: mandorle, armelline di albicocca e pesca, albume d’uovo e zucchero.

Ingredienti
200 g mandorle pelate
140 g zucchero
125 g zucchero a velo
50 g albumi
15 g mandorle armelline
3 g ammoniaca per dolci

Preparazione
Tostare le mandorle per alcuni minuti in forno preriscaldato a 200°.
Tritare con il mixer le mandorle tostate, le armelline, lo zucchero semolato e a velo fino ad ottenere una farina.
Setacciare il composto in una ciotola grande.
Aggiungere l’ammoniaca per dolci e gli albumi.
Mescolate con una spatola per amalgamare gli ingredienti e ottenere un impasto morbido e omogeneo.
Coprire l’impasto e lasciarlo in frigo per una notte intera.

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  • Borgo

Il Castello dei Fieschi e il Borgo Rotondo

Varese Ligure, Liguria

Il castello Fieschi è stato un edificio militare e difensivo di Varese Ligure, in provincia della Spezia, situato in piazza Castello. Edificato dai conti Fieschi nel medioevo, il castello andò a completare quella nuova opera urbanistica avviata dai feudatari fliscani nel centro varesino e che venne denominata “Borgo Rotondo”, per la sua forma ellittica, una sorta di “cittadella fortificata”.
Le esigenze che portarono alla nascita del castello fliscano sono legate a due importanti fattori: il controllo di un’importante via di comunicazione, e di scambi commerciali, tra la costa levantina e l’appennino ligure emiliano, e gli eventi bellici che interessarono questa parte dell’alta val di Vara.

La soluzione fu la creazione di un nuovo borgo fortificato che, con forma ellittica, avrebbe chiuso la piazza centrale circondandosi con uguali case in pietra lungo il perimetro, al di sotto delle quali vi si aprivano i portici per le attività lavorative, e collegate con la principale strada mediana attraverso stretti vicoli, assicurandosi così una buona ed efficace cortina difensiva. Nella parte settentrionale del cosiddetto “Borgo Rotondo”, così viene denominato localmente, a chiusura del centro fortificato, si realizzò quindi un primo palazzo che divenne la residenza dei Fieschi in Varese Ligure.

Dopo già due tentativi di assedio nel XV secolo, il borgo di Varese cadde sotto la spedizione militare del capitano di ventura Niccolò Piccinino, al servizio del duca di Milano Filippo Maria Visconti contro i Fieschi. È in questo periodo che venne realizzata, nel 1435, la torre alta di offesa, originariamente munita di ponte levatoio e considerata tra le più moderne e avanzate per gli armamenti bellici dell’epoca; alla costruzione della “torre del Piccinino” contribuirono maestranze dalla Lunigiana, già artefici dell’edificazione della torre del castello del Piagnaro di Pontremoli.

La seconda torre, più bassa e di forma cilindrica con base a scarpa, fu invece realizzata sotto la dominazione dei Landi tra il 1472 e il 1478-1479.

La proprietà feudale dei Fieschi crollò definitivamente nel 1547 con la fallita Congiura di Gianluigi Fieschi contro i Doria che, di fatto, spianò la strada alla Repubblica di Genova per il controllo del territorio e dei vari possedimenti feudali. Istituita la podesteria di Varese l’ex residenza fliscana, dopo le nuove modifiche alla struttura come la realizzazione dei finestroni nella torre dei Landi e forse un abbassamento del torrione, divenne la sede del podestà locale e delle carceri.

Dopo altri usi nel corso dei secoli il castello, restaurato negli anni sessanta del Novecento su direzione della Soprintendenza ai Monumenti della Liguria, è oggi di proprietà comunale e sede per ospitare mostre, convegni e manifestazioni.

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  • Altro - Altro

Giardini Botanici Hanbury

Ventimiglia, Liguria

I giardini botanici Hanbury sorgono sul promontorio della Mortola, sulla costa ligure, a pochi chilometri dal confine francese. Occupano una superficie di 18 ettari, compresi nel territorio comunale di Ventimiglia, località Mortola, in provincia di Imperia.
Il parco della villa rappresenta uno dei giardini di acclimatazione più famosi d’Europa e del bacino mediterraneo.
Il terreno è digradante dalla collina al mare, come è tipico della costa ligure. L’aspetto paesaggistico è tipicamente “all’inglese”, con vialetti irregolari e romantici rustici pergolati e patii, con la pittoresca vista del mare sullo sfondo. Il parco è anche attraversato da un tratto dell’antica strada consolare via Julia Augusta; per la conformazione geografica l’accesso alla villa è dal suo lato superiore.
Sotto il portico d’ingresso si può ammirare un mosaico raffigurante Marco Polo, opera voluta dal vicentino Antonio Salviati e datata al 1888.
Nella parte inferiore, non lontano dal mare (comunque non accessibile a causa del sistema di cinta), un piccolo settore semi pianeggiante è conservato con la vegetazione originale mediterranea, ombreggiata da pini e dotata di gazebo.
I giardini botanici Hanbury sono stati inseriti nella lista dei 10 giardini più belli d’Italia nel 2007 e nel 2011.

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Eventi

PriamArt

Culturale

Comune: Savona

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Mercatini di Natale a Torriglia

Fiera

Comune: Torriglia

Mese di inizio: Dicembre

Durata: 6 Giorni

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Presepe di Pentema a Torriglia

Religioso

Comune: Torriglia

Mese di inizio: Dicembre

Durata: 30 Giorni

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Mercatini di Natale a Santo Stefano D’Aveto

Fiera

Comune: Santo Stefano D'aveto

Mese di inizio: Dicembre

Durata: 15 Giorni

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