Sacro Monte di Varese

Comune di VARESE

  • Patrimonio culturale Religioso

Patrimonio Unesco dal 2003, il Sacro Monte di Varese, con il suo percorso seicentesco e il borgo di Santa Maria del Monte, è uno dei vanti della città e della Lombardia.
Lo potrai raggiungere facilmente da Varese, con i mezzi pubblici, la funicolare, o in auto, parcheggiando in via Prima Cappella, per iniziare la salita dal basso, oppure presso il Piazzale Pogliaghi, posto alle spalle del Santuario, in cima. Le quattordici le cappelle che ti accompagneranno durante la salita sono tutte dedicate ai misteri del Rosario e sono delle opere artistiche eccezionali.
Ognuna ha una propria architettura, curata nei minimi particolari, che conserva all’interno sculture e dipinti. Quando ti affacci per osservare le scene rappresentate, ricordati di guardare anche gli affreschi dei soffitti, sono magnifici. Superata l’ultima cappella, ti trovi dinnanzi alla salita che porta al Santuario e al borgo di Santa Maria del Monte.
Qui sarai accolto da un’enorme statua di Mosè e salendo la scalinata entrerai nel Santuario, dopo aver fatto tappa alla terrazza panoramica: non è molto grande ma ricco di affreschi da ammirare. Non perderti la cripta adiacente, restaurata e aperta al pubblico. Qui potrai ammirare i resti della chiesa altomedioevale ornata da stupendi affreschi trecenteschi.
Non pensare che sia tutto qui. Nel borgo di Santa Maria del Monte ci sono due bei musei che meritano senza dubbio una visita. Il Museo Baroffio si trova a fianco dell’ingresso del Santuario e ospita sculture romaniche, codici miniati e dipinti donati al Santuario dal barone Giuseppe Baroffio.
È stato riaperto nel 2001 e ampliato con una sezione di opere di arte sacra contemporanea. Una visita è d’obbligo anche al Museo Pogliaghi, ospitato nella casa che l’eclettico e geniale artista milanese elesse come sua residenza. Dall’esterno sembra una normale casa di inizio Novecento, forse un po’ bizzarra, ma nulla a confronto dell’interno.
Varcata la soglia ti troverai immerso in una miriade di bozzetti e sculture dell’artista, reperti greci, romani e orientali in un mix unico e originale. Metà casa e metà atelier artistico: ogni stanza è diversa dall’altra e ogni porta vi condurrà in un mondo a parte. Apice della visita è il salotto con il gesso preparatorio della porta del Duomo di Milano a grandezza naturale sulla parete di fondo; lo spettacolo ti lascerà a bocca aperta.
Parlando del Sacro Monte non ci si può dimenticare dello scenario naturalistico nel quale è immerso. Collocato su una collina alle spalle di Varese, nelle belle giornate potrai ammirare da qui buona parte della Pianura Padana e le montagne lombarde fino a quelle della bergamasca e della Valtellina.

L’assetto odierno del Sacro Monte varesino rispecchia un’invenzione risalente al primo Seicento.
Le trasformazioni urbanistiche del borgo furono rilevanti. In pochi decenni divenne parte integrante di un teatro di meditazione religiosa a cielo aperto dotandosi di edifici ecclesiastici e di rinnovate facciate di chiese, tutte tappe/stazioni di nuovi percorsi devozionali cittadini. A questo fervore non sfuggì la chiesa parrocchiale di San Vittore che, negli anni 1598-1599, fu oggetto di importanti lavori. Vennero coinvolte maestranze destinate poi a lavorare nell’impresa del Sacro Monte: lo stesso architetto Bernascone e Pier Francesco Mazzuchelli detto il Morazzone. Con l’aiuto di esperti stuccatori (Domenico Fontana di Muggio e Giuseppe Bianchi da Moltrasio), collaborarono alla ricostruzione e alla decorazione della cappella del Rosario, un’altra impresa dedicata alla Vergine. Messo a punto il progetto di massima, la realizzazione del complesso monumentale iniziò nel 1604. Nonostante siano andati perduti i documenti d’archivio relativi alla Fabbrica, le cronache tramandano il grande pragmatismo dell’intera macchina amministrativa. L’oculata gestione dei fondi garantì l’efficienza del cantiere: in trent’anni circa venne rifondata la chiesa di Santa Maria, costruita la via lungo le pendici del monte, incluse le soluzioni ingegneristiche per garantire – attraverso appositi terrapieni – la messa in sicurezza del percorso e, infine, vennero progettate e realizzate le quindici cappelle del percorso misterico, gli archi trionfali e le tre fontane ad essi correlate destinate al ristoro dei pellegrini. Seguendo il progetto del Bernascone, la struttura dell’intero apparato privilegiava l’inserimento di ogni singola parte in un ambiente naturale sacralizzato del quale si evidenziavano le qualità teatrali.
L’itinerario trasmette la prossimità fra l’uomo e la divinità attraverso la contemplazione. A differenza di quanto ideato a Varallo, al Sacro Monte varesino anche le cappelle sono marcate da uno stretto rapporto con il paesaggio circostante non soltanto perché distinte, e distanti le une dalle altre, ma soprattutto a causa del loro assetto architettonico. Tutte derivano sostanzialmente da due tipologie: il tempio a pianta centrale e quello a pianta quadrata cui spesso sono accorpati camminamenti con aperture verso l’esterno, ad archi e, in facciata, da protiri e pronai. Altre differenze intervengono a livello decorativo dove alla varietà di elementi classicisti si alternano, talvolta mescolandosi, trasgressioni tardomanieriste. Il dato certo è che il Bernascone, progettando tutti questi edifici, prese spunto soprattutto dai modelli di Pellegrino Tibaldi che del varesino fu il maestro e che con l’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo contribuì in modo decisivo alla riforma dell’architettura ecclesiastica lombarda postconciliare (applicando le Instructiones Fabricae et Suppellectilis ecclesiasticae redatte dallo stesso Borromeo e pubblicate nel 1577). Nelle diverse cappelle del Sacro Monte, come pure negli archi trionfali lungo il percorso, il ricorso alla misura classicista interpretata in chiave monumentale è un Leitmotiv che dà all’insieme monumentale un’armonia unificante. I modelli tibaldiani sono aggiornati anche alla sensibilità del successore di san Carlo, il cardinale Federico Borromeo. Oltre a sembrare tanti preziosi tabernacoli in scala ingigantita, tutte le cappelle sprigionano un senso di ritrovato ottimismo cristiano mai espresso fino a quel momento in modo così esplicito.
Il Bernascone fu innovatore invece nel modo in cui interpretò la drammaturgia dei diversi frammenti del racconto religioso. Ma qui a stravolgere l’involucro architettonico sono gli affreschi del Busca. Il partito decorativo delle volte non riprende le forme dell’architettura. L’artista, infatti, tenta di andare oltre lo spazio fisico e l’architettura gradualmente si trasforma in una quinta teatrale illusionista.

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  • Eccellenza Urbana / Centro Storico

Centro storico di Bormio

Bormio, Lombardia

Grazie alla sua posizione centrale lungo le rotte commerciali del Nord e del Sud Europa, Bormio godette a lungo di forte autonomia e ricchezza che si rispecchia ancora oggi nel suo centro storico.

Passeggiando tra i vicoli e le viuzze del centro storico, un gioiellino dove resti medievali si mischiano a quelli del XIV-XVI secolo, epoca d’oro del contado, potete incontrare numerosi edifici civili e quelli religiosi e il simbolo del paese, il Kuerc.

Immergetevi nell’atmosfera di quella che fu, per settecento anni, una democrazia nel cuore delle Alpi, in cui la modernità ha fatto solo capolinea lasciando intatti scorci e panorami.

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  • Museo

Mulino di Bottonera

Chiavenna, Lombardia

Il Mulino di Bottonera, fondato nel 1867, sorge nel vecchio quartiere artigianale di Chiavenna: una zona che è stata caratterizzata dalle attività che utilizzavano l´acqua del fiume Mera attraverso una serie di canali.
Sorgevano mulini, una cartiera, un maglio, due fabbriche di ovatta, diversi birrifici ed il pastificio. Strutturato su tre piani ed organizzato secondo un complesso gioco di pulegge, nastri e macine proseguiva la sua attività ininterrottamente giorno e notte. Il lavoro era coordinato da un capo mugnaio che, con una squadra di operai, controllava il buon funzionamento delle macchine e il caricamento nei sacchi dei prodotti della lavorazione: farina, crusca, farinette. L´edificio cessò l´attività negli anni Sessanta. Grazie all´impegno dei volontari, che con circa nove mila ore di lavoro gratuito hanno recuperato in modo perfetto questa importante risorsa, è oggi possibile visitare il Museo strutturato su tre piani ed organizzato secondo un complesso gioco di pulegge, nastri e macine.

Bottonera, il quartiere artigianale
Il mulino dell´ex Pastificio Moro sorge in Bottonera, il vecchio quartiere artigiano di Chiavenna, edificato nell´800 nella parte alta della città, tra il fiume Mera e piazza Castello.
La Bottonera è stata caratterizzata dalle attività che utilizzavano l´acqua del fiume Mera attraverso una rete di canali destinati a fornire la forza motrice alle attività produttive come mulini, una cartiera, un maglio, due fabbriche di ovatta, diversi birrifici ed il pastificio. I canali ebbero la loro importanza sino alla fine degli anni 40 quando furono soppiantati dall´energia idroelettrica. Oggi la Bottonera, per quanto modificata, non ha perso le testimonianze della precedente “vocazione”. Percorrendo i vicoli del quartiere sono leggibili alcuni aspetti tipologici anche se le recenti ristrutturazioni hanno riconvertito gli edifici in sede di enti pubblici come la Comunità Montana, il centro scolastico per le scuole superiori, la Biblioteca centrale ed il Museo di valle.

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  • Patrimonio culturale Religioso

Basilica della Madonna di Tirano

Tirano, Lombardia

La Basilica della Madonna di Tirano sorge al crocevia tra l’Italia e la Svizzera, nel luogo dove la Madonna apparve nel lontano 1504.
Stando alla tradizione, all’alba del 29 settembre 1504 la Madonna apparve al tiranese Mario Omodei promettendo la cessazione della peste, qualora fosse stato costruito un tempio in suo onore nel punto esatto dove era apparsa, vale a dire vicino al ponte della Folla, al di fuori della cinta muraria urbana.

I tiranesi, confortati da una serie di eventi ritenuti miracolosi, subito si attivarono e in data 25 marzo 1505, nel corso di una solenne cerimonia, fu posta la prima pietra dell’edificio, ai piedi della medioevale chiesetta di Santa Perpetua.
Il Santuario a tre navate a croce latina è il più bell’esempio del Rinascimento in Valtellina.
Ricco fino all’esuberanza di stucchi e sculture, conserva, all’interno, un colossale organo, preziosa opera di intaglio iniziata nel 1608 del bresciano Giuseppe Bulgarini e completata nel 1638 dal milanese G.B. Salmoiraghi. In virtù della sua posizione è da sempre meta di fedeli provenienti da tutta l’Europa.
Papa Pio XII, nel 1946, proclamò la Beata Vergine di Tirano “speciale patrona celeste di tutta la Valtellina”.

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  • Museo

Castel Masegra – CAST

Sondrio, Lombardia

Il castello che domina Sondrio, in posizione strategica all’imbocco della Valmalenco, è l’unica struttura militare di Sondrio d’origine medievale ad essere rimasta integra e attiva fino ai giorni nostri.
Modificando nel corso dei secoli la sua funzione e la sua struttura architettonica, fino ad assumere l’aspetto così stratificato ed eterogeneo che oggi lo caratterizza, Castello Masegra riesce a fornirci uno spaccato sugli ultimi 700 anni di storia valtellinese.
La sua storia, come la sua testimonianza, è complessa: centro del potere feudale dei Capitanei, i signori di Sondrio, diventa elegante dimora signorile dei Beccaria nel Quattrocento e nel Cinquecento.
Alienato sul finire del secolo, passa al potente casato grigione dei Salis Soglio che ne faranno, dopo i torbidi e luttuosi eventi del ventennio che si apre col “Sacro Macello”, una fiorente azienda agricola.
Confiscato e riconvertito in caserma con l’annessione alla Cisalpina napoleonica, e infine, dal Secondo Dopoguerra, in distretto militare, il complesso è oggi di proprietà del Comune.
Di notevole interesse la camera picta rinascimentale custodita nella torre colombaia, con volta ad ombrello decorata con un prezioso ciclo di affreschi dell’ariostesco Orlando Furioso.
CAST, il “museo narrante” allestito fra le mura di Castello Masegra, è parte di un progetto più ampio che ha come tema la promozione della cultura alpina e del territorio che ne è depositario.
Cuore di questo percorso di valorizzazione sono le 3A della montagna (ARRAMPICATA, ALPINISMO, AMBIENTE) che diventano le protagoniste di un vero e proprio hub narrativo in continua evoluzione, grazie ad un variegato ventaglio di iniziative dentro e fuori CAST.

Dagli albori alla nascita del brand
La storia della valorizzazione di Castello Masegra si concretizza nel 2013, quando viene acquisito in proprietà dal Comune di Sondrio.
Da subito si individuano le linee del programma di riqualificazione e viene costituito un comitato tecnico scientifico formato da un responsabile di progetto affiancato da professionisti esperti in cultura e storia dell’alpinismo, educazione ambientale, comunicazione e design, didattica museale.

Gli obiettivi sono:
– rendere Castel Masegra un bene fruibile da un pubblico più ampio e diversificato;
– sviluppare l’indotto turistico della città di Sondrio e dell’area circostante in una dimensione di valorizzazione e rispetto degli elementi naturali.
Nel 2017 il progetto ottiene un importante finanziamento di Fondazione Cariplo e nel 2018 viene ufficialmente presentato il brand CAST, per identificare la mostra permanente fra le mura di Castello Masegra.
Il CAstello delle STorie di Montagna: non un mero spazio espositivo, ma un vero e proprio polo interattivo, in cui i racconti di arrampicata, alpinismo e ambiente possano essere fruiti dai visitatori e prendere vita in chiave esperienziale.
Partner e sostenitori sono:
Politecnico di Milano
Collegio Regionale delle Guide Alpine di Lombardia
CAI Nazionale e Sezione di Sondrio
Museo della Montagna di Torino
Sondrio Festival
Ecomuseo del Monte Rolla
Fondazione Bombardieri
Associazione Valtellin@ccessibile
Distretto Culturale della Valtellina
le aree protette della Provincia di Sondrio
AEVV Energie

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  • Museo

Museo Minerario della Bagnada

Lanzada, Lombardia

Il Museo Minerario della Bagnada si trova a Lanzada in Valmalenco.
Nasce con lo scopo di valorizzare il patrimonio minerario della Valmalenco: talco steatite, pietra ollare e serpentinoscisto per la copertura dei tetti.
Recuperata per fini museali, la Bagnada ha cominciato una nuova vita per la gioia delle migliaia di persone che, a partire dal 2008, ogni anno la visitano.
La miniera si sviluppa su nove livelli, quattro dei quali visitabili. Al suo interno si percorrono diverse tipologie di gallerie.
Ci sono quelle dove si estraeva il minerale, quelle di servizio, il locale che serviva per la conservazione degli esplosivi e per la preparazione delle cariche. Una di queste gallerie, grazie alla particolare acustica delle sue alte volte rocciose, ospita concerti e altri appuntamenti musicali.
In poco spazio vi si legge l’evoluzione delle modalità di coltivazione: dal pic e pala (piccone e badile) alla perforatrice ad aria compressa, unico strumento di modernità assieme a una piccolissima pala meccanica, anch’essa funzionante ad aria compressa.

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  • Arti, Saperi e Sapori

Muretti a secco e terrazzamenti

Albaredo Per San Marco, Lombardia

In Valtellina esiste la più grande area terrazzata vitata e non d’Italia. Sono infatti in totale 2500 i chilometri di muretti realizzati a secco. Nel 2018, i muretti a secco, o meglio “L’Arte dei muretti a secco”, ossia la tradizione e la cultura di quest’arte che ha reso storicamente coltivabili territori impervi come quelli valtellinesi, sono stati riconosciuti dall’Unesco come “Patrimonio immateriale dell’umanità”, un prestigioso riconoscimento internazionale.
La candidatura era stata presentata dall’Italia in collaborazione con Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera, a dimostrazione che l’arte del muretto a secco è un’opera culturale internazionale di grande rilievo.
La sistemazione terrazzata della vigna di Valtellina è l’elemento che maggiormente caratterizza il territorio. Attraverso la realizzazione del terrazzo è stato possibile recuperare allo sfruttamento agricolo le costiere pedemontane ed insediarvi le colture necessarie alla sopravvivenza delle popolazioni indigene.
Il sistema terrazzato della Valtellina si identifica con la realizzazione di una miriade di muri a secco in sasso che sostengono i ronchi vitati. Si tratta di un’opera iniziata millenni fa e portata avanti nel tempo attraverso la fatica e il lavoro quotidiano dei viticoltori che a tutti gli effetti contribuiscono al mantenimento del territorio.
Si stima che i muri si sviluppino per oltre 2500 km, con un’incidenza media/ettaro superiore ai 2000 mq di superficie verticale con costi estremamente elevati in termini di lavoro. Infatti a causa delle condizioni climatiche di tipo alpino, soltanto l’elevata esposizione delle ripide scarpate del versante Retico ed il calore ceduto per irraggiamento dalle sue rocce potevano fornire le condizioni ambientali per la coltura della vite.

La via dei terrazzamenti è un percorso che attraversa l’area più caratteristica del paesaggio valtellinese, i terrazzamenti vitati, posti a mezza costa, tra i 300 e 700 m di quota, sul versante retico della bassa e media Valtellina.
Si tratta di un itinerario a tratti ciclopedonale lungo settanta chilometri, che collega Morbegno a Tirano, e che può essere percorso da Sondrio in entrambe le direzioni.
Il percorso, complessivamente scandito da quaranta aree di sosta, serpeggia sul ripido fianco roccioso del monte, tra vigneti, meleti, e i tradizionali muretti a secco, passando per boschi, borghi storici, torrenti ed edifici, civili e religiosi, di grande interesse storico e artistico.

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  • Arti, Saperi e Sapori

Progetto Segale 100% Valtellina

Sondrio, Lombardia

Genuinità, salubrità, legame con il territorio, riscoperta e rivisitazione in chiave moderna di antichi sapori: sono le parole chiave del “PROGETTO SEGALE 100% VALTELLINA”, ideato e promosso dall’Unione del Commercio del Turismo e dei Servizi della provincia di Sondrio con l’Associazione Panificatori e Pasticceri attiva al suo interno, e da Coldiretti Sondrio. L’obiettivo dell’iniziativa è, da un lato, la reintroduzione e la valorizzazione di un’antica coltura, in passato ampiamente praticata anche sul nostro territorio; dall’altro, la produzione di un tipo di pane realizzato con farina di segale originaria esclusivamente della Valtellina, coltivata in modo naturale senza l’uso di fitofarmaci. Si tratta di un progetto ambizioso e di ampio respiro, che prende vita in forma sperimentale (con l’iniziale coinvolgimento dell’Azienda Agricola di Andrea Fanchi e di diciassette panifici distribuiti in modo omogeneo su tutto il territorio della provincia di Sondrio, dalla Valchiavenna a Livigno), ma che con il tempo intende ampliarsi, estendendosi ad altri operatori, sia coltivatori sia panificatori, che vorranno aderirvi.

L’auspicio è che questo primo seme metta radici, consentendo la nascita di una microeconomia sostenibile in grado di produrre reddito. Un valore aggiunto per la nostra comunità e l’intero territorio.
La segale (nelle forme dialettali valtellinesi più diffuse ségêl o blá) è un cereale buono, salubre e digeribile, dalle molteplici proprietà nutrizionali: contiene: vitamina E, vitamine del gruppo B (soprattutto acido folico e niacina), sali minerali (calcio, ferro, magnesio e potassio), proteine ad alto valore biologico (aminoacidi essenziali come lisina e treonina), fibra (15%; in particolare pentosani) utile per regolare sia l’intestino sia il ciclo del colesterolo nel sangue. La segale, inoltre, dà una sensazione di sazietà ed è perciò un buon alleato per regolare l’appetito. In virtù del suo basso indice glicemico, questo cereale è altresì particolarmente adatto per le persone affette da diabete.

Il consumo di segale in provincia di Sondrio fa parte della nostra cultura e delle nostre abitudini alimentari. Grazie al progetto “SEGALE 100% VALTELLINA” potremo riscoprire la bontà, la fragranza e le proprietà uniche di un alimento prodotto in loco, il pan de ségêl a forma di ciambella o brecadél, che è il pane della tradizione valtellinese. In questa fase di sperimentazione, la produzione del pane ottenuto con farina di segale 100% Valtellina avverrà per un periodo limitato, ossia in tutti i weekend (a partire dal 7 dicembre 2019) fino a esaurimento scorte, per divenire in prospettiva, una volta disponibili maggiori quantitativi di farina, via via più frequente.
Questo cereale ha una storia antichissima. Si ritiene che fosse noto in Valtellina già nel periodo compreso tra l’Età del Rame e l’Età del Bronzo. La coltivazione della segale fu praticata in Valle per molti secoli, grazie alla particolare adattabilità di questa pianta ai climi freddi, agli sbalzi termici e ai terreni poveri. La segale ci racconta di un’economia contadina essenziale e a conduzione familiare fatta di duro lavoro, di un tempo in cui la vita in Valle si svolgeva prevalentemente a “mezza costa”. I nostri nonni ricordano ancora i vasti campi del versante solivo retico (ma anche di parte di quello orobico, nelle zone più soleggiate) riservati a questa coltura, la cui presenza era divenuta un tratto distintivo del paesaggio locale insieme ai mulini ad acqua, che un tempo erano diffusissimi, persino in quota.

Questo prezioso cereale rappresentò a lungo una risorsa alimentare insostituibile per i valtellinesi, ma fu molto di più. Costituì, infatti, un autentico patrimonio culturale e spirituale, un concentrato di valori: attaccamento alla terra, operosità, sobrietà, resistenza alla fatica, lavoro di squadra, religiosità contadina, ciclo delle stagioni, solidarietà quotidiana nell’aiutare e nell’aiutarsi. Agli anni Quaranta del secolo scorso risale l’abbandono delle colture cerealicole e la fine di un mestiere praticato per secoli. Un tramonto che segnò una mutazione antropologica e paesaggistica del nostro territorio.

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  • Borgo
  • Eccellenza Naturalistica

Val di Rezzalo

Sondalo, Lombardia

Posta sulla sinistra orografica del fiume Adda, la Valle di Rezzalo si sviluppa per circa 13 chilometri partendo dall’abitato di Fumero (1465 m) e seguendo il percorso del torrente Rezzalasco fino al Passo dell’Alpe. Il sentiero è costituito da una strada militare che si snoda inizialmente nei densi boschi di Abete rosso che coprono il versante destro mentre sul sinistro notiamo le ripide valli colonizzate da Ontano verde che sovrastano ampi conoidi ricoperti di prati da sfalcio.
La Valle di Rezzalo è giustamente nota, oltre che per il suo interesse naturalistico, per i numerosi insediamenti rurali, costituiti da nuclei di baite, ancora oggi utilizzati durante la stagione estiva.

COME RAGGIUNGERE I SENTIERI:

Da Bormio si segue la S.S. 38 in direzione di Sondrio uscendo, dopo circa 15 km, a Le Prese. All’uscita si imbocca la Strada Provinciale a sinistra: dopo un’ampia rotonda, in località Le Prese si prende la strada a destra in direzione di Frontale e, su una strada a tratti stretta, di Fumero. Dopo Quest’ultima frazione si prosegue fino al termine della strada asfaltata, in località Fontanaccia, inizio dell’escursione, ove vi sono alcuni parcheggi.
Percorso: Fumero – Val di Rezzalo – Passo dell’Alpe – Ponte dell’Alpe
Tempo di percorrenza/km: ore 5 / km 13
Dislivello: 998 m
Difficoltà: T

Il percorso, lungo il quale caprioli, camosci e marmotte sono incontri frequenti per l’escursionista, ci porta in breve alla magnifica Piana dove è situato, tra boschi di larice e prati da pascolo, l’abitato di S. Bernardo.
Superata un’antica torbiera, ormai quasi completamente interrata, e costeggiata la piana, si giunge al limite superiore della vegetazione arborea. Il percorso prosegue tra cespuglieti e praterie alpine dove è ancora praticato l’allevamento sia di bovini sia di una particolare razza autoctona di capra da latte denominata “Frisa”. Giunti all’ampia sella del Passo dell’Alpe (2463 m) il panorama si apre verso la Valfurva e la Valle del Gavia.
Nelle vicinanze è possibile osservare i resti di linee fortificate risalenti alla Grande Guerra.
Dal Passo il sentiero prosegue in leggera discesa fino al Ponte dell’Alpe.
Lungo il percorso sono presenti diverse aree attrezzate ove sostare.

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  • Riserva

Riserva Naturale Pian di Gembro

Villa Di Tirano, Lombardia

La torbiera di Pian Gembro è una Riserva Naturale Parziale Botanica situata nel comune di Villa di Tirano tra Aprica e la località Trivigno.
L’origine della torbiera risale all’ultima glaciazione, circa 10.000 anni fa, quando una lingua del ghiacciaio dell’Adda defluiva verso quella dell’Oglio, modellando la conca di Pian Gembro, poi occupata da un lago che nel corso degli anni è stato invaso da detriti vegetali.
L’acidità del suolo e la carenza di ossigeno hanno rallentato i processi di decomposizione del materiale vegetale favorendo la formazione di uno strato di torba.
Nei primi anni del secolo è iniziata l’estrazione della torba per fini industriali, l’attività, sospesa da pochi decenni, se da un lato ha modificato profondamente il paesaggio dando luogo ad aree decorticate e pozze, dall’altro ha rallentato l’interramento della torbiera e la scomparsa delle specie vegetali caratteristiche di questi ambienti.
La vegetazione di Pian di Gembro presenta alcune specie, tipiche dei periodi post glaciali, rare nelle nostre zone e pertanto di particolare interesse botanico quali il Mirtillo di palude, l’Andromeda polifolia e l’Equiseto.
Altrettanto importante è la presenza di piante carnivore come la Drosera e la Pinguicola delle zone interrate o l’Utricularia delle pozze d’acqua.
La Riserva è sempre visitabile liberamente.

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  • Borgo

Parco delle Orobie Valtellinesi

Albosaggia, Lombardia

Risalendo la pianura padana verso nord s’incontra la catena alpina delle Orobie che si estende tra le province di Bergamo, Brescia, Lecco e Sondrio. Al versante meridionale, che si presenta dolce con valli caratterizzate dall’articolata morfologia, si contrappone quello settentrionale, che scende ripido verso il fiume Adda segnato da profonde incisioni vallive perlopiù parallele. Su questo versante, che si specchia nella catena delle Alpi Retiche a nord, si estende il Parco delle Orobie Valtellinesi. Il suo confine superiore coincide con quello della provincia di Sondrio lungo lo spartiacque tra il monte Legnone, a ovest, fino al passo dell’Aprica, a est. Il confine inferiore si attesta mediamente intorno ai 1000 metri di altitudine. Un territorio straordinario per la diversità e la varietà dei suoi ecosistemi: rupi, ghiaioni e vallette nivali sulle cime, praterie alpine a scendere fino ai boschi di conifere e di latifoglie, ruscelli, laghetti e torbiere.
La formazione delle Alpi Orobie risale a circa venti milioni di anni fa, nel Miocene, durante l’Orogenesi Alpina. La maggior parte della catena è formata da rocce di origine metamorfica, come gneiss, micascisti e filladi, mentre solo lungo lo spartiacque affiorano rocce di tipo sedimentario. L’attuale morfologia delle valli orobiche è il risultato dell’azione congiunta di fenomeni diversi, a cominciare dall’azione dei ghiacciai e delle acque, che hanno determinato l’erosione dei versanti. I torrenti hanno lasciato segni evidenti nelle profonde forre modellate nel tratto conclusivo, prima di sfociare nell’Adda. Ai ghiacciai si devono i caratteristici profili a ‘u’ dei tratti più in quota delle valli, le rocce montante e i numerosi laghetti. La diversa composizione del substrato, la morfologia variegata e l’elevata escursione altimetrica delle Orobie sono all’origine dei diversi ambienti che le distinguono da altre zone montante, ciascuno caratterizzato da una particolare componente vegetale e animale.
Le Orobie valtellinesi conservano i segni del glorioso passato che le ha caratterizzate quale via privilegiata per i traffici commerciali tra i due versanti e per le attività agricole e pastorali. Storia e tradizioni rivivono lungo l’antica Via Priula, transitabile dal 1593, quando la Valtellina era dominata dai Grigioni e la valle Brembana dalla Repubblica veneta. Gli scambi commerciali erano vitali per un’economia povera, fondata sull’agricoltura, che non garantiva il necessario sostentamento alle popolazioni delle valli orobiche. Durante la Prima guerra mondiale, su queste montagne venne realizzato un imponente apparato difensivo, noto con il nome di Linea Cadorna, che attraversava trecento comuni dal lago Maggiore al pizzo del Diavolo. I resti delle trincee sono visibili in val Gerola e al passo del Verrobbio. Della storia locale fa parte anche l’Homo Selvadego, il protagonista di leggende popolari raccontate davanti al fuoco nelle gelide serate invernali. La sua immagine si ritrova dipinta sui muri all’interno di un edificio a Sacco, in val Gerola, oggi diventato un museo.
Il prodotto tipico che più di ogni altro rappresenta le Orobie valtellinesi e, in particolare, le valli di Albaredo e di Gerola, è il formaggio Bitto, la cui lavorazione risale ai Celti, oggi riconosciuto con la Dop, la Denominazione di origine protetta. Prodotto soltanto nel periodo estivo sugli alpeggi con il latte delle mucche di razza bruna alpina, si gusta quale prelibato formaggio da tavola o come prezioso ingrediente dei rinomati piatti della cucina valtellinese. Gli allevatori delle Orobie hanno sviluppato nei secoli la loro abilità nell’arte della caseificazione. Oltre al formaggio Bitto sono rinomati una variante della ricotta, qui nota come maschèrpa, e il matusc. Rinomato è anche il miele d’alta montagna, prodotto sopra i mille metri di quota, e il monoflorale al rododendro, la cui disponibilità risente dell’andamento climatico. Tra i dolci è diffusa la tradizionale bisciola, una pasta lievitata con frutta secca.
Nelle Orobie valtellinesi crescono rigogliosi boschi di latifoglie alle quote inferiori e di conifere più in alto, favoriti dall’esposizione settentrionale del versante e dalle abbondanti precipitazioni. L’abete rosso è l’albero più diffuso del Parco, l’abete bianco e il faggio prevalgono nel settore occidentale, il larice e il pino cembro alle quote più elevate. Rododendri, ontani e ginepri segnano il passaggio dalla foresta alla prateria alpina che, durante la stagione estiva, si colora delle loro vistose fioriture. Vere e proprie perle botaniche sono la Sanguisorba dodecandra, lungo i corsi d’acqua a est, e la Viola Comollia, una rarità nei ghiaioni d’alta quota, e la Androsace Brevis, che cresce nelle pietraie colorandole con i suoi petali dal rosa al viola. Gli ambienti rupestri e quelli periglaciali ospitano specie che si adattano a condizioni estreme come le sassifraghe, Corydalis lutea e Ranunculus glacialis.
La fauna del Parco ha il suo emblema nel gallo cedrone, che qui trova luoghi ancora adatti alla riproduzione; l’uccello schivo e prudente è il simbolo del Parco. Passeggiando sulle Orobie è possibile incontrare caprioli, camosci e stambecchi, animali tipici delle Alpi che qui trovano il loro habitat. I boschi di conifere così ben conservati sono scelti da animali molto esigenti come il picchio nero, le due specie di civette, nana e capogrosso, la martora che difficilmente si adattano. Alcune pareti rocciose ospitano il nido dell’aquila reale, mentre una delle prede favorite dal rapace, la marmotta, abita le praterie d’alta quota. . A tutti gli animali le Orobie garantiscono le condizioni ideali per vivere e riprodursi.

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  • Riserva

Riserva Naturale del Pian di Spagna

Dubino, Lombardia

La Riserva naturale Pian di Spagna e lago di Mezzola si estende su un’area di poco meno di 1600 ettari nei comuni di Sorico e Gera Lario, in provincia di Como, e nei Comuni di Dubino, Verceia e Novate Mezzola, in provincia di Sondrio.
Questa area pianeggiante si trova incastonata tra diversi monti appartententi alla catena alpina: il massiccio montuoso del Monte Berlinghera, appartenente alle Alpi Lepontine a nord-ovest, le cime granitiche delle Alpi Retiche che abbracciano la Valle dei Ratti e la Val Codera a nord-est, mentre a sud spicca il monte Legnone.
Questa area protetta, nella quale troviamo addirittura ben tre diversi bacini idrici – più a sud la parte sommitale del lago di Como, poi il lago di Dascio e più a nord il lago di Mezzola – riveste una particolare importanza sotto l’aspetto paesaggistico e naturalistico. Terraferma, laghi e fiumi creano un ecosistema unico in cui troviamo una ricca varietà di flora e fauna, tipica degli ambienti umidi e lacustri.
Caratteristico, specialmente lungo le sponde meridionali del lago di Mezzola, è il canneto, habitat idoneo per l’avifauna selvatica, per poi trovare praterie igrofile man mano che ci si avvicina alla terraferma.
Ricchissima la fauna, costituita da:
– avifauna: Anatre tuffatrici (Moretta, Moriglione, Moretta Tabaccata, Quattrocchi) o Anatre di superficie (Germano reale, Alzavola, Marzaiola, Fischione), Cigni, Rallidi (Folaga), qualche rara anatra di mare (Orco Marino), Svassi, Strolaghe, Cormorani, Smerghi, Gabbiani e Mignattini; lungo i torrenti troviamo il Merlo acquaiolo, il Martin Pescatore e la Ballerina gialla. Sicuramente vedrete anche Tordi, Fringuelli, Cornacchie, Cince, Picchi e Capinere;
– invertebrati: sgargianti farfalle, leggiadre libellule e altri insetti acquatici;
– pesci: la trota fario, la trota iridea, l’agone, il lavarello, l’alborella, la carpa, il cavedano, il vairone, il pigo, il trotto, la scardola, la tinca, la bottatrice, l’anguilla, il luccio, il persico;
– anfibi: la Rana verde minore, la Raganella, il Tritone punteggiato e il Tritone crestato e il Rospo comune, che in primavera compie lunghi e rischiosi spostamenti;
– rettili: in acqua la Natrice tassellata e la Natrice dal collare, comunemente chiamata biscia d’acqua, sulla terra la Lucertola muraiola, il Ramarro, il Biacco, che può raggiungere anche i due metri di lunghezza;
La Riserva naturale Pian di Spagna e lago di Mezzola si trova in una zona di interesse storico-culturale: il forte di Fuentes e Forte Montecchio Nord a Colico e il tempio romanico di San Fedelino a Sorico rappresentano due tesori archittetonici di cui andare fieri.

Un ambiente ricco sotto ogni punto di vista che offre interessanti escursioni per ogni gusto. Tanti itinerari e passeggiate immersi nella natura e nella storia e punti di osservazione dislocati in diversi punti della riserva.
Particolarmente indicato per famiglie con bambini.
La Riserva offre la possibilità di percorsi personalizzati, visite guidate e attività ludico-didattiche per le scuole.

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Eventi

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