A un tiro di schioppo
Agriturismo Agriturismo ricettivo
Calitri, Campania
1 corone +
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Scopri tutti i comuni del territorioCampania Felix. Gli Antichi Romani la chiamavano così, e il senso di questa definizione sta nella fortunata composizione di elementi naturalistici e “umani” che sono andati nel tempo a creare realtà straordinarie come Capri, Pompei e Sorrento, solo per citarne alcune. In periodo imperiale, la Regione comprendeva i territori che da Capua arrivavano fino a Salernum e poi tutta l’area circumvesuviana. Particolarmente apprezzati erano già all’epoca quelle che oggi chiameremmo wellness destination, ossia le sorgenti termali attorno a cui sorsero grandiosi stabilimenti termali frequentati anche da personalità e aristocrazia romana. Fra questi, le “Spa” di Contursi Terme, Telese e Napoli, attive ancora, oltre ovviamente a quell’unicum che è Ischia, vera e propria “Isola del benessere”. La natura generosa ha regalato alla Campania anche una serie di oasi verdi, a iniziare dal Parco Nazionale del Vesuvio e quello del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, cui si aggiungono il Parco Regionale del Matesesino, il Parco sommerso di Gaia e l’Area Marina Protetta di Costa degli infreschi e della Masseta nel Cilento.
Felix la Campania lo è anche per la ricchezza che ha saputo coltivare l’uomo, a volte letteralmente, con colture come la vite, presente da oltre duemila anni con vitigni autoctoni – vedi le vitis Hellenica, Apiana e Aminea Gemina – che oggi hanno ceduto il passo a Taurasi, Fiano di Avellino e Greco di Tufo, prodotti da esportazione che fanno parlare di questa terra in tutto il mondo.
Così come altri prodotti di tradizione locale: le ceramiche artistiche di Vietri sul Mare, i tessuti artigianali di San Leucio, i coralli e cammei di Torre del Greco, cuore di un fiorente distretto orafo noto a livello internazionale, e le ceramiche di Capodimonte nel capoluogo.
Dati ottenuti tramite l’analisi delle recensioni sul web
Le attività del turista culturale
La ceramica è un’arte antica in Campania, come attestano reperti di epoca etrusca e romana in vari siti archeologici, uno dei quali si trova nell’area di Ariano Irpino, in provincia di Avellino. In particolare, è nel XIII secolo che, all’interno di grotte di arenaria, si perfeziona la tecnica dell’invetriatura, di origine greco-romana e mixata con le culture orientali, bizantine e islamiche, su cui nel XV secolo si innesta anche la sapienza dei maestri faentini portati qui intorno al 1421 dal Conte Francesco Sforza. L’evoluzione continua fino al ‘700, periodo in cui il piccolo borgo irpino arriva a contare 11 fornaci e 20 forniciai specializzati nella produzione di manufatti per uso domestico. A oggi, Ariano è tornato a far sentire la sua voce, proponendo sul mercato i cosiddetti “oggetti solari”, acquasantiere, mattonelle votive, coppe, fiasche a forma di animale o umane dai colori sgargianti.
Si trova nell’avellinese anche Calitri, dove la tradizione ceramica prende piede a partire dal XVI secolo, grazie alla scoperta di ricchi giacimenti di argilla in zona. Da qui, in breve inizia un fiorente commercio anche extra regionale, sulla scia del successo di due decori tipici e assai caratterizzanti: i “sing sing”, tipiche linee verticali che seguivano la circonferenza dei manufatti, e la “rosa mascarina”, una sorta di rosa selvatica stilizzata, arricchita nel tempo con stemmi o emblemi gentilizi e richiami ad animali o piante.
Altri due luoghi dediti a quest’arte si trovano nel Sannio. Il primo è Cerreto Sannita, nel Parco Regionale del Matese, dove è stato rinvenuto un forno arcaico per la cottura dell’argilla. Bisogna però attendere il ‘700 per veder nascere la Scuola delle Maioliche Cerretesi, dovuta a una proficua produzione di manufatti che iniziò a essere esportata in tutto il Meridione. Un approfondimento su tutte le fasi evolutive dello stile locale lo dà il Museo Civico e della Ceramica Cerretese, che raccoglie in tre sezioni i capolavori degli artigiani locali dall’epoca romana fino all’età contemporanea.
Il secondo “spot” sannita per appassionati del genere è San Lorenzello, la cui particolarità è che qui, dal Seicento in poi, si sono sviluppate varie botteghe ma tutte specializzate in una tipologia di manufatto, chi in vasi, chi in presepi, acquasantiere e così via. Una particolarità che ha reso unica la sua ceramica, ancora oggi esportata con successo, fino ad arrivare in Giappone e non solo.
Nel salernitano si trova infine Vietri sul Mare, tanto legata al mondo della ceramica da essere dichiarata nel 1997 Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Ciò che oggi si vive in paese, nelle sue viuzze affollate di botteghe artigiane dedite a tramandare quest’arte antica, è uno spaccato assolutamente fedele di ciò che già accadeva nei secoli addietro, quando il borgo era sia la base di produzione sia lo scalo commerciale della Badia di Cava de’ Tirreni. Perfetta, a chiudere questo itinerario all’insegna della bellezza plasmata da mani sapienti, è la visita alla chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, impreziosita dentro e fuori da straordinarie maioliche del Seicento.
Le attività del turista Enogastronomico
Una cucina dalle infinite sfumature quella della Campania, aristocratica e gustosamente plebea, che intreccia mare e terra senza distinzione o prevalenza alcuna. Una cucina che si avvale di prodotti premiati con le classificazioni DOP e IGP, frutto di una campagna “felix” per via della fertilità generata da fenomeni vulcanici e affini.
Sulla pizza, alimento mitico e universale, si possono trovare molti degli ingredienti di eccellenza che la rendono un emblema di italianità, oltre che di regionalità: in primis, la Mozzarella di Bufala Campana, DOP come il Caciocavallo podolico dei Monti Alburni e il Provolone del Monaco della Penisola Sorrentina, tre dei numerosi gioielli di una produzione casearia ampia e di qualità. DOP sono anche varie tipologie di olio extravergine d’oliva, la Colatura di alici di Cetara e, complice la pummarolla, il Pomodoro di San Marzano e il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio, entrambi portabandiera di una ricca selezione di ortaggi e frutta di altissima qualità. Fra questi spiccano il carciofo di Paestum, le Olive di Gaeta DOP, il Fico bianco del Cilento DOP e il limone di Sorrento, con cui vengono prodotti oli essenziali, liquori e conserve.
Dopo la pizza, c’è la pasta secca, altro emblema della cucina di territorio, prodotta in centinaia di pastifici artigianali – assiepati in particolare nella zona di Gragnano, in provincia di Napoli – dove la trafilatura al bronzo, l’essiccazione lenta e a basse temperature sono ancora gli elementi cardine di una filiera controllata.
Fra i salumi, se il più comune è il salame di Napoli e il più sfizioso è il prosciutto di Pietraroja, quello più di nicchia è la salsiccia di polmone, detta anche polmonata, a base di carne di maiale nero casertano. Salumi che in genere ben si accompagnano a molti dei vini autoctoni, che negli ultimi anni hanno conquistato sempre più terreno – 24.000 gli ettari vitati – e sempre più “premi”, come certificato da ben 15 DOC (Ischia, Capri, Vesuvio, Cilento, Falerno del Massico, Castel San Lorenzo, Aversa, Penisola Sorrentina, Campi Flegrei, Costa d’Amalfi, Galluccio, Sannio, Irpinia, Casavecchia di Pontelatone, Falanghina del Sannio), 4 DOCG (Taurasi, Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Aglianico del Taburno) e 10 IGP (Colli di Salerno, Dugenta, Epomeo, Paestum, Pompeiano, Roccamonfina, Beneventano, Terre del Volturno, Campania e Catalanesca del Monte Somma).
Le attività del turista Naturalistico
L’Isola di Ischia, il Golfo di Napoli, la Costiera Amalfitana, il Cilento, l’Irpinia…Non c’è zona della Campania che non richiami alla mente antiche memorie legate a sorgenti benefiche. Fra le terme pubbliche dell’isola a più alto “tasso di benessere” del Mediterraneo ci sono quelle di Sorgeto e delle Fumarole, ben note e sfruttate sin dai tempi dei Romani e da allora sempre rimaste fra le mete preferite di personalità di ogni epoca, come testimonia il fatto che fu qui che Giuseppe Garibaldi, “ferito ad una gamba”, venne a curarsi, immergendosi nella fonte del Gurgitello a Casamicciola.
Insieme a Ischia, anche Procida e Vivara fanno parte della vasta area denominata Campi Flegrei, che nel tratto di mare da qui alla terraferma presenta numerosi crateri sprofondati sott’acqua. Per la sua natura altamente sismica, il Golfo di Pozzuoli tutto e i Campi Flegrei in particolare erano il luogo ideale per la pratica dell’otium, inteso come momento per la cura del sé, là dove manifestazioni dovute alla continua attività vulcanica di una grande caldera in stato di quiescenza venivano interpretate come segnali divini. Se quest’ultimi erano frutto di interpretazioni assolutamente aleatorie, gli effetti curativi erano e sono tutt’oggi tangibili, qui come negli altri centri termali della Regione. Restando in zona, per combattere artrosi, acne, reumatismi e malattie respiratorie si può andare alle Terme di Pozzuoli, vicino al Lago Averno, particolarmente tonificanti e anti-infiammatorie, con temperature che oscillano dai 38°C ai 74°C nelle piscine principali. Sempre non lontano da Napoli, ci sono le Terme di Agnano, che hanno la particolarità di essere immerse in un parco archeologico dove sono visibili le strutture del primo impianto costruito fra il I e il II secolo d.C. dall’imperatore Adriano.
Sul Golfo di Napoli affacciano le Terme di Castellammare di Stabia, note per le cure dermo-cosmetiche che possono attingere a un circuito di ben 28 diverse fonti minerali. Si lascia la costa per inoltrarsi nell’entroterra salernitano e raggiungere Contursi Terme, che ha il vanto di offrire acque con la più alta concentrazione di anidride carbonica d’Europa e perciò di grande efficacia contro le patologie vascolari.
In provincia di Benevento troviamo invece il complesso delle Terme di Telese, alimentato da acque ricche di zolfo ottime contro patologie di natura inalatoria, ginecologica e dermatologica. Una volta giunti qui, vale la pena intraprendere anche il Sentiero delle Sorgenti, per raggiungere l’area naturalistica e archeologica di Monte Pugliano, spettacolare per le doline nate dal crollo di antiche grotte scavate dall’acqua.
Questo tour ideale nella Campania all’insegna dell’otium non potrebbe chiudersi in un luogo più significativo delle Antiche Terme di San Teodoro, a Villamaina, nell’avellinese: da Virgilio a Plinio il Vecchio, non c’è stato autore del passato che non abbia decantato la purezza e bontà delle acque curative, generate da un’attività sismica che coinvolge anche l’area nei pressi del Lago della Mefite, ricca di fumarole e fanghi bollenti. Suggestioni che, è il caso di dirlo, riaffiorano dal passato per regalare ancora, oggi come ieri, un migliore stato di salute e un profondo relax.
Per scoprire l’anima più selvaggia della Campania si può iniziare dal Cilento, dove il fiume Calore Lucano ha scavato nei secoli cinque profonde incisioni, le cosiddette Gole del Calore, uno dei luoghi più spettacolari del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni insieme all’Oasi WWF delle Grotte del Bussento, 670 ettari di verde caratterizzati da fenomeni carsici fra i più importanti in Italia.
Dalle acque del Rio Bussentino, sempre nel Cilento, vicino ai resti di un mulino, nasce la Cascata dei Capelli di Venere, il cui nome deriva dall’abbondante presenza di felce capelvenere, che crea tutt’attorno una piccola oasi dall’aspetto quasi tropicale.
Il più grande parco regionale campano, di 63.000 ettari, nonché uno dei maggiori bacini idrici del Mezzogiorno, è invece l’Oasi di Caccia di Senerchia, nella provincia di Avellino, riserva naturale di 450 ettari che rientra nel Parco Regionale dei Monti Picentini.
Anche la Costiera Amalfitana nasconde un insospettabile wild side appena alle spalle di uno dei luoghi più celebri, Amalfi, dove fra i comuni di Scala e Agerola si sviluppa la Valle delle Ferriere, attraversata da un percorso semplice e della durata di circa tre ore, con scorci sul mare di rara bellezza.
Dall’azione erosiva del torrente Titerno, nel Beneventano, derivano infine le gole rocciose dette Forre del Lavello, spettacolare “canyon” con grotte, antri e sentieri, anche di trekking fluviale, attrazione del Parco Regionale del Matese.
Il Real Sito di Carditello, situato nella provincia di Caserta, nel cuore della Campania Felix, fu costruito per volere di Ferdinando IV di Borbone nel 1787, nell’area individuata già alla metà del XVIII secolo da Carlo di Borbone e destinata all’allevamento, alla selezione di cavalli di razza reale e alla produzione agricola e casearia. Progettato dall’architetto romano Francesco Collecini, allievo di Luigi Vanvitelli, il Real Sito è composto da una palazzina centrale sormontata da un loggiato e da un belvedere, affiancata da altri edifici di servizio, e da un ampio galoppatoio ellittico, delimitato da due fontane con obelischi e con un tempietto circolare nel mezzo.
Negli anni, il complesso monumentale è passato attraverso vicende alterne e a partire dal 2004, con l’auspicato ‘vincolo’- dapprima limitato al solo edificio monumentale, ampliato poi all’area paesaggistica circostante – è iniziato il rapido processo di rivalorizzazione, sia grazie alla passione dei movimenti civici, che all’impegno del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, che lo ha acquistato nel 2013. A partire da queste premesse è stata costituita, nel febbraio del 2016, dal MiBACT, dalla Regione Campania e dal Comune di San Tammaro, la Fondazione Real Sito di Carditello.
La Regione Campania era denominata dai Romani Campania Felix, riferendosi alle di sicuro alle bellezze paesaggistiche e alla campagna che alla loro epoca erano assai apprezzata. I Romani consideravano la Campania zona prediletta per costruirvi le ville dove trascorrere le vacanze. La Campania è stata senza dubbio uno dei primi e più importanti “centri” di insediamento, di coltivazione, di studio e di diffusione della vite e del vino nel mondo. Non a caso i migliori vini dell’antichità come il Falerno, il Greco, il Faustiniano, il Caleno erano prodotti in Campania.
L’Aglianico, il Fiano, il Greco, la Falanghina, il Per’ e palummo, l’Asprinio, la Biancolella, la Coda di volpe, la Forastera e gli altri vitigni autoctoni coltivati in Campania costituiscono, quindi, la naturale discendenza di questi antichi vitigni denominati come Vitis Hellenica, l’Aminea Gemina, la Vitis Apiana, le Uve Alopeci, l’Aminea Lanata o Minuscola, ecc.
Questi nettari furono cantati, lodati da poeti come Orazio e Virgilio e descritti da naturalisti come Plinio il Vecchio. Oggi un certo degrado ambientale ed un mutamento nelle tendenze colturali hanno ridotto la produzione campana di vini.
Fra le antiche e storiche uve autoctone d’Italia, un posto di rilievo spetta certamente all’Asprinio. La patria indiscussa dell’uva Asprinio è l’agro Aversano – in provincia di Caserta – dove ancora oggi quest’uva viene coltivata con il tradizionale metodo della vite maritata, un sistema di viticoltura tipicamente Etrusco in cui la vite viene fatta arrampicare su alberi ad alto fusto, tipicamente il pioppo. Nonostante il sistema sia oggi in declino, è possibile ammirare ancora – viaggiando per le campagne intorno ad Aversa – il suggestivo spettacolo delle cosiddette alberate Aversane che si stagliano nel cielo anche ad altezze di 15 metri.
La testimonianza più antica della viticoltura risale al VI secolo a.C. Al tempo degli etruschi esisteva una particolare teoria sulla coltivazione delle viti: si usava la vite “maritata” a piante ad alto fusto, potata ed educata come una liana. Successivamente la scuola greca ha introdotto sistemi che allevano che la vite come arbusto sostenuto da un tutore; esempi del primo tipo sono a Caserta l’Asprino, allevato altissimo consociato a pioppi o gelsi oppure i vecchi testucchi di Taurasi, mentre esempi della seconda forma di allevamento sono gli alberelli pugliesi o la moderna spalliera.
In epoca romana, la vite fu “addomesticata” con l’utilizzo di pali e ci fu il ricorso a potature annuali. In questo modo la viticoltura campana raggiunse il massimo splendore.
Si ringrazia per il contributo di dati e di fotografie: Prof. arch. M. Isabella Amirante, arch. Antonella Violano: Dipartimento di Restauro e Costruzione dell’Architettura e dell’Ambiente Seconda Università degli Studi di Napoli
Le prime testimonianze delle tradizioni enologiche del Vesuvio si rintracciano in Aristotele, il quale racconta che i Tessali impiantarono le viti nella zona Vesuviana sin dal V secolo a.C.
Nel mito, Poseidone ed Efesto tennero a battesimo le prime bacche, Nettuno e Vulcano videro scorrere l’antico nettare dalle pendici del Vesuvio fino al mare.
Le divinità greche e romane del mare e del fuoco protessero i vitigni che affondavano le radici nel cuore di una terra ribollente allungando i loro tralci sulla costa tirrenica.
Due fulcri geologici vulcanici sono l’humus naturale dell’origine, evoluzione e peculiarità della viticultura campana: il complesso vulcanico Monte Somma – Vesuvio e i Campi Flegrei, tutt’oggi ambienti ideali e ricchi di varietà di vigne e di tradizioni culturali.
La superficie vitata si estende dalle prime falde fino all’altitudine di circa 700 m.s.l.m. dell’area vulcanica Monte Somma – Vesuvio.
I terreni godono di una diversa giacitura e possono essere distinti in 2 sottozone: l’Alto Colle Vesuviano (oltre i 200 m s.l.m.) con terreni tutti più o meno in pendio e il Versante Sud-Orientale, i cui terreni sono rivolti verso il mare.
Il Vesuvio è collocato tra il Golfo di Napoli, le impetuose catene dei Monti Lattari e l’Appenino Irpino. Il territorio beneficia dei venti provenienti dal mare che, uniti ai venti dei monti, garantiscono alla vite il microclima ideale per vegetare e produrre uve di straordinaria qualità.
Il suolo, di natura vulcanica e ricco di potassio, è formato in parte da depositi di ricaduta o di flusso ed in parte da depositi vulcanoclastici risedimentati localmente ad opera di acque di scorrimento superficiale.
L’areale di produzione può essere suddiviso in due macroaree:
– Il Vesuvio: l’area vulcanica venutasi a creare con l’eruzione del 79 d.C. con esposizione sul versante SUD, icona e simbolo della Città di Napoli e della Regione Campania. Il suo paesaggio rappresenta la facies terribile del Vulcano, a morfologia irregolare e ancora priva di un reticolo idrografico affermato.La vicinanza al mare e la presenza di un microclima più mite, caratterizzano i vini prodotti su tale versante.
– Il Monte Somma: l’originaria area vulcanica da cui è nato il Vesuvio, zona vitivinicola più antica e primordiale, con esposizione sul versante NORD. Il suo paesaggio rappresenta la facies tranquilla, verde, rigogliosa del Vulcano, con i suoi boschi di latifoglie e castagno, i terrazzamenti eroici che si inerpicano lungo i versanti, fino al limite del bosco, con gli albicoccheti e gli orti arborati lussureggianti e disordinati, che simulano essi stessi un boscogiardino ancestrale. Le forti escursioni termiche e un microclima fresco ed umido caratterizzano i vini prodotti su questo versante.
Tutto il territorio ricade nell’area del Parco Nazionale del Vesuvio, patrimonio di biodiversità.
La vitivinicoltura del Vesuvio ha preservato le sue particolari caratteristiche e i suoi tratti distintivi di antiche origini.
Il Caprettone e il Piedirosso, considerati ormai da diversi anni l’espressione della produzione vitivinicola del territorio, sono coltivati, sui declivi vulcanici, a piede franco, cosi da trasferire a ogni grappolo la tipicità del vitigno e l’impronta vulcanica dei terreni.
Le vigne, infatti, affondano le loro radici nella sabbia vulcanica la cui composizione impedisce alla Fillossera, nefasto parassita, di raggiungere l’apparato radicale della pianta.
L’esposizione dei vigneti, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, i terreni ricchi di declivi naturali, l’influenza della brezza marina che attraversa le vigne costantemente, la calda esposizione e la buona illuminazione, sono tutti fattori che concorrono a determinare un ambiente pedoclimatico particolarmente favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.
Non è difficile imbattersi in vigne centenarie e quelle ormai improduttive sono reimpiantate con l’antico metodo della propaggine, interrando un tralcio di una vite produttiva per far nascere una nuova pianta.
Gli anziani viticoltori hanno tramandato conoscenza e tradizione alle nuove generazioni consentendo così di preservare la biodiversità e la ricchezza ampelografica dell’area.
Le varietà autoctone più diffuse sono:
– Piedirosso;
– Caprettone.
I vitigni minori sono:
– Coda di volpe bianco;
– Aglianico;
– Falanghina;
– Catalanesca
L’isola di Procida è stata nominata dal MiBACT Capitale Italiana della Cultura 2022; la commissione ha proceduto alla valutazione dei dossier di candidatura presentati e alla scelta della vincitrice.
“Il progetto culturale presenta elementi di attrattività e qualità di livello eccellente. Il contesto di sostegni locali e regionali, pubblici e privati, è ben strutturato; la dimensione patrimoniale e paesaggistica del luogo è straordinaria; la dimensione laboratoriale che comprende aspetti sociali e di diffusione tecnologica è dedicata alle isole tirreniche, ma è rilevante per tutte le realtà delle piccole isole mediterranee” la motivazione con cui la commissione ha nominato Procida Capitale Italiana della Cultura 2022.
Procida è la capacità di collegarsi al tempo ritrovato, è l’isola che non isola. Nel momento stesso dello sbarco, ti avvolge nel suo ritmo lento fatto di persone e di luoghi. Prima ancora che della Cultura per il 2022, è stata, è e sarà Capitale di relazioni, di inclusione, di cura e amore per l’ambiente marino e storico. Va vissuta preferibilmente a piedi, seguendo gli odori e i sapori che ti accolgono già a Marina Grande con il suo caratteristico Centro Storico affacciato sul Porto e, poco più in là, la spiaggia attrezzata di Silurenza. Proseguendo verso l’interno, in lieve salita, si arriva a piazza dei Martiri con la sua terrazza che domina il lato orientale dell’isola. Prologo della panoramicissima Terra Murata, l’antica città fortificata con il castello d’Avalos e l’Abbazia di San Michele. È la cosiddetta “montagna”, punto più alto e borgo medievale arroccato su un promontorio di tufo a picco sul mare, che per secoli è stato l’unico nucleo abitato di Procida.
Percorrendo la strada che scende si arriva alla Corricella, il coloratissimo borgo di pescatori dove tutto è autentico e genuino, anche i caratteristici locali nei quali è possibile mangiare a un metro dal mare. Case che sembrano dipinte coi pastelli: rosa, bianco, azzurro e verde, con porticine e finestrelle perennemente aperte. Un presepe marino, ma anche una storica location letteraria e cinematografica: qui fu allestito negli anni Cinquanta il set della casa di “Graziella”, il film tratto dall’omonimo romanzo di Lamartine; e qui, quarant’anni dopo, fu girato “Il postino”, ultima pellicola di Massimo Troisi.
Le spiagge più famose sono Chiaia e Chiaiolella. La prima garantisce, grazie alla scogliera e al fondale poco profondo, una maggiore fruibilità per le famiglie che vi arrivano munite di ombrellone e sdraio poiché l’arenile è per la maggior parte libero, anche se esistono delle zone attrezzate con dei lidi.
La Chiaiolella è invece la spiaggia più estesa dell’isola, spazi aperti si alternano agli stabilimenti balneari. Partendo da questa zona, si sale su una stradina stretta che costeggia un’area residenziale che affaccia sul lato sinistro della darsena. Si prosegue in una promenade che, tra ville con giardini a picco sul mare, natura e scorci mozzafiato, arriva a Punta Solchiaro, il promontorio più a sud di Procida da cui ammirare Terra Murata e la terraferma da un punto di vista unico.
Altro luogo sospeso nel tempo e nello spazio è Vivara, riserva naturale collegata da un vecchio ponte alla “terraferma” di Procida. Verde e incontaminata, quest’area è popolata da una flora e una fauna selvagge che custodiscono reperti archeologici di origine micenea.
Tra natura e cultura, Procida ispira e inventa atmosfere che attraversano intatte gli effimeri e modaioli trend. È la sintesi perfetta della Campania che, nella sua unicità, ovunque e in ogni stagione riesce a stupire e sorprendere il viaggiatore.
Le acque termali dell’Isola d’Ischia sono ben conosciute ed utilizzate fin dall’antichità.Già i primi coloni Euboici (VIII sec. A. C.), come dimostrano i numerosi reperti archeologici rinvenuti nel sito di Pithecusa e conservati presso il Museo Archeologico di Villa Arbusto a Lacco Ameno, apprezzavano ed usavano le acque delle sorgenti termali dell’Isola.
I Greci infatti utilizzavano le acque termali per ritemprare lo spirito ed il corpo e come rimedio per la guarigione dei postumi di ferite di guerra (in epoca pre-antibiotica!) attribuendo alle acque ed ai vapori che sgorgavano dalla terra poteri soprannaturali; non a caso presso ogni località termale sorgevano templi dedicati a divinità come quello di Apollo a Delfi.
Strabone, storico e geografo greco, cita nella sua monumentale opera geografica l’Isola d’Ischia e le virtù delle sue sorgenti termali (Geograph. Lib. V).
Se i Greci furono i primi popoli a conoscere i poteri delle acque termali, i Romani le esaltarono come strumento di cura e relax attraverso la realizzazione di Thermae pubbliche ed utilizzarono sicuramente e proficuamente le numerose sorgenti dell’Isola (come dimostrano le tavolette votive rinvenute presso la Sorgente di Nitrodi a Barano d’Ischia, dove sorgeva un tempietto dedicato ad Apollo ed alle Ninfe Nitrodie, custodi delle acque) anche senza fastosi insediamenti;
nell’Isola infatti non sono state rinvenute, come invece a Roma ed in altri centri termali dell’antichità, imponenti vestigia di edifici termali probabilmente per le eruzioni vulcaniche ed i terremoti che frequentemente ne hanno violentemente scosso le balze.
Il declino della potenza di Roma coincise con l’abbandono dell’uso dei balnea anche ad Ischia: non ci sono infatti tracce dell’uso delle acque nel Medioevo.
Di terme e termalismo si riprende attivamente a parlare nel Rinascimento ed un impulso decisivo alla moderna medicina termale venne dato da Giulio Iasolino, un medico calabrese, docente presso l’Università di Napoli, che verso la fine del 1500, affascinato dal clima e dai fenomeni di vulcanismo secondario (fumarole ed acque termali), intuendo le potenzialità terapeutiche del mezzo termale,Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
effettuò un meticoloso censimento delle sorgenti dell’Isola (per la prima volta appare la ricchezza idrogeologica del territorio isolano), ne individuò la composizione delle acque e compì dettagliate osservazione circa gli effetti delle stesse su numerose patologie che affliggevano i suoi contemporanei (nel descrivere la Sorgente del Castiglione, una delle più famose dell’epoca, Iasolino esprime tutto il suo entusiasmoper le acque termali: “Noi ogni dì vediamo operazioni e virtù di quest’acqua così meravigliose e stupende che veramente bisogna credere essere data dal cielo per la salute degli uomini”).
Con la pubblicazione del trattato “De Rimedi Naturali che sono nell’Isola di Pithecusa; hoggi detta Ischia” il Professor Iasolino liberò le acque termali di Ischia da quell’alone magico che fino ad allora ne aveva condizionato l’utilizzo.
Dopo le esperienze di Iasolino, agli inizi del ‘600, considerando che molte guarigioni si ottenevano con l’uso dei bagni termali e che le curead Ischia, abbastanza costose, potevano permettersele solo nobili e ricchi borghesi, un gruppo di nobili filantropi napoletani fece edificare nel comune di Casamicciola il “Pio Monte della Misericordia”, “stabilimento termale (per l’epoca) più grande d’Europa”, per permettere anche a chi non aveva adeguate possibilità economiche di godere delle qualità terapeutiche delle locali acque termali.
Dal ‘600 alla metà del ‘900 vennero costruiti in prossimità delle più rinomate sorgenti termali numerosi stabilimenti e strutture ricettive che fecero dell’Isola d’Ischia una rinomata stazione internazionale di cura e soggiorno dove vennero a curare le malattie del corpo, e non solo, personaggi celebri come Giuseppe Garibaldi, dopo la battaglia di Aspromonte, Camillo Benso conte di Cavour, Arturo Toscanini.
Dagli anni Sessanta, grazie alla lungimiranza ed all’intuito imprenditoriale del cav. Angelo Rizzoli, l’Isola d’Ischia e le sue acque si aprono ai grandi flussi turistici ed una intensa attività scientifica consacra le cure termali al rango di terapie alternative alle terapie farmacologiche per la cura di molte delle affezioni già perfettamente descritte da Iasolino.
Il Parco si articola attorno al massiccio del Matese che con il Monte Miletto, la Gallinola ed il Monte Mutria, arriva a toccare il cielo. Il Matese si estende a cavallo tra Campania e Molise delle quali coinvolge 4 province Caserta e Benevento da un lato, Isernia e Campobasso dall’altro. Congiunge territori tra loro molto diversi, quello calcareo, aspro e splendente, composto da creste e profonde valli, e quello argilloso, dalle forme morbide e sinuose del versante adriatico. Clima continentale ad alta quota e mediterraneo a valle favoriscono l’alto grado di biodiversità del territorio. Peculiarità del parco sono i laghi: il Matese a 1000 metri, il più alto d’Italia, il Gallo e il Letino che vengono usati perlopiù per l’energia elettrica. Le grotte di Lete riservano ai visitatori grandi sorprese: le cascate della galleria superiore e le stalattiti e stalagmiti e le farfalle dagli occhi fosforescenti all’interno delle cavità. Il Parco del Matese è il paradiso degli escursionisti e degli sportivi: mountainbike, trekking, sci d‘erba e alpino, deltaplano, ma anche passeggiate a cavallo e escursioni speleologiche. Interessanti cittadine e borghi storici circondano il parcoche propongono interessanti itinerari culturali e artistici, enogastronomici e di artigianato.
Il Parco Regionale abbraccia i comuni campani di Ailano, Alife, Capriati a Volturno, Castello del Matese, Cerreto Sannita, Cusano Mutri, Faicchio, Fontegreca, Gallo Matese, Gioia Sannitica, Letino, Piedimonte Matese, Pietraroja, Prata Sannita, Raviscanina, San Gregorio Matese, San Lorenzello, San Potito Sannitico, Sant’Angelo d’Alife, Valle Agricola