Abbazia di San Domenico Abate

Comune di SORA

  • Cammino-Religioso

L’abbazia di San Domenico, ubicata alla confluenza del fiume Fibreno con il Liri, sulle rovine di una villa di Marco Tullio Cicerone, è stata fondata nel 1011 dall’abate Domenico di Foligno a suggello pubblico di penitenza, di conversione e di devozione del governatore di Sora e d’Arpino Pietro Rainerio e di Doda sua moglie. Al titolo originario di Beata Madre di Dio e Vergine Maria il papa Pasquale II , nella riconsacrazione della chiesa del 22 agosto 1104, aggiunse anche quello di San Domenico. Lo stile primitivo della basilica è il romanico: pianta a croce latina, con tre navate, la centrale più larga e più alta delle due laterali, chiuse in fondo da tre absidi semicircolari; copertura a volta sostenuta da colonne; il presbiterio più elevato del piano della chiesa e sovrastante una cripta sotterranea.

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Sora, Lazio

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  • Museo

Palazzo Pontificio

Castel Gandolfo, Lazio

Acquisito dalla Camera Apostolica nel luglio 1596 e incorporato come patrimonio inalienabile della Santa Sede il 27 maggio 1604, il territorio di Castel Gandolfo fu prescelto come luogo di villeggiatura da molti papi. Costruito tra il 1624 ed il 1626 per volere di Papa Urbano VII Barberini e su progetto di Carlo Maderno, il Palazzo Pontificio venne realizzato sul sito occupato dal Castello dei Savelli; al completamento dell’edificio partecipa anche Gian Lorenzo Bernini che realizza presso i giardini un portale oggi non più esistente e collabora alla realizzazione di un’ala. All’interno della Cappella di Urbano VIII, ed in altri spazi attigui, si trovano gli affreschi eseguiti da Simone Lagi e dagli Zuccari, mentre la Galleria del Bernini è stata affrescata da Pier Leone Ghezzi. Ricordiamo anche la Sala da Pranzo di Clemente XIV, la Sala del Trono arredata con arazzi, e la Sala dello Scalco con dipinti di Salvator Rosa. La residenza papale viene abbandonata nel 1870, con la caduta dello Stato Pontificio, fino al 1929, quando con i Patti Lateranensi torna ad essere nuovamente la residenza estiva dei Papi. Palazzo Pontificio insieme a Villa Cybo e Villa Barberini costituisce il complesso delle Ville Pontificie che godono del diritto di extra-territorialità. I giardini delle tre residenze costituiscono il Parco delle Ville Pontificie; all’interno della splendida e curatissima area verde è posta la Specola Vaticana, l’Osservatorio Astronomico, e vi sono ubicati i resti della Villa dell’Imperatore romano Domiziano, di cui si sono conservati un grande criptoportico, i resti di un teatro e diverse esedre, nonché qualche tratto stradale ricoperto dall’originale basolato.
Il 21 ottobre 2016, per decisione di papa Francesco, il Palazzo ha dismesso le sue vesti di residenza estiva papale ed è diventato ufficialmente un museo.

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  • Cammino-Religioso

Chiesa Abbaziale di Santa Maria Maggiore

Ferentino, Lazio

La Chiesa Abbaziale di S. Maria Maggiore in Ferentino è uno dei monumenti più insigni di tutto il Lazio e tra le prime chiese in stile gotico-cistercense costruite in Italia, e tra quelle anche meglio conservate. Sorge sopra i ruderi e le testimonianze di altri edifici di culto cristiani: la “Domus Ecclesia”, la Chiesa del IV-V secolo, e la Chiesa del IX secolo. Si pensa che anticamente l’abbazia dovesse essere collegata con la grangia dell’abbazia di Casamari e come quest’ultima dovesse possedere un chiostro, testimoniato dai resti di arcate nella parete nord. Fu edificata probabilmente nella seconda metà XIII secolo e la costruzione è opera dei monaci cistercensi presenti nella zona già dal 1135, da quando cioè san Bernardo da Chiaravalle, con la protezione e la spinta di papa Innocenzo III, venne a rinnovare l’ordine benedettino.

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  • Cammino-Religioso

Abbazia di Casamari

Veroli, Lazio

L’Abbazia di Casamari è uno dei monumenti italiani più antichi dell’arte gotico-cistercense. Il complesso si trova nel territorio di Veroli in provincia di Frosinone, dove un tempo sorgeva la cittadina romana di Cereatae Marianae, luogo di culto della dea Cerere ma anche luogo in cui nacque e crebbe il condottiero Caio Mario. Casamari infatti vuol dire casa di Mario. Sepolta tra boschi inviolati, l’abbazia fu fondata dai benedettini nel 1035 e poi ricostruita dai seguaci di San Bernardo che vi si insediarono nel 1140. Una delle abbazie stilisticamente piu’ significative in Italia e merita sicuramente di essere visitata. Situata nell’estremo territorio orientale del comune di Veroli, lungo la via Maria, a meta’ percorso fra Frosinone e Sora. L’abbazia di Casamari con Regio Decreto del 28 febbraio 1874 è stata dichiarata monumento nazionale.
Casamari denota uno stile complementare diverso dai canoni costruttivi dell’arte monumentale del tempo ispirandosi all’architettura borgognona di Francia, funzionale e semplice, propria dell’ordine dei cistercensi. ll senso di perfezione e di pace è rafforzato dalla pietra chiara e spoglia utilizzata per l’intero complesso mentre l’ambiente austero è magnificamente illuminato dalla luce del sole che filtra attraverso le vetrate di alabastro. L’Abbazia è a tre navate, con abside e transetto, interamente costruita in pietra lavorata, senza stucchi decorativi né opere pittoriche che possano distogliere l’animo del religioso dalla contemplazione del divino. Sulla crociera si innalza la lanterna o torre campanaria; attraverso una porta laterale si accede al chiostro e all’Aula Capitolare, l’ambiente più importante dopo la chiesa.

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  • Patrimonio culturale Religioso

Certosa di Trisulti

Collepardo, Lazio

Immersa nel verde di secolari foreste si adagia questa celebre e maestosa Certosa, fondata nel 1204 per volontà di Papa Innocenzo III.Dal 1208 fu affidata ai monaci Certosini. Nel 1947 essi furono sostituiti dagli attuali Cistercensi.Al suo interno è possibile visitare la Chiesa con pregevoli opere d’arte e l’antica Farmacia (XVII sec.).La Certosa è Monumento Nazionale e custodisce anche una ricca Biblioteca Statale con 25.000 volumi.info sul sito: www.polomusealelazio.beniculturali.it/index.php?it/259/certosa-di-trisulti

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  • Eccellenza Urbana / Centro Storico

Monastero San Magno

Fondi, Lazio

A metà strada fra Monte San Biagio e Fondi (Lt), all’interno del Parco Regionale degli Ausoni, al limitare della piana, si erge il monte Arcano: ai suoi piedi il Monastero San Magno, sulla sua sommità il Santuario della Madonna della Rocca, che delimitano il Campo Demetriano degli antichi romani, la Valle dei Martiri dei cristiani.
Fu infatti nella seconda metà del III secolo che questi luoghi furono teatro di un episodio della più feroce delle persecuzioni degli imperatori di Roma, quella di Decio. Un numero straordinario di cristiani, con San Magno e San Paterno, che si rifugiavano negli anfratti del monte per sfuggire all’esecuzione dell’editto, scoperti, testimoniarono la loro fede sacrificando le loro vite. I resti dei martiri furono custoditi per secoli nell’edificio romano che sorgeva sulla sorgente del fiume Licola.
Il luogo del martirio fu presto oggetto di venerazione e molti seguaci della nuova religione vi si ritiravano in solitudine, favoriti dalle condizioni ambientali di questa felice contrada.
Fintanto che Onorato, come testimonia papa Gregorio Magno dei suoi Dialoghi, nei primi decenni del VI secolo costituì in quel luogo una vera e propria comunità dedita alla preghiera e al lavoro. In seguito il monastero, seguendo la regola benedettina, dipenderà da Montecassino.
Il Monastero San Magno conosce un successivo periodo di rinascita con l’ampliamento fatto dai principi di Fondi negli ultimi decenni del 1400 ed il suo passaggio ai Benedettini di Monte Oliveto che la condussero a una nuova prosperità, sino alla soppressione e alla divisione dei beni nel 1807.
Solo negli ultimi anni il complesso monastico, acquisito e restaurato dalla Regione Lazio ed infine affidato all’arcidiocesi di Gaeta, è stato restituito alla sua vocazione originaria: porto di terra dove ogni viandante può dare una risposta alle domande di vita e di fede di tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Nello stesso tempo i lavori intrapresi hanno riservato importanti scoperte, fra le quali il ritrovamento della chiesa medievale con un ciclo di affreschi sulla vita di San Benedetto risalenti al XI secolo.
La visita del Monastero che parte dalla costruzione romana, sacrario del martirio di San Magno, sorto al piano della sorgente che scorga ai suoi piedi, ci conduce all’incanto della chiesa rinascimentale attraverso quella medievale. Un affascinante percorso ricco di testimonianze che ci riconduce dalle radici della nostra fede all’entusiasmo e alla ingenuità medievali, per farci approdare alla proposta armoniosa e responsabile della modernità.

La sommità del Monte Arcano, che si può raggiungere percorrendo una comoda strada, ci riserva la scoperta dell’antico Santuario.
La tradizione vuole che il culto mariano, portato nel campo demetriano da San Paterno, abbia visto sorgere sul monte un piccola edicola con un affresco dedicato a Maria. Questo affresco raffigura Maria mentre allatta Gesù Bambino, per cui viene denominata Madonna del Latte.
Forse a questa edicola si riferisce l’esametro latino, scolpito su pietra e risalente ai primi secoli e recentemente rinvenuto, che indica: “Qui risplende la dimora della Vergine e Madre Maria”.

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  • Patrimonio culturale Religioso

Santuario della Madonna della Civita

Itri, Lazio

Il Santuario di Maria Santissima della Civita si trova a Itri, in provincia di Latina, in cima al monte Fusco a 673 metri sul livello del mare.
Al centro dei sentieri che conducono dal golfo di Gaeta, alla Ciociaria, fino in Abruzzo, è come un balcone tra i monti Ausoni e Aurunci con belvedere sul Tirreno. Il santuario appartiene all’arcidiocesi di Gaeta ed è stato affidato ai padri Guanelliani fino al 1985: da allora, la cura pastorale è dei Padri Passionisti.
Nella zona di Itri è attestata la presenza di cenobi benedettini cassinesi. Un monastero del XII secolo è ricordato alle falde del monte Civita, con il nome di val di Fellino (Figline). Il monte della Civita acquisì importanza grazie alla venerazione del ritratto della Madonna Odigitria, che la tradizione ha attribuito alla mano di san Luca evangelista. Per un evento miracoloso il ritratto bizantino, forse scampato all’iconoclastia, fu rinvenuto su un leccio sul monte Fusco e divenne luogo e meta dei pellegrinaggi. Nel 1147 per la prima volta si fa menzione di una chiesa della Madonna della Civita in alcune donazioni lasciate dal notaio Gualgano e da sua moglie Sighelgarda.
Costante fu la popolarità del santuario, tanto che il vescovo di Gaeta Patrizi definì la chiesa devotissima e di antica venerazione e ne procurò il restauro.
Mons. Pergamo il 20 luglio 1777 incoronò per la prima volta la Madonna della Civita. Nel 1877 mons. Contieri incoronò per la seconda volta la Madonna. La chiesa fu oggetto di notevoli interventi nel corso del XIX secolo. Il 10 febbraio 1849 Pio IX e Ferdinando II visitarono il Santuario. Un museo raccoglie i ricordi di quella giornata. In occasione del 150° anniversario di tale visita, il 10 febbraio 1999 si è svolta una giornata commemorativa di riflessione e di preghiera.
Il 25 giugno 1989 il papa san Giovanni Paolo II ha visitato il Santuario, in occasione della Visita Pastorale all’Arcidiocesi di Gaeta.Sulla facciata della chiesa sono inseriti frammenti di antichi reperti romani e medioevali. Nel santuario sono custoditi i numerosi ex voto raccolti in molti anni di pia devozione; su è costituito di recente un museo della tradizione religiosa popolare.

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  • Patrimonio culturale Religioso

Abbazia di Valvisciolo

Sermoneta, Lazio

L’abbazia di Valvisciolo si trova in provincia di Latina, fra Sermoneta, l’oasi di Ninfa e Latina Scalo.
L’abbazia è ubicata a 116 m s.l.m. su un contrafforte che si affaccia su una piccola valle, per tradizione medievale, detta “dell’usignolo”. Il nome del complesso monastico sembrerebbe derivare dalla suddetta valle.
Edificata in rigoroso stile romanico-gotico-cistercense è uno dei massimi capolavori del genere della provincia dopo l’abbazia di Fossanova. La tradizione vuole che questa abbazia sia stata fondata nel VIII secolo da monaci greci e sia stata occupata e restaurata dai Templari nel XIII secolo. Quando nel XIV secolo questo ordine venne disciolto subentrarono i Cistercensi.
A questa abbazia è legata una leggenda medioevale, dove si narra che nel 1314, quando venne posto al rogo l’ultimo Gran Maestro Templare, Jacques de Molay gli architravi delle chiese si spezzarono. Ancora oggi, osservando attentamente l’architrave del portale principale dell’abbazia, si riesce a intravedere una crepa. Gli indizi della presenza Templare sono costituiti da alcune caratteristiche croci: nel primo gradone del pavimento della chiesa, nel soffitto del chiostro e quella più famosa di tutte scolpita nella parte sinistra dell’occhio centrale del rosone, venuta alla luce nei restauri di inizio secolo. In tempi recenti, sul lato occidentale del chiostro, abbattendo un muro posticcio, sono venute alla luce, graffite sull’intonaco originale, le cinque famose parole del magico palindromo: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS, con la variante, sinora un unicum, che le venticinque lettere sono disposte in cinque anelli circolari concentrici, ognuno dei quali diviso in cinque settori, in modo da formare una figura simile ad un bersaglio.
Nel 1411 l’abbazia fu ceduta in commenda a Paolo Caetani. Nel 1523 fu declassata da Papa Clemente VII a priorato semplice. Nel 1529 fu ridotta a priorato secolare. Tra il 1600 e il 1605 fu abitata dai cistercensi della congregazione dei Foglianti fino al 1619. Tra il 1619 e il 1635 l’abbazia fu abitata dai Minimi di San Francesco di Paola. Tornarono nuovamente i Foglianti che l’abitarono fino alla Soppressione degli Ordini religiosi voluta da Napoleone Bonaparte. Papa Pio IX fece due importanti visite all’abbazia nel 1863 e nel 1865. Fu per volere di Pio IX che l’abbazia divenne priorato conventuale dipendente dalla congregazione di Casamari. Il 5 luglio 1888 il Priore D. Bartolomeo M. Daini riscattò il complesso monastico messo all’asta dal Comune di Sermoneta con la somma di 10.150 £. Ora l’abbazia continua ad essere abitata dai monaci cistercensi della congregazione di Casamari. Nel marzo 2014 è festeggiato a Sermoneta e a Valvisciolo il 150º anniversario del ritorno dei monaci voluto da Papa Pio IX.
L’interno della chiesa, a tre navate suddivise da pilastri e colonne, presenta pareti spoglie di affreschi secondo i canoni del “memento mori” dei cistercensi che evitavano gli sfarzi architettonici perché non contava per loro la materialità ma, invece, la spiritualità.
Sul fondo della navata sinistra si trova la cappella di San Lorenzo. Affrescata nel 1586-89 dal pittore Niccolò Circignani detto il Pomarancio su commissione del Cardinale Enrico Caetani e del Duca Onorato IV. Questo ciclo di affreschi fu realizzato in occasione della visita di Papa Sisto V nel Ducato Caetani. All’interno della cappella vi sono molti cenni autocelebrativi riferiti al titolo ducale che nel 1586 fu concesso proprio a Onorato IV. Infatti vi sono presenti moltissime corone ducali sorrette da puttini. Interessantissimo l’autoritratto del Pomarancio che la studiosa Sonia Testa ha scoperto fra la decorazione a grottesche della volta, in prossimità delle due vele con l’episodio in cui San Lorenzo opera la conversione di Lucilio, e quella con l’episodio in cui San Lorenzo battezza in carcere San Romano. Sopra il portone d’ingresso si può notare un rosone. Il chiostro sito alla destra dell’abbazia guardando la facciata ha un giardino vivacemente colorato

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  • Patrimonio culturale Religioso

Santuario del Presepe di Greccio

Greccio, Lazio

A pochi passi dall’omonimo paesino, entro una folta selva di lecci a dominio della verde conca reatina, sorge il convento di Greccio: si tratta di un complesso di fabbricati il cui nucleo più antico risale proprio agli anni in cui vi dimorò san Francesco. Questo luogo semplice e solitario, così “ricco di povertà”, fu sempre caro al Santo che vi tornò più volte per vivere in meditazione e in preghiera: qui, a più di mille metri, sopra l’attuale convento il Santo nel 1209 eresse una capanna protetta dalle fronde dei carpini; qui la sua predicazione ebbe un tale seguito che egli stesso ricorderà come “in nessuna grande città ho visto tante conversioni quante in questo piccolo castello di Greccio”.
Qui egli si legò di devota e sincera amicizia a quel Giovanni Velita – forse feudatario del luogo – che divenne il più fervido sostenitore dell’attività del Santo in terra reatina e che promosse la costruzione del romitorio in cui il Francesco e i suoi discepoli abitarono. Proprio a Giovanni Velita il Santo espose nel dicembre del 1223 il desiderio di rappresentare per la prima volta nella storia del cristianesimo la nascita di Gesù: il presepe.
Ed ecco che Greccio diviene la “Betlemme” francescana, un luogo consacrato a Dio, il simbolo di un amore e di una devozione senza limiti. Da quella notte di Natale del 1223, il presepe di Greccio ha raggiunto tutti gli angoli del mondo cristiano, ha portato ovunque il suo messaggio di pace, ha ispirato la fantasia di migliaia di artisti e di semplici artigiani.
Ancora oggi però il luogo conserva la semplicità di allora, niente affatto turbata dalla continua presenza di pellegrini e devoti visitatori che vogliono cogliere lo spirito più vivo e profondo della presenza e della predicazione francescana in questo luogo di fede solitario e silenzioso.
Nel 1228, l’anno della canonizzazione di Francesco, nel luogo esatto in cui avvenne la rievocazione della natività fu eretta la Cappella del Presepio.
Della fine del 1300 è la doppia natività, quella di Betlemme e quella di Greccio, raffigurata in un unico dipinto all’interno della cappella. Opera di alcuni pittori della scuola di Giotto.
Il refettorio, insieme al dormitorio, è ubicato nel nucleo più antico del Santuario di Greccio, il primo ad essere abitato da San Francesco e dai suoi frati. Questa è anche la parte più semplice e spoglia dell’intero complesso, che incarna perfettamente quanto predicato dal Santo. Nel refettorio si osservano ancora i resti di una vaschetta usata per lavare le stoviglie.L’antico dormitorio, detto “dei compagni di San Francesco”, anch’esso facente parte del nucleo originario del Santuario, insieme al refettorio, è stato abitato dalla prima comunità francescana. Ha una lunghezza di 7 metri e una larghezza massima di 2 metri: di fatto, un corridoio lungo e stretto coperto da travi lignee e archi a sesto ribassato. Lungo le pareti sono disegnate alcune croci, forse ad indicare i nomi dei frati che occupavano le celle.
In fondo al dormitorio è visibile anche la cella con la roccia su cui dormiva San Francesco, riferibile al primo periodo trascorso a Greccio, tra il 1209 e il 1214.
Salendo al piano superiore si visita il Dormitorio ligneo del XIII secolo del tempo di San Bonaventura da Bagnoregio, Ministro Generale dell’Ordine (1257-1274). Si incontra quindi un coro del XVII sec. Con­serva un leggio con antico corale.

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  • Patrimonio culturale Religioso

Santuario della Mentorella

Capranica Prenestina, Lazio

La chiesa, dedicata alla Beata Vergine, si dice che sia stata edificata dall’imperatore Costantino e consacrata da papa Silvestro I. Il nome Mentorella ha, secondo gli studiosi, diverse origini: dalla Torre Morella, fortilizio altomedioevale non più esistente; dal generale goto Wult, che convertitosi al Cristianesimo a Montecassino si ritirò successivamente in questo sito, che da lui trasse il nome il Wultvilla, volgarizzato, attraverso vari passaggi (Vultvilla, Vultuilla), in Vulturella e poi Mentorella; altra teoria sull’origine del nome è quella che lo fa risalire all’antico nome dato al monte su cui sorge il santuario della Mentorella ovvero Monte Guadagnolo. Nel medioevo era chiamato Mons Vulturum origine dei termini “Vultuilla de Santa Maria”, oppure “Bulturella” o “Vulturella”. Mons Vulturum significa “Monte degli Avvoltoi” rapaci che un tempo popolavano queste zone e quindi anche Monte Guadagnolo. La storia del sito si accompagna con quella di Guadagnolo; il Santuario fu proprietà dei Monaci di Subiaco fino al tardo secolo XVI, quando lo lasciarono e ad essi subentrarono i Gesuiti. A questo ordine appartenne fino al 1879 e poi, dopo alterne vicende, di nuovo ai Benedettini, finché nel 1857 il papa Pio IX non lo concesse ai Padri Resurrezionisti Polacchi, ai quali ancora oggi appartiene. Già nel XIII secolo, Claro vescovo di Tivoli lamentò le cattive condizioni in cui versava il Santuario, pregando i fedeli di provvedere al suo decoroso mantenimento con somme di denaro. Nel 1390 risulta tra l’altro che la chiesa e il convento vennero di fatto abbandonati, forse per un breve periodo. Il grande rinnovamento del complesso monastico si ebbe nel XVII secolo, ad opera del gesuita Atanasio Kircher, che dal 1660, con l’aiuto economico dell’imperatore Leopoldo I d’Austria e di molti altri principi tedeschi, restaurò la chiesa e il convento e l’abbellì di molte immagini dipinte. Tra queste di un certo interesse sono la decorazione della cappella di S. Silvestro, la prima a destra, con storie relative al Santo affrescate dal pittore Antonio Rosati da Vicovaro e le storie di S. Eustachio nella cappellina omonima, che sorge sulla rupe che sovrasta la chiesa. Padre Atanasio Kircher fu anche un insigne studioso del luogo; a lui si deve una Historia Eustachio-Mariana edita nel 1665, in cui si narrano le origini e le vicende storiche relative al Santuario. Fin dal 1664, il Kircher stabilì di solennizzare la festività annuale il 29 settembre. Ancora oggi il Santuario della Mentorella, il più antico santuario mariano d’Italia e forse d’Europa, è meta abituale di fedeli, che salgono a deporre le loro preghiere ai piedi della Vergine. La facciata della chiesa mostra una grande semplicità architettonica: è adornata da due finestrelle e nel mezzo, sopra il portale d’ingresso, si apre un ovale, con pilastrini a raggiera sormontati da un archivolto a sesto acuto, impostato su capitelli di piccole colonne pensili. L’interno è a tre navate e la travatura è scoperta. La navata centrale è più alta e vasta delle laterali, divise tra loro da grandi archi a sesto acuto, schiacciati e larghi, sorretti da grossi pilastri rettangolari. Un grande arco separa la navata di mezzo dal presbiterio. Le navate laterali terminano con due piccole cappelle. Nel mezzo del presbiterio si eleva un grande ciborio, che posa su un grande altare marmoreo di costruzione moderna. Quattro esili colonne coronate da capitelli di semplice fattura sorreggono un architrave quadrilatero. Su questo un attico poligonale ad un piano, composto di piccole colonne, sorregge la cupola a forma di piramide ottagonale, sormontata dalla lanterna e dalla croce (secolo XIII). Nel ciborio è racchiusa la statua della Vergine, in legno, alquanto più piccola del naturale. Essa è seduta in cattedra, nell’atto di sorreggere sul ginocchio sinistro Gesù, che la guarda teneramente e l’abbraccia. L’opera deve essere attribuita ad una bottega romana del secolo XII. Su una parete della piccola cappella a sinistra del coro è appesa una tavola di quercia a due ante. La parte superiore è decorata da intagli, quella inferiore da piccoli alveoli. Il bassorilievo della parte superiore si divide in due composizioni. In una è rappresentato l’interno di un tempio, dove si svolge una solenne cerimonia religiosa: innanzi ad un altare cubico, il pontefice Silvestro I compie la cerimonia della consacrazione della chiesa; vi assistono un diacono e due accoliti. Nel paliotto dell’altare si legge la data della consacrazione: 23 ottobre. Nell’altra parte del bassorilievo è rappresentato il cervo con l’immagine di Cristo fra le corna e vi è inciso il nome dell’intagliatore: Guilielmus. Le due tavole, ora sovrapposte, sembra che facessero parte di un altare (XII secolo). Nelle vicinanze del Santuario della Mentorella è possibile visitare il caratteristico paese di Guadagnolo (1,5 km) una frazione di Capranica Prenestina. Anche se non offre particolari edifici storici rilevanti vale la pena una breve visita per il panorama e per il fatto che si tratta del paese abitato più alto del Lazio. Nei pressi del santuario è possibile percorre un sentiero che da Pisoniano sale verso la Mentorella e viene chiamato “Il Sentiero Wojtyla“.

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Santuario di Fonte Colombo

Rieti, Lazio

Nella parte più nascosta di un bosco di lecci secolari, sulla costa del verdissimo monte Rainiero, si adagia il santuario di Fontecolombo. Il santuario-convento è uno dei quattro santuari francescani che delimitano il cosiddetto Cammino di San Francesco nella Valle Santa reatina, insieme al convento di Greccio, al santuario della Foresta, e al santuario di Poggio Bustone (convento di San Giacomo). Considerato il monte scelto da Francesco per stilare la regola definitiva del suo Ordine. Due sono i momenti importanti della vita di san Francesco legati a questo luogo. Il primo, tra la fine del 1222 e l’inizio del 1223, fu la redazione della regola definitiva dell’ordine, detta “regola bollata” che fu definitivamente approvata da papa Onorio III il 29 novembre 1223. Dopo aver sostato in preghiera e digiunato per quaranta giorni (questo luogo è conosciuto anche come “Sinai francescano“), san Francesco dettò a frate Leone, in presenza di frate Bonizo da Bologna, esperto in diritto canonico, la regola dell’ordine, molto più breve di quella cosiddetta “non bollata” presentata al capitolo del 1221.La stesura della regola avvenne in una grotta alle pendici del monte. Sulla grotta, detta Sacro Speco, è stata poi costruito l’oratorio di San Michele, che racchiude la grotta e comprende una piccola cappella. Il secondo momento della vita del santo testimoniato da questo luogo, è datato alla fine del 1225, un anno prima della morte, ed è legato al tentativo di guarire san Francesco dalla grave malattia agli occhi che aveva con tutta probabilità contratto in Egitto durante la quinta crociata e che lo rendeva quasi cieco. Un’importante descrizione del Santuario al tempo della presenza di Francesco è tramandata dal cosiddetto Anonimo Reatino, un francescano reatino che descrisse le vicende di Francesco probabilmente nei primi anni del XIV sec. L’Anonimo racconta di abitazioni fatiscenti adattate da san Francesco a residenza dei frati. Il complesso conventuale è costituito da una piazzetta su cui si affacciano la chiesa consacrata il 19 luglio 1450 dal cardinale Nicola Cusano, vescovo di Treviri, e dedicata ai santi Francesco e Bernardino da Siena. Più in basso si trovano il romitorio di San Francesco, dove il santo subì l’operazione agli occhi, la cappella della chiesa della Beata Vergine, detta anche della Maddalena, le cui origini risalgono al XIII secolo, il Sacro Speco, già ricordato, dove il santo redasse la regola ed ebbe la visione di Cristo che la confermava. Dallo spiazzo antistante il convento si accede a un sentiero che inizia con un cancello sul quale sono riportate le parole dell’Esodo “Togliti i calzari dai piedi, poiché santa è la terra dove tu stai”. Il sentiero accoglie quattordici edicole con la Via Crucis in maiolica, opera di scuola napoletana databile al 1745. Lungo il sentiero si trovano nell’ordine: il romitorio di San Francesco, la chiesa della Beata Vergine e il Sacro Speco. Risalendo sullo spiazzo che precede il convento si giunge alla Fonte delle colombe, da cui il Santuario trae il nome e che pare gli sia stato attribuito dallo stesso Francesco, il quale salendo sul monte, vide nel bosco una fonte di acqua cristallina (che esiste tuttora) a cui si abbeveravano delle colombe bianche (Fons colombarum).

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Convento Santa Maria de La Foresta

Rieti, Lazio

Il Santuario di Santa Maria della Foresta conosciuto anche con il nome di Santuario de La Foresta, è uno dei quattro santuari che celebrano il passaggio di San Francesco d’Assisi nella Valle Reatina. La presenza di Francesco nel Santuario è stata collocata tra settembre e ottobre del 1225. A questo luogo sono legati due grandi episodi. Uno il miracolo dell’uva, in quanto i fedeli che si erano recati presso il Santuario per vedere il Santo avevano distrutto la vigna del prete e Francesco per risarcirlo, nel periodo della vendemmia, fece uscire da pochi grappoli una quantità di vino incredibile. L’altro la composizione del Cantico delle Creature. La chiesa di San Fabiano, è nota fin dall’XI sec. Successivamente fu eretta la chiesa di Santa Maria della Foresta consacrata da Gregorio IX nel 1217. In realtà la prima citazione documentaria di Santa Maria risale al 1319.
Le trasformazioni più radicali degli edifici avvennero nel corso del Seicento. Nel 1947 un restauro ha individuato e ripristinato la chiesa di San Fabiano, fino ad allora occultata dalle costruzioni successive.
La strada che conduce al santuario è costeggiata da edicole erette nel 1950 con piastrelle maiolicate che illustrano la Via Crucis. L’edicola più vicina all’entrata del Santuario accoglie la raffigurazione della Madonna dell’uva, a ricordo del miracolo dell’uva qui compiuto da Francesco.

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Santuario di Poggio Bustone

Poggio Bustone, Lazio

Il Santuario venne fondato tra il 1235 e il 1237 sui pendii rocciosi del Monte Rosone, poco a nord di Poggio Bustone. La Chiesa, che risale alla metà del Quattrocento, è dedicata a San Giacomo Maggiore; l’interno gotico è a una sola navata. Il chiostro conserva una parte delle colonne del primitivo Convento e resti di affreschi (Madonna col Bambino del XV secolo e Storie del Santo del XVII secolo). Un sentiero sale con circa 20 minuti di cammino fino a raggiungere il Romitorio di San Francesco, luogo di ritiro e preghiera legato ad alcuni episodi della vita del Santo, a quota 1075 m ai piedi di una rupe. La Chiesetta duecentesca è affiancata da una cappella del Seicento. San Francesco giunse a Poggio Bustone con alcuni suoi compagni nell’estate del 1208, giunto da Assisi dopo aver attraversato Cascia e Leonessa.
Agli abitanti di Poggio Bustone il santo rivolgeva il famoso saluto: “Buongiorno, buona gente!”. Cercando un luogo nascosto dove raccogliersi in meditazione, Francesco si rifugiò sui monti che sovrastano il paese, dove secondo la leggenda gli apparve un angelo che gli annunciò la remissione dei peccati da parte di Dio e gli preannunciò il luminoso futuro del suo Ordine.
La costruzione del santuario di Poggio Bustone iniziò nel Duecento, quando furono edificati il convento e la chiesina nel chiostro. A cavallo tra il Trecento e il Quattrocento fu ampliato il convento e fu costruita una nuova chiesa, mentre nel Seicento al convento venne aggiunto un altro piano. Risale al XX secolo l’edificazione del “Tempietto della Pace”.

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