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Le cave sono luoghi dove da molti secoli avviene l’escavazione e la lavorazione del marmo e possono essere di due tipi: chiuse e a cielo aperto. Per il modo con il quale viene prelevato il marmo, la profondità di prospettiva delle pareti bianche, gli ampi spazi, la precisione simmetrica dei gradoni, i piani di lavorazione, sembrano gradinate di anfiteatri. L’estrazione in cava è stato un continuo divenire di avvenimenti drammatici attraverso i secoli. Dai primitivi cunei di legno, al sistema della “tagliata” dei romani, al rivoluzionario “filo elicoidale”, all’attuale filo “diamantato”, tanto veloce quanto pericoloso, tra gli anfratti delle cave e i candidi e scoscesi “ravaneti” sono conservati gli eroismi, le fatiche, i sacrifici dei cavatori che con tenacia e capacità continuano ancora oggi a demolire queste montagne tagliandole, frantumandole e smontandole pezzo a pezzo, in piccoli blocchi per poi inviarli nel mondo. L’attività estrattiva vera e propria si sviluppò a partire dall’epoca romana, e conobbe il maggiore sviluppo sotto Giulio Cesare (48-44 a.C.). L’esportazione, che avveniva tramite il porto di Luni (ragion per cui il marmo delle Alpi Apuane è detto, in archeologia, marmo lunense), assunse allora un’entità tale da rifornire le maestranze preposte alla costruzione delle maggiori costruzioni pubbliche di Roma e del suo impero e di numerose dimore patrizie. Durante il Rinascimento fu il marmo utilizzato da Michelangelo, che veniva a scegliere personalmente i blocchi su cui lavorare.
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