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Comune di CASTEL SAN VINCENZO
Il sito monastico di San Vincenzo al Volturno è oggi una della maggiori aree archeologiche altomedievali europee. Da almeno tre decenni la sua importanza è ben nota a livello mondiale presso gli studiosi di storia, archeologia, storia dell’arte ed epigrafia. Da qualche tempo la sua importanza è apprezzata anche da parte di un pubblico più ampio, comunque interessato alle vestigia del passato ed alla loro comprensione. La scoperta dei resti del monastero altomedievale, avvenuta quasi casualmente nella prima metà dell’ottocento, ha dovuto attendere oltre un secolo perche dai ritrovamenti più o meno fortuiti si passasse ad una sistematica opera di indagine dei preziosi resti sepolti e dimenticati. Dall’inizio degli anni ’80 del XX secolo, quando la Soprintendenza del Molise ha avviato i lavori di esplorazione, l’impegno di decine di archeologi, restauratori, disegnatori e studiosi di varie discipline, ha reso sempre più chiari ed evidenti i diversi aspetti della complessa civiltà e la profonda cultura e spiritualità della comunità monastica volternunense, nei diversi periodi della sua storia che ebbe i suoi momenti più fulgidi fra gli anni del VIII e tutto il XII secolo. L’entità delle scoperte rende oggi possibile comprendere per chi visita il sito, più che in ogni altro luogo esistente in Europa, cosa davvero fosse un grande monastero sviluppatosi fra l’età longobarda, quella di Carlo Magno, e degli imperatori di Sassonia e, infine, quella dei Normanni.
L’abbazia benedettina di San Vincenzo al Volturno si trova a in prossimità delle sorgenti del fiume omonimo, in una posizione favorevole sulla fertile Piana di Rocchetta, difesa dalle catene delle Mainarde e della Meta a ovest e dal massiccio del Matese a sud. Sulle vicende del monastero siamo informati dal Chronicon Vulturnense, un codice miniato redatto nel 1130 da un monaco di nome Giovanni, che aveva usato a sua volta fonti interne del monastero di VIII-XI secolo. La fondazione risalirebbe, secondo il Chronicon, all’inizio dell’VIII secolo e sarebbe dovuta a tre nobili beneventani, Paldo, Taso e Tato, e alla loro ricerca di un luogo in cui dedicarsi alla vita ascetica. L’area prescelta era stata frequentata in età tardoromana come mostrano i resti di una chiesa e di un’area sepolcrale di V-VI secolo d.C. Nell’anno 787 Carlo Magno pone il monastero sotto la sua diretta protezione, emanando un privilegio contenente esenzioni fiscali e giudiziarie e l’autorizzazione alla comunità ad eleggere il proprio abate senza alcuna interferenza da parte di altre autorità ecclesiastiche. L’importanza rivestita dall’abbazia è dovuta alla sua posizione di avamposto, al confine tra il principato longobardo di Benevento e le terre conquistate dai Franchi. Un momento di grande difficoltà per la comunità monastica si ha nella seconda metà del IX secolo a causa dei movimenti dei saraceni che sfociano nell’attacco dell’ottobre delll’881, conclusosi con l’incendio che danneggiò gravemente il cenobio; in seguito a tale evento, i monaci superstiti furono costretti a rifugiarsi presso i principi longobardi di Capua. La ricostruzione del monastero si avrà solo alla fine del X secolo con l’aiuto degli imperatori tedeschi, Ottone II e Ottone III. Alla fine del XI secolo, a causa della minaccia normanna, il cenobio viene trasferito lungo la riva destra del Volturno in una posizione più sicura e difendibile (il cosiddetto “San Vincenzo Nuovo”). Nel corso del XIII-XV secolo inizia la decadenza e lo sfaldamento del complesso monastico e delle sue proprietà terriere (che si estendono in Molise, Abruzzo, Lazio, Campania, Basilicata e Puglia), che nel 1699, per volere dell’ultimo abate Innico Caracciolo, passeranno sotto la giurisdizione dell’Abbazia di Montecassino.
PERCORSO
Dal ponte della Zingara, sul fiume Volturno, si accede al’interno del complesso monastico: a sinistra si apre una porta che da accesso alla corte a giardino mentre a destra si aprono una serie di varchi che immettono in ambienti ricavati nella navata della Chiesa Sud. La corte a giardino ha pianta trapezoidale; i lati settentrionale e orientale erano porticati e la parte centrale caratterizzata dal giardino al centro del quale era stato collocato un grande vaso marmoreo con scene dionisiache di fine II-inizi III secolo d.C. La chiesa Sud, dedicata originariamente alla Vergine, viene costruita nella seconda metà dell’VIII secolo, sostituendone probabilmente una di V secolo. La chiesa Nord (IX secolo) o “chiesa di Epifanio” è un’aula a navata unica, coperta originariamente a capriate, e terminante ad ovest in un’abside trilobata e sopraelevata che conserva tracce della decorazione a fresco. La cripta di Epifanio si trova al di sotto del presbiterio della Chiesa Nord e fu realizzata insieme alla ristrutturazione della chiesa sovrastante. Ha una forma grossolanamente a croce greca ed è coperta da una volta a botte. La sala dei Profeti ha forma trapezoidale e vi si accede dal vestibolo: il lato sud si apre direttamente su uno dei portici della grande corte centrale del monastero e su una rampa di scale che dà accesso al corridoio che porta a San Vincenzo Maggiore. La sala è così chiamata per la decorazione della parete ovest, degli inizi del IX secolo, che reca una fila di personaggi reggenti nelle mani dei cartigli, tra cui sono stati riconosciuti i profeti Michea e Geremia. Il refettorio è un ampio vano rettangolare diviso in due da una spina muraria centrale in cui erano alloggiate le colonne che servivano per sostenere il tetto. Le cucine, in funzione nel IX secolo, sono state scavate solo in parte. Si articolano in due ambienti: la cucina vera e propria e un vano che doveva fungere da anticucina. Il loggiato, ricavato scavando la parete di travertino, conduce alla rampa d’accesso a San Vincenzo Maggiore. È riccamente affrescato nella sua parete interna, con uno schema a pannelli con all’interno figure geometriche o animali. Le officine in uso nel IX secolo vengono distrutte dall’incendio saraceno dell’881 e rasate tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo per poter costruire l’accesso monumentale alla basilica di San Vincenzo Maggiore. Tra le officine si segnala quella per la lavorazione del vetro e quella attigua in cui si eseguono piccole fusioni di bronzo. La basilica di San Vincenzo Maggiore è triabsidata, priva di transetto e divisa in tre navate da due file di dodici colonne. Ha la facciata rivolta ad oriente e le absidi ad occidente riproducendo l’orientamento delle basiliche paleocristiane di Roma. Nel IX secolo l’accesso avveniva dal lato lungo settentrionale, successivamente, venne aperto l’ingresso sulla facciata orientale, realizzando un grande avancorpo su cui era impostata la scala monumentale; questa conduceva all’atrio, il paradisus, circondato da portici. La cappella di Santa Restituta venne costruita presso l’originaria porta d’entrata laterale della basilica di San Vincenzo Maggiore, nell’ultimo quarto dell’XI secolo. È un edificio a pianta quasi quadrata, diviso in tre navate da due coppie di colonne.
Il complesso, noto come “Abbazia Nuova”, risale all’inizio del XII secolo. Risulta di difficile lettura a causa della mancanza di scavi sistematici e della presenza di restauri e ricostruzioni, che hanno alterato la planimetria dell’edificio. Il monastero viene costruito all’interno di un recinto fortificato, si individuano facilmente i resti della torre di nord-ovest e del cosiddetto “Portico dei Pellegrini” appartenente al XV secolo. All’interno del recinto claustrale viene costruita la basilica di San Vincenzo Nuovo e l’atrio antistante. L’edificio è stato totalmente ricostruito nel Ventesimo secolo ad eccezione del coro quadrato trecentesco, coperto da una volta a crociera costolonata, i cui piedritti sono colonne e capitelli romani riutilizzati
GLI AFFRESCHI DELLA CRIPTA DI EPIFANIO
Gli affreschi che decorano la Cripta di Epifanio sono tra le testimonianze più importanti della pittura altomedievale europea, per la qualità tecnica e formale, per la complessità dei temi raffigurati e per l’ottimo stato di conservazione. Le raffigurazioni iniziano con l’immagine di una mano distesa, simbolo della mano del Padre Eterno. Nella parete est si narra l’Incarnazione del Verbo in Cristo, il rinnovo dell’alleanza con l’uomo che permette la sua salvezza. Sulla destra del braccio orientale è la raffigurazione di Maria Regina seduta in trono, abbigliata come un’imperatrice bizantina. Ha in braccio Gesù bambino con in mano il rotolo della legge che rinnova il patto di alleanza tra Dio e l’uomo. Nella parete ovest si narra invece la testimonianza di coloro che hanno scelto di credere in Gesù accettando il martirio. La narrazione giunge al culmine nell’abside in cui sono raffigurati alcuni elementi delle visioni avute da Giovanni l’Evangelista e riportate nel Libro dell’Apocalisse (i quattro angeli ai quattro angoli della terra e il quinto angelo, forse Cristo stesso). Al di sopra della figura del quinto angelo è nuovamente Maria Regina, seduta in trono, tra le mani ha un libro aperto con i primi versi del “Magnificat” con cui ringrazia Dio per la sua miracolosa maternità. La sua posizione potrebbe alludere al ruolo di mediatrice tra Dio giudice e l’umanità. La fascia decorativa che corre nella parte bassa delle pareti riproduce i motivi dei tessuti che si usavano sospendere alle pareti delle chiese; in particolare, di fronte all’entrata, è raffigurato un nodo apotropaico che serviva ad allontanare le forze del male.
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