Larino – Il Borgo Storico

Comune di LARINO

  • Borgo

Circondata da alberi di olivo e da viti Larino, antica città del popolo italico dei Frentani, fondata in età preromana conserva numerose e importanti vestigia. Dopo la distruzione della città di Frenter, la Città fu ricostruita con il nome di Ladinod, e successivamente prese il nome latino di Larinum, ossia luogo dove i Frentani ebbero i Lari. La città aveva un impianto urbano già molto solido ed evoluto nel IV secolo a.C. dopo la vittoria dei Romani nel 319 a.C., Larinum divenne una res publica, mantenendo una propria autonomia rispetto alle altre città frentane.

Durante la seconda guerra punica (217-201 a.c) fu teatro di battaglie tra l’esercito di Annibale, accampato nella vicina Gerione, e Fabio Massimo, dittatore a Larino.
Successivamente, dopo la caduta dell’impero romano, la dominazione dei Longobardi influenzò la vita di Larino che divenne parte integrante del Ducato di Benevento.

La data tradizionale dell’842, associata alla memoria della traslazione delle reliquie del patrono S.Pardo, mette in relazione l’esodo definitivo dell’antica città dal sito collinare alla vallata sottostante, difesa dalle incursioni saracene ed ungare, da alte mura di cinta. Nel nuovo nucleo, sotto la successiva influenza del Regno di Napoli, a partire dal XIII sec. d.c., recuperò tutta la sua importanza e la presenza di un importante fortezza, successivamente adibita a residenza dei regnanti dell’epoca ne è la testimonianza unita alla costruzione della nuova Cattedrale (consacrata il 31 luglio 1319). Con il riordinamento amministrativo nel Regno di Napoli (1806), Larino riacquistò un ruolo istituzionale determinante, divenendo capoluogo di distretto, così come quando passò (1811) dalla Capitanata al nuovo distretto di Molise.
Una passeggiata nel borgo storico della città di Larino riserva piacevoli sorprese al turista e permette di scoprire ed apprezzare i suoi tesori: il Palazzo Ducale, la Basilica Cattedrale di San Pardo, il Museo Diocesiano, il Museo Civico, i Pavimenti Musivi, Villa Zappone e l’Anfiteatro Romano.

IL PALAZZO DUCALE di Larino è l’antico castello edificato intorno al 1100-1200 dai conti Normanni, durante la conquista longobarda della penisolam situato presso l’asse viario principale del borgo. E’ appartenuto a diverse importanti famiglie larinesi tra le quali Francia, Orsini, Carafa e De Sangro. Nel 800 viene definitivamente acquistato dal Comune della città. All’interno, nella stanza del Sindaco, è conservata una volta affrescata nel 1907 da Luigi Benevento, raffigurante al centro l’ala in campo azzurro, ovvero lo stemma della città, ed ai suoi lati presenta i volti di importanti personaggi del periodo risorgimentale. L’atrio oggi ospita il Museo Civico, la Biblioteca Comunale “Bartolomeo Preziosi” e gli uffici comunali.

La BASILICA CATTEDRALE DI SAN PARDO è una delle più importanti opere d’arte dello stile romanico dell’Italia meridionale costruita nel XII secolo. La chiesa è dedicata all’ Assunta ed al patrono S. Pardo, vescovo di Larino. La facciata è divisa in due piani da una cornice: la parte superiore presenta le caratteristiche delle chiese romaniche abruzzesi ed è caratterizzata dalla presenza di un particolare rosone a tredici raggi . Il rosone è sormontato da una cornice all’interno della quale sono rappresentati i 4 simboli degli evangelisti e l’agnello mistico in posizione centrale. Al vertice della cornice è raffigurato il vescovo S. Pardo in abiti episcopali. Nella parte inferiore si apre il portale strombato con timpano, decorato con colonnine tortili e con ricchi capitelli, a guardia dell’ingresso ci sono sui lati grifi e leoni simboli della vigilanza.
L’interno della cattedrale, con tre navate, è un tipico esempio di romanico meridionale, con archi a sesto acuto caratterizzati da semplici decorazioni. Si conservano tracce di affreschi sulle pareti databili al XIV secolo: l’affresco più importante è costituito da S. Orsola e il rapimento delle Vergini. inoltre si possono ammirare alcuni bassorilievi sia in pietra di incerta datazione che in legno. Tra quelli in legno di fine 1300 abbiamo la raffigurazione dell’ultima cena, la traslazione del corpo di san Pardo, patrono della città, avvenuta il 26 maggio 842.

Il MUSEO DIOCESIANO, allestito nel Palazzo Vescovile è stato inaugurato il 29 ottobre 2011 con lo scopo di conservare, valorizzare e promuovere la conoscenza del patrimonio storico-artistico, proveniente dalla Cattedrale di Larino e dal territorio diocesano. Il Museo, disposto su due piani, custodisce opere pregevoli, dipinti e sculture. Il piano inferiore ospita numerose statue tra le quali un antica statua lignea di san Pardo e una Statua di San Michele Arcangelo, in gesso, risalente al XIV secolo. Al piano superiore si possono ammirare diverse opere del noto pittore Paolo Gamba.

IL MUSEO CIVICO, ubicato al secondo piano del Palazzo Ducale, ospita tre splendide pavimentazioni musive romane: il Mosaico degli Uccelli, il Mosaico del Leone e, infine, il Mosaico della Lupa. Nella prima sala sono affisse alle pareti una serie di epigrafi, iscrizioni romane provenienti dall’antica città di Larinum. Nella seconda sala sono presenti dei reperti archeologici d’età romana sistemati in vetrine espositive. Nelle altre tre sale sono pavimentati i tre mosaici su citati. La sala ‘Freda’, inoltre, ospita la sezione Numismatica dove è possibile ammirare una riproduzione ingrandita di monete coniate nell’antica Larinum.

LE PAVIMENTAZIONI MUSIVE: oltre alle pavimentazioni musive della lupa, degli uccelli e del leone, conservati nel Museo civico di Larino, di rilievo sono il Mosaico del Polpo rinvenuto nell’atrio di una domus patrizia, il Mosaico Absidato rinvenuto anch’esso in un altra domus patrizia, i Mosaico del Kantharos e dell’Emblema rinvenuti nei pressi dell’attuale asilo comunale, il Mosaico dei Delfino nei pressi dell’attuale campo sportivo e, infine, il Mosaico di Villa Zappone
LA VILLA ZAPPONE, di proprietà privata, è una costruzione risalente ai primi del Novecento. Nel 1994 lo Stato ha esercitato il diritto di prelazione nei confronti della Villa e del Parco adiacente. I lavori di scavo di quest’ultimo hanno riportato alla luce un bellissimo mosaico ed i resti di un imponente complesso termale di età romana. Oggi insieme ai resti romani sono visibili le scuderie e la lavanderia. Nelle scuderie è possibile ammirare un condotto fognario perfettamente conservato che alimentava le acque delle terme. Il materiale emerso durante le compagnie di scavo è servito a comporre il pavimento dell’atrio d’ingresso, un caminetto e l’elegante pavimento della Biblioteca.

L’ANFITEATRO ROMANO, testimonianza del dominio Romano, è una struttura, realizzata tra 80 e il 150 D.C., sotto i Flavi, era di medie dimensioni e poteva contenere circa 18.000 spettatori. Di forma ellittica presenta quattro Porte: Porta Nord, la porta dei gladiatori o delle bestie vincenti, Porta Sud, la porta dei vinti, e Porta Ovest ed Est, entrate laterali che consentivano l’accesso agli spettatori. L’Anfiteatro Romano è caratterizzato da una struttura mista di cui una parte scavata nel tufo e l’altra parte in elevato. Al centro è visibile ancora una fossa quadrangolare che permetteva alle bestie l’acceso nell’arena, attraverso una piattaforma mobile. Gli spettatori potevano raggiungere facilmente il proprio posto a sedere percorrendo l’ambulacrum e dirigendosi verso i dodici vomitoria distribuiti equamente su tutta la cavea. A ciascun spettatore spettava un posto a sedere in base al proprio rango sociale. Ai cavalieri era permesso assistere ai diversi spettacoli dal podio, le famiglie patrizie erano ospitate nell’ima cavea, alle famiglie più ricche era riservata la media cavea, infine i cittadini più poveri trovavano posto nella summa cavea, di cui oggi non abbiamo più traccia perché costruita in legno. In epoca medievale dopo l’abbandono della Larinum Romana, alcuni settori furono adibiti ad abitazioni e ad attività artigianali. In epoca alto-medievale altri settori furono utilizzati per accogliere diverse sepolture.

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Montenero di Bisaccia – I Calanchi

Montenero Di Bisaccia, Molise

Montenero di Bisaccia, in provincia di Campobasso, è un paese di circa 6.300 abitanti adagiato a 273 metri s.l.m. tra le colline molisane che guardano verso il mare. L’area urbana offre la possibilità di visitare il Borgo antico, un concentrato di storia, profumi e tradizioni che, fino al XVIII° secolo, rimase circondato da spesse mura e dieci alte torri provviste di feritoie e posti di guardia, che dominavano i dintorni. La zona antica del paese offre scenari originali e suggestivi, come l’area delle grotte arenarie e dell’antica Fonte Cassù, una fonte in muratura, con strutture ad archi, probabilmente ascrivibile a origini romane. Una fontana al servizio dell’antico centro abitato e dei suoi contadini, i quali la usarono fino a pochi anni prima del secondo conflitto mondiale. Nel III secolo a. C., Annibale, dopo la battaglia del Trasimeno, anziché marciare su Roma, entrò in Frentania e mise a sacco e fuoco l’intera Regione per rifornire d’acqua i suoi soldati, che marciavano verso la Piana di Guardialfiera e Larino. Annibale pose i suoi accampamenti a Montenero di Bisaccia, proprio in prossimità di Fonte Cassù, che in dialetto significa refrigerare. Oggi la fonte non è più utilizzabile, ma grazie a un recente restauro è stata recuperata e resa nuovamente visitabile.

LE GROTTE NEOLITICHE sono un complesso naturale di grotte arenarie risalenti al 10.000 a. C. e forniscono una testimonianza diretta di quella che è stata la storia di Montenero di Bisaccia; sono caverne naturali di roccia arenaria che furono abitate fin dal Paleolitico Medio. Infatti, pur non essendo mai state esplorate con intenti scientifici, dalla loro conformazione e da alcuni reperti fossili ritrovati (punte di frecce, ossa e cocci di vasi) si può supporre che esse siano servite come abitazioni umane in epoca risalente al Paleolitico Medio e al Neolitico. Durante il periodo natalizio, quest’area ospita, da più di trent’anni, una bellissima e suggestiva rappresentazione del Presepe Vivente, divenuta ormai una vera e propria tradizione famosa in tutta Italia. Un evento che con il passare degli anni ha creato un forte legame tra territorio, tradizione e leggende popolari.

I CALANCHI
I Calanchi di Montenero di Bisaccia, noti in paese come lame, si trovano alle spalle del Santuario della Madonna di Bisaccia. L’area è caratterizzata dalla presenza di forme erosive che si estendono su un territorio di circa 120,80 ettari, dando luogo al surreale paesaggio fatto di profonde valli dominate da creste sottili e frastagliate. I Calanchi sono delle forme erosive tipiche dei suoli argillosi, createsi in seguito all’azione delle acque meteoriche, che conferiscono un aspetto caratteristico al territorio. L’area è caratterizzata dalla presenza di forme erosive che si estendono su un territorio di circa 120,80 ettari, dando luogo al surreale paesaggio fatto di profonde valli dominate da creste sottili e frastagliate. La costituzione argillosa e quindi impermeabile del terreno rappresenta uno dei fattori caratterizzanti dell’area, assieme a forte pendenza, esposizione a sud, vegetazione scarsa, clima con precipitazioni intense e brevi e irraggiamento solare massiccio nel periodo estivo. Date anche le peculiarità della flora e della fauna presenti, l’area è stata individuata dal Ministero dell’Ambiente quale Sito di Interesse Comunitario (SIC) da valorizzare, tutelare e sviluppare. Sulle aree calanchive, infatti, si insedia una flora costituita in prevalenza da piante erbacee, con dominanza di graminacee, che formano l’habitat prioritario. L’ambiente si presenta sub steppico, caratterizzato da marme compatte, talora fogliettante e da argille marmose di tue tipi: varicolori e azzurre.

IL PRESEPE VIVENTE rappresenta uno degli eventi più attesi e caratteristici, non solo per i monteneresi ma per tutti i molisani. Come ogni anno, si svolge dal 24 dicembre al 6 gennaio presso le Grotte neolitiche. Il Presepe Vivente fu organizzato per la prima volta nel 1984, e sin dalla prima edizione, il presepe è stato allestito presso le Grotte Neolitiche. Con il passare degli anni e l’aumento di consensi e dell’entusiasmo, l’area interessata dalla rappresentazione si è notevolmente ampliata, regalando nuovi scenari. È una manifestazione molto importante che ogni anno coinvolge numerosi volontari e che è riuscita a creare un forte legame tra territorio, tradizioni, miti e leggende. Il luogo e l’impegno di tanti monteneresi rievocano, in modo accattivante e suggestivo, il racconto evangelico della Sacra Famiglia. Nel periodo natalizio, Montenero di Bisaccia e il suo Presepe Vivente diventano meta di numerosi visitatori provenienti ormai da tutta l’Italia. Lo scenario, i costumi e i tanti protagonisti immergono lo spettatore in un luogo incantato e unico.

LA TORRE DI MONTEBELLO
La Torre di Vialante, meglio conosciuta come Torre di Montebello, è situata nella Contrada di Montebello, a circa 12 km dal centro abitato di Montenero di Bisaccia. Data la sua posizione, a poca distanza dal mare e sulla destra del Fiume Trigno, la torre aveva una funzione di difesa e controllo dell’intero litorale molisano. Infatti, era in collegamento con le torri costiere di Termoli e Petacciato e insieme vigilavano meglio la costa dagli attacchi dei Turchi. La Torre di Montebello è stata costruita sopra i ruderi del vecchio Castello di Montenero, con lo scopo di difendere e dare l’allarme durante il lungo periodo delle incursioni saracene. Si suppone che sia stata costruita dai Normanni, restaurata da Federico II e ricostruita completamente nel XVI secolo, sotto il dominio di Carlo V. La torre si presenta a pianta quadrata con scalinata di accesso e merlature e beccatelli che contornano la cornice superiore. La sua forma architettonica si riscontra in numerose torri pugliesi. È articolata su tre livelli: i primi due coperti da volte a botte e collegati internamente da scala a chiocciola in pietra arenaria, l’altro è un terrazzo che presenta una volta coronata da merli. Per poter accedere alla torre vi è una scala a rampa che conduce alla porta d’ingresso, sulla parete principale vi sono evidenti tracce di un ponte levatoio, probabilmente al posto dell’attuale scala esterna. Le superfici murarie sono quasi del tutto compatte: presentano quattro finestrelle rettangolari con semiarco, delineate da mattoni in cotto a forte strombatura e distribuite una per lato a diverso livello di altezza, una monofora aperta a nord-ovest e due porte praticate rispettivamente sui lati nord-ovest e sud-est.

PORTO TURISTICO MARINA SVEVA
Il Porto Turistico Marina Sveva è situato a circa mezzo miglio a nord dalla Foce del Fiume Trigno, in località Costa Verde presso la Marina di Montenero di Bisaccia e nel golfo che unisce le cittadine di Vasto e Temoli. Il Porto Turistico Marina Sveva è una struttura portuale di recente costruzione dotato di numerosi sistemi green attivi: un impianto di depurazione delle acque di ultima generazione per riciclo e sostenibilità che parte dalla raccolta delle acque meteoriche, una colonnina di aspirazione delle acque nere e di sentina con trattamento successivo prima dello smaltimento, sistemi autosufficienti per l’acqua calda basati su pannelli solari, trattamenti anti inquinamento per l’area di bunkeraggio e captazione dell’acqua dalle falde naturali per il lavaggio delle barche con risparmio di acqua potabile. Proprio per questo su carattere fortemente ecosostenibile, l’intera costruzione assume grande rilevanza ed è profondamente legata a un patrimonio naturale e paesaggistico straordinario. Il porto è composto da 7 pontili galleggianti dotati di finger che possono ospitare fino a 446 imbarcazioni da diporto di lunghezza massima di 30 metri. A terra sono disponibili molti servizi sia per le barche che per i diportisti. Marina Sveva è in grado di garantire un livello d’eccellenza nei servizi disponibili e di confezionare un’offerta unica nel suo genere per ampiezza e varietà, arricchita da una struttura di assoluta avanguardia sia dal punto di vista architettonico che funzionale.

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  • Eccellenza Naturalistica

Marina di Petacciato – Riserva Naturalistica

Petacciato, Molise

Centro del litorale adriatico, Petacciato marina gode di un panorama mozzafiato che va dal promontorio del Gargano ai monti della Majella. La sua spiaggia di sabbia chiara e finissima, si allunga per parecchi chilometri in una distesa di natura incontaminata. A rendere Petacciato Marina una piccola meraviglia sono però le sue dune, caratteristico paesaggio della macchia mediterranea, tra le più affascinanti di tutto il litorale. Petacciato è un piccolo paese con meno di 3500 abitanti che sorge sulla cima di una dolce collina vista mare. La cittadina e il suo centro storico sono molto graziose e pittoresche, c’è una bella zona di riserva naturale alla foce del fiume Trigno e soprattutto la parte della marina di Petacciato è capace di incantare, con le sue acque azzurre e le sue dune costiere, anche il turista più reticente.
Il suo centro storico si trova arroccato tipicamente su una bella collina e presenta un classico tono medievale tutto vicoli e piccole piazze. Da visitare è la Chiesa di Santa Maria, che originariamente si chiamava Chiesa di San Rocco (patrono del paese), che rappresenta il cuore del borgo medievale. È stata costruita tra il XI e il XIII secolo con tufo e pietra arenaria, la sua pianta a croce greca ha tre navate e tre relativi altari, tra cui quello molto bello di Sant’Antonio dove si trova una ricca cappella familiare riservata alla nobile famiglia D’Avalos.

Sotto la Torre campanaria si trova la Cripta di San Rocco dove si può ammirare un’acquasantiera murale in pietra riccamente scolpita, una statua lignea di San Giuseppe, l’altare di Santa Lucia, il dossale dell’Addolorata e le particolari statue, in cartapesta dipinta, di Gesù Risorto e di S. Rocco.
Vicino al campanile sorge il PALAZZO DUCALE chiamato anche Castello di Petacciato perché venne creato per essere una vera e propria fortezza difensiva. Oggi è invece il luogo perfetto per ospitare gli eventi culturali e le feste cittadine, soprattutto nel suo elegante cortile-giardino interno.

Di grande interesse ambientale e turistico è l’area naturalistica SIC – Sito Interesse Comunitario – FOCE TRIGNO – MARINA DI PETACCIATO, quasi unica nel suo genere sull’Adriatico, caratterizzata da sabbia chiara e finissima, acqua azzurrra , dune costiere che si estendono per chilometri e una bella pineta che per due chilometri separa il mare dalla strada principale e garantisce riparo e ombra con i suoi grandi pini marittimi.

L’area della Foce del Trigno è un luogo bellissimo che comprende il medio e basso corso del fiume Trigno, con gli argini fluviali, i versanti vallivi e la Marina di Petacciato. Qui fiume e mare si incontrano e danno vita ad uno splendido ecosistema ricco di ornitofauna. Senza ombra di dubbio in molte stagioni questo è un vero paradiso per chi pratica birdwatching, infatti vengono organizzati molti tour e attività di didattica dalle associazioni locali.

L’area include il medio e basso corso del fiume Trigno comprendente gli habitat degli argini fluviali e dei versanti vallivi e la Marina di Petacciato. Il fiume Trigno ha un carattere quasi torrentizio, difatti, si presenta come una fiumara caratterizzata da un letto ampio e ciottoloso, con scarsa vegetazione riparia se non in alcuni tratti nei pressi della foce, dove sono presenti boschi ripari con salici e pioppi. Importante è la presenza di un habitat prioritario: percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea. La tipologia del biotopo consente la nidificazione di alcune specie di caradriformi il Corriere piccolo e il Piro piro piccolo, specie adattate agli ambienti in rapida evoluzione, come appunto i greti fluviali. Non è presente la macchia mediterranea ma pinete che hanno acquisito un elevato valore ecologico e paesaggistico per la presenza, nelle aree meglio conservate, di un sottobosco con specie di macchia e quindi con una evidente ripresa della vegetazione autoctona.

Da Petacciato Marina parte un bellissimo itinerario ciclabile che attraversando la valle del fiume Sinarca porta fino a Termoli, circa 30 chilometri tra campi coltivati spesso pieni di girasoli e placide colline che passa anche dalla bella Torre Saracena sulle rive del Sinarca, un luogo incantevole dove fare foto e ammirare la natura molisana.

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  • Borgo

Campomarino: Il Borgo e i Murales

Campomarino, Molise

CAMPOMARINO
Campomarino, una delle principali cittadine della costa e dell’intera regione, si affaccia sul mare, da una parte, e sulle dolci colline del basso Molise, dall’altra Il paese, uno dei quattro molisani di minoranza etnica arbëreshë, ha la particolarità di avere quattro località: Campomarino Lido, Nuova Cliternia, Ramitelli e Contrada Arcora. Campomarino Lido è la frazione situata lungo la costa molisana dove si possono trovare ampie spiagge che ospitano stabilimenti con tutti i servizi sia aree di spiaggia libera, costeggiate da un bellissimo lungomare.
Il borgo di Campomarino custodisce anche un patrimonio storico e architettonico che è molto interessante scoprire. Una tra le caratteristiche più belle di Campomarino è la presenza di pregiati murales che raccontano i costumi e le tradizioni della comunità albanese in Italia. Le pareti di molte abitazioni, infatti, sono decorate con rappresentazioni della vita, delle attività e delle tradizioni arberesche. Camminando per le vie cittadine risulta impossibile non rimanere meravigliati dalle numerose chiese e dagli antichi palazzi. Il centro storico cittadino ha il suo cuore in Piazza Vittorio Veneto dove si trova uno stupendo belvedere che regala una vista sulla costa adriatica. Tra le tappe da non perdere c’è sicuramente la Chiesa di Santa Maria a Mare, nota anche come “Chiesa vecchia”. L’edificio religioso ha origini medievali, ma è stato oggetto di diversi rimaneggiamenti e l’aspetto attuale risale al XVIII secolo. All’interno la chiesa ospita una reliquia di Santa Cristina, patrona di Campomarino, e un busto della Santa. Poco distante, si trova la Chiesa del Santo Spirito che è comunemente nota come “chiesa nuova” perché è stata costruita nel 1995.

CAMPOMARINO IL BORGO DIPINTO – I MURALES
Il popolo Arbëreshë, di origine albanese immigrò a Campomarino già alla fine del XV secolo per sfuggire all’orrore dell’invasione ottomana dei Balcani. Questo popolo rifondò interi villaggi, ricostruì borghi e casali distrutti da terremoti e pestilenze, bonificò terreni paludosi e tramandò la propria lingua e cultura di generazione in generazione, fino ai giorni nostri. Fu così che rinacque il borgo antico di Campomarino, con la struttura urbana tipica dei piccoli centri balcanici, C’è stato un tempo in cui il borgo antico di Campomarino aveva i muri delle case intonacati di bianco, come la tela di un pittore prima del passaggio del pennello o come un foglio di carta in attesa della prima parola. Liliana Corfiati ha visto in quegli spazi delimitati da porte, finestre e grondaie le pagine pronte ad accogliere i suoi racconti, storie di vita quotidiana, tradizioni da non dimenticare, immagini dai colori vivaci come i costumi Il popolo Arbëreshë.
Grazie, dunque, all’intuizione dell’artista Liliana Corfati, nativa di Campomarino, Il borgo è, infatti oggi, decorato con numerosi murales che si ammirano esplorando i vicoli del paese. In Italia esistono numerosi borghi arricchiti di murales, ma Campomarino non è un borgo dipinto come tutti gli altri, perché dietro la realizzazione delle opere d’arte che decorano il suo centro storico è scolpita la storia di un intero popolo arbëreshë. Sono piu’ di 35 i murales che raffigurano scene di vita ma anche tradizioni e vicende storiche del popolo albanese e passeggiare per le vie del borgo è come visitare un museo a cielo aperto dedicato alla storia e alla cultura arberesche. Ecco, di fronte all’inconfondibile chiesa trecentesca di Santa Maria a Mare, un gruppo di giovani, vestiti con abiti tradizionali dai colori vivaci, danzare in cerchio un antico ballo di buon auspicio al suono di due fisarmoniche. Poco oltre, un regale e fiero condottiero è approdato alla spiaggia del Lido di Campomarino insieme ai suoi fedeli soldati mentre la loro nave è all’ancora con la vela ammainata: è l’eroe nazionale Giorgio Castriota Skanderbeg, vincitore di mille battaglie contro gli Ottomani, invincibile baluardo che, finché fu in vita, riuscì ad impedire l’avanzata turca. Dietro l’angolo, sotto un arco, una coppia di sposi riceve la corona nuziale da un prete ortodosso. Lì Papa Francesco benedice una famiglia arbëreshë; qui Madre Teresa di Calcutta, di origine albanese, abbraccia una ragazzina, circondata da altri giovani sorridenti. In fondo, Santa Cristina, patrona di Campomarino, resiste miracolosamente al martirio inflittole dal padre per farle abiurare la fede Cristiana. Ci sono immagini sacre ma anche scene di vita comune: oltre quella via, un giovane, accompagnato da due violinisti, canta una serenata alla sua amata affacciata alla finestra; due amici giocano a carte, seduti ad un tavolo con due bottiglie di buon vino, mentre una giovane contadina pigia i grappoli d’uva all’interno di un tino. Un gruppo di donne, sedute di fronte all’uscio di casa, sono intente a scambiarsi confidenze dopo aver appeso i panni ad asciugare. Un calzolaio aggiusta una scarpa. Una bella lavandaia lava i panni dopo aver attinto l’acqua dalla fontana del paese; c’è chi inforna il pane, chi prepara la conserva e chi tira la sfoglia con il mattarello mentre alle sue spalle un pentolone si scalda al fuoco del camino. Ovunque fioriere dipinte si confondono con quelle vere; da porte e finestre disegnate si affacciano personaggi che si mescolano agli abitanti di Campomarino: i murales di Liliana Corfiati raccontano scene di vita quotidiana, mestieri e tradizioni popolari; sono stati un dono che l’artista di origine arbëreshë ha voluto fare all’amato borgo natio.

ABITATO PROTOSTORICO.
Di interesse una visita al Villaggio protostorico che sorge a poca distanza dal mare, in Località Arcora. Si tratta di una delle primissime testimonianze di villaggi protostorici della fascia costiera molisana. La datazione dell’insediamento non è esatta, ma si può dire con certezza che le varie fasi abitative partono dall’età del Bronzo Finale, inizio dell’età del Ferro, circa IX secolo a. C., e arrivano almeno al VII secolo a. C. Il sito presenta due aree a destinazione abitativa: La prima si sviluppa a nord-ovest e presenta una serie di strutture notevolmente interrate sul lato posteriore, precedute da un piano probabilmente porticato e pavimentato con un battuto di ghiaia. Alle spalle di una delle capanne e perfettamente allineata con essa, è stata rinvenuta la sepoltura di un bambino piccolissimo, deposto in posizione rannicchiata. La seconda area più ampiamente esplorata e articolata è situata nel settore sud-est del terrazzo. La superficialità delle stratigrafie e le recenti manomissioni rendono problematica la lettura delle singole unità abitative (capanne a pianta rettangolare). I numerosissimi reperti e i resti faunistici e botanici permettono di avere un’idea sulle attività e sull’organizzazione della vita in questo insediamento. Alcune strutture potrebbero aver avuto funzioni specializzate. Le fusarole e i pesi da telaio, per esempio, sono stati rinvenuti con particolare concentrazione in una delle strutture, così come i fornelli stabili che, concentrati in altre aree, sono sempre multipli. Mentre, in altre strutture sono concentrati i vasi per conservare. Tra i resti botanici prevalgono di gran lunga i legumi seguiti dai cereali. I resti dei pasti consumati, soprattutto le parti ossee degli animali, venivano depositati immediatamente al di fuori delle capanne.

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  • Eccellenza Urbana / Centro Storico

I Trabucchi

Termoli, Molise

I TRABUCCHI – TERMOLI
Città di mare, Termoli è anche un borgo antico ricco di storia medievale. E punto di partenza per scoprire l’entroterra dalle dolci colline molisane e le meravigliose isole Tremiti. Dal Castello Svevo, simbolo della città, fino alle torrette che completavano la linea difensiva verso il mare tra Puglia e Abruzzo, Termoli esprime due facce della stessa medaglia: quella dell’antico borgo arroccato e quella della città nuova costruita fuori le mura alla metà del 1800.
Ai piedi del Borgo Antico inizia la Passeggiata dei Trabucchi, tra i simboli che caratterizzano la città, cammino che dai piedi del Castello Svevo si snoda lungo tutta la cinta muraria del Borgo e il promontorio che si affaccia sul mare adriatico fino ad arrivare al Porto.

I Trabucchi, chiamati trabucche in termolese, sono antiche e affascinanti macchine da pesca risalenti al XIX secolo. Era il 1850 quando Felice Marinucci, pescatore termolese, vide per la prima volta un trabucco mentre con la sua barca a vela si dirigeva verso Ancona. Secondo il racconto, nel corso del viaggio, fu attratto da questo strano strumento, formato da una fitta palizzata conficcata tra gli scogli, sulla quale era appoggiata una solida piattaforma fatta di assi di legno.

Completavano la costruzione un argano, una piccola cabina e due massicce antenne che si allungavano sull’acqua per molti metri. Ad esse era legata una rete di forma rettangolare che, a intervalli più o meno regolari, veniva immersa in acqua e subito dopo ritirata. Felice Marinucci ne rimase subito affascinato e, dopo avere assunto sufficienti informazioni sulla sua efficacia, al ritorno da quel viaggio, decise di costruirne uno anche a Termoli, esattamente a Marina di San Pietro, resistito fino ad oggi. Nacque così il primo trabucco di Termoli, al quale, nel 1950, un secolo dopo, ne seguirono circa una decina. A Termoli i trabucchi erano situati a ridosso del Borgo Antico ed erano particolarmente importanti per un borgo di mare perché garantivano il pescato anche in caso di cattive condizioni climatiche. La scelta dei luoghi di impianto dipendeva dal percorso del pesce, in particolare dalla sua fase di allontanamento dalla costa, alla quale si era avvicinato per via delle correnti.
Per cui, i Trabucchi venivano collocati lungo le direzioni d’uscita che andavano dall’insenatura verso il largo, cioè guardando il mare. La tecnica di pesca utilizzata consiste nell’intercettare, con le grandi reti a trama fitta, i flussi di pesci che si spostano lungo gli anfratti della costa. Il trabucco è posizionato là dove il mare presenta una profondità di almeno 6 metri, ed è eretto a ridosso di punte rocciose orientate in genere verso sud-est o nord-ovest, in modo da poter sfruttare favorevolmente le correnti. La rete viene calata in acqua grazie ad un complesso sistema di argani e tirata su per recuperare il pescato. Negli anni più recenti, gli storici Trabucchi termolesi sono stati più volte ridisposti a causa del maltempo. Oggi come allora, i Trabucchi sono privati ed è possibile visitarli su richiesta. Rimangono attivi attivi due: il trabucco Celestino sul litorale Nord e il trabucco D’Abramo sul litorale sud.

D’obbligo una visita al Borgo Antico, arroccato su un promontorio delimitato da antiche mura a strapiombo sul mare Adriatico, risalente al V secolo. Si entra nel Borgo da un varco vicino al Castello o dalla porta ad arco in prossimità della Torretta Belvedere, con un piazzale che domina la vista sul porto e sulla spiaggia a sud di Termoli. Dopo aver percorso piazzette, scalinate, vicoli stretti tra cui il famoso Vico II Castello, il più stretto d’Europa, si apre una grande piazza circondata da casette bianche e ocra tra le quali spicca imponente la Cattedrale di San Basso, Duomo di Termoli, (XII-XIII sec.), splendido esempio di stile romanico. La visita prosegue lungo la cinta muraria tra case basse, in perfetta armonia con il Borgo marinaro fino a raggiungere il Faro e il monumento che caratterizza l’immagine del Borgo stesso: il Castello, probabilmente di origine normanna (XIsecolo), comunemente chiamato Castello Svevo per la ristrutturazione voluta da Federico II di Svevia.

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  • Borgo

Venafro – Il Centro Storico

Venafro, Molise

Città di origine sannitica, Venafro conserva l’antica struttura urbanistica di età romana e conserva reperti archeologici di notevole importanza: un Teatro, un Ninfeo, ville sontuose ed un Anfiteatro.
Nel Museo Nazionale di S. Chiara si conservano pregevoli opere tra le quali la Venere detta di Venafro, statue imperiali, corredi funerari e la Tavola Acquaria. Di epoca medievale rimane la Cattedrale – Chiesa di Santa Maria dell’Assunta, fuori della cinta muraria. Nel nucleo abitato sono presenti circa venti notevoli chiese: dei Conventi di S. Francesco, di S. Chiara, di S. Agostino, del Carmine o quelle di S. Sebastiano, di S. Angelo, di S. Antuono, di S. Paolo, delle Anime del Purgatorio, di S. Nicandro e la chiesa laicale vanvitelliana del Corpo di Cristo. Su di esse domina l’altra chiesa laicale dell’Ave Gratia Plena (L’Annunziata), sovrastata dal Castello Pandone e contornata dai settecenteschi campanili di Cristo e dell’Annunziata. La visita della città di Venafro e, in particolare del suo centro storico, è fonte di inaspettate ed interessanti sorprese per il turista. Tra i vari luoghi di interesse si consiglia di visitare la Cattedrale – Chiesa di Santa Maria dell’Assunta, il Museo Archeologico all’interno del Monastero di Santa Chiara, la Chiesa dell’Annunziata, il Teatro Romano, il Castello Pandone, l’Anfiteatro Romano “Verlasce”, la Palazzina Liberty, il Parco degli Ulivi, e, infine, l’Oasi WWF – Le Mortine.
LA CATTEDRALE – CHIESA SANTA MARIA DELL’ASSUNTA rappresenta il piu’ importante tempio ed è anche una tra le chiese più grandi della regione. Risalente alla fine del V secolo, fu costruita sul preesistente tempio pagano. L’attuale aspetto invece è dovuto ai lavori di restauro risalenti agli anni ’60-’70 del secolo scorso che hanno privato la cattedrale delle antiche forme barocche, riportando il luogo sacro all’aspetto gotico-medievale precedente. L’interno è a tre navate decorate da opere pittoriche del XIV secolo. Nella navata destra è possibile accedere alle 4 cappelle laterali; nella navata sinistra invece è possibile accedere ad una cappella detta comunemente “Cappellone”, per via delle dimensioni più grandi. Nel febbraio del 1935 vennero alla luce delle tracce di colore sotto lo spesso strato di stucco bianco nella navata sinistra della cattedrale. Un’analisi più dettagliata permise di evidenziare tre affreschi decoranti le rispettive cappelle.
IL MUSEO ARCHEOLOGICO – MONASTERO DI SANTA CHIARA è la più vasta sede espositiva di antichità romane e medievali della regione. Qui le statue, gli affreschi, i marmi raccontano la storia della ricca città di Venafrum e del monastero benedettino di San Vincenzo al Volturno. Il Museo archeologico raccoglie reperti dall’età preistorica fino all’epoca medievale provenienti dal territorio dell’antica Venafrum. Nelle sale del museo si dipana la storia antichissima della città, che da importante insediamento sannitico, divenne in epoca romana uno dei centri più fiorenti della regione, famoso in particolare per la produzione di olio. La ricchezza della Venafrum romana è attestata dalle raffinate decorazioni degli edifici monumentali e delle dimore patrizie: affreschi dall’eccezionale conservazione, mosaici e marmi colorati e soprattutto le splendide statue, tra cui la celeberrima “Venere di Venafro”.
LA CHIESA DELL’ANNUNZIATA, fu costruita nel Trecento dalla “Confraterna dei Flagellanti”; nel corso dei secoli subì diversi rimaneggiamenti. Inizialmente aveva una facciata a capanna e nel 1519 avvenne un primo ampliamento, con le mura perimetrali che furono alzate, la tettoia ricostruita e, internamente, la presenza di cinque cappelle, tre finestre, e la zona dell’organo ristrutturata. Durante un successivo intervento, nel 1641, la chiesa assunse l’aspetto barocco. Anche la facciata conserva tutti i segni dell’evoluzione che il monumento ha avuto nel tempo e si presenta con una sovrapposizione di diversi stili. La torre campanaria appartiene alla seconda metà del Settecento ed è costituita da gradini di dimensione decrescente a salire. L’interno, ad un’unica navata, offrealla vista un Crocefisso del XIV secolo, una tavola cinquecentesca raffigurante Santa Caterina, una “Madonna e Santi”, e pregevoli affreschi settecenteschi di due artisti napoletani allievi di Vanvitelli. La cupola ha un notevole disegno architettonico ed è stata eseguita con particolare raffinatezza: risale alla prima metà del XVII secolo ed è considerata la cupola più bella della regione.
TEATRO ROMANO Il teatro romano di Venafro si trova sulle pendici del monte S. Croce, in posizione dominante sulla città, costruito a ridosso del pendio della montagna. Lo scavo ha restituito anche diversi frammenti di sculture tra cui due statue con testa ritratto, sulla cui collocazione non c’è, però, attualmente, la possibilità di avanzare ipotesi. Nel corso del tempo, il teatro fu oggetto di diversi interventi e ristrutturazioni: nel I secolo d.C. fu costruita la summa cavea; alla fine del I secolo d.C. i tribunalia; successivamente il piazzale occidentale venne occupato da un portico su colonne e contornato da un emiciclo in laterizi, grande ninfeo. Il gravissimo terremoto che devastò Campania e Sannio nel 346 d.C. dovette essere una causa determinante dell’abbandono del teatro:
CASTELLO PANDONE Entrare nel castello di Venafro è come fare un viaggio nell’arte pittorica di diciassette secoli. Dai cavalli del conte Enrico affrescati a grandezza naturale nel cinquecento, alle collezioni del Museo Nazionale tra età paleocristiana ed età moderna. Nel 1443, con gli Aragonesi, il castello passò alla famiglia Pandone. Tra il 1522 e il 1527 ogni ambiente del piano nobile fu affrescato con la raffigurazione dei cavalli di famiglia, gli stalloni delle scuderie reali. Nel salone delle feste, la più ampia sala del piano nobile, si legge la successione spazio-temporale degli affreschi delle varie epoche. Di epoca successiva al ciclo dei cavalli è la decorazione del fascione superiore: una successione di raffigurazioni tra cui paesaggi, scene di caccia, momenti di vita cittadina con scorci urbani e paesaggi esotici che riflettono l’eco delle recenti scoperte geografiche. Al secondo piano, il percorso di visita prosegue con l’esposizione di affreschi, sculture, tele, disegni e stampe.
ANFITEATRO ROMANO VERLASCE. L’anfiteatro costituiva uno degli elementi più importanti della città ed a Venafro è riconoscibile oggi, con assoluta sicurezza, in quel complesso che da molti secoli, viene chiamato “ Verlasce “. Grazie alla successiva sovrapposizione di case rurali ai ruderi romani avvenuta nel corso del XVII secolo, ne rimane percepibile l’antica volumetria. Dall’esame delle strutture attualmente esistenti si possono ricostruire la sua forma e le sue dimensioni. L’ellisse che costituiva il perimetro esternocon diametro di circa 110 metri e minore di circa 85 metri. L’arena doveva avere i diametri rispettivamente di 60 e 35 metri circa. Le gradinate si sviluppavano per circa 4.000 metri quadrati con la possibilità di accogliere circa 15.000 spettatori.
PALAZZINA LIBERTY. La Palazzina Liberty, progettata dall’ingegner Gioacchino Luigi Mellucci,[è tra gli edifici più caratteristici di Venafro, grazie alla sua architettura ed alla sua ubicazione nel laghetto cittadino, parte integrante della sede del Comune. In origine era uno dei tanti mulini presenti in questa zona della città; in seguito fu trasformata in centrale elettrica per poi diventare, nel dopoguerra, un cinema. Nel 2018 è stata completamente ristrutturata e trasformata in un centro polifunzionale.
PARCO DEGLI ULIVI. Il Parco Regionale dell’Olivo di Venafro è la prima area protetta dedicata alla promozione dell’olivicoltura tradizionale; conserva piante secolari da cui è prodotto un olio di qualità, citato anche dai grandi scrittori latini: Varrone, Plinio il Vecchio, Strabone, Orazio, Marziale e Giovenale. E’ possibile visitare il Parco degli Ulivi e degustare il celeberrimo olio di Venafro. Venafro, assieme alla biblica Efraim e al Monte degli Ulivi di Gerusalemme, è uno dei tre luoghi simbolo della olivicoltura storica del Mediterraneo.
OASI WWF – LE MORTINE. Situata lungo il breve tratto del fiume Volturno che segna il confine tra Molise e Campania, L’Oasi Le Mortine occupa una lanca fluviale artificiale creatasi in seguito alla costruzione di uno sbarramento per la produzione idroelettrica. L’insieme degli ambienti acquatici è circondato da uno dei boschi igrofili meglio conservati d’Italia. La vegetazione che un tempo abbracciava l’intero corso del fiume è, in questo tratto, ancora ben conservata. Nei fossi e nei canali che tagliano il bosco e negli specchi d’acqua effimeri è presente flora semisommersa: giunco, sparto, nasturzio e veronica. Nei margini esterni più asciutti compaiono ornielli, olmi, aceri campestri e qualche esemplare di farnia. La particolarità e la rarità degli ambienti e degli habitat rendono l’Oasi Le Mortine il luogo ideale per lo svolgimento di attività didattiche ambientali rivolte prima di tutto alle scuole di ogni ordine e grado e allo stesso modo a tutti coloro che amano trascorrere giornate rilassanti a contatto con la Natura. Sono diverse le Università che conducono attività scientifiche usufruendo della riserva naturalistica Le Mortine.

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  • Borgo

Larino

Larino, Molise

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  • Castello/Fortezza/Rocca/Villa

Castello Svevo – Borgo Vecchio

Termoli, Molise

CASTELLO SVEVO
L’elemento che, forse più di ogni altro, racconta la storia di Termoli, è la torre, inserita nella cinta muraria che delimita il borgo vecchio. Nota anche come Castello Svevo, è diventata, col tempo, un’architettura che determina il genius loci, ossia un’architettura che favorisce l’interrelazione psicologica di ogni abitante col la propria città. Ad un primo sguardo, quello che salta subito all’occhio, è l’ambivalenza di un’architettura così imponente, se confrontata con le piccole casette che segnano il tratto urbano del borgo e, al contempo, la sincera fusione del Castello con lo stesso borgo.

La genesi del Castello è spesso confusa con quella della città: durante la dominazione longobarda delle terre molisane, il territorio era costellato da piccoli feudi disorganizzati spesso in lotta tra loro. È in questo periodo che gli abitanti dei villaggi sparsi sul territorio, si rifugiarono sul promontorio addossato sul mare, dove sorgerà poi il primo nucleo cittadino, e circondandosi di un sistema murario difensivo. Dal IX secolo i Normanni, insediatisi stabilmente nell’Italia meridionale, avviarono un programma di ristrutturazione delle fortificazioni longobarde e di costruzione di nuovi presidi di difesa: è probabile che in questo periodo si inserisca la costruzione del “donjon”, il Castello, evidente esempio di fortificazione normanna, costituito da due grandi volumi sovrapposti, innestate alla cinta muraria.

Il primo, costituente il basamento, è un tronco di piramide a pianta quadrata; il secondo è una torre a base quadrata più piccola. La sua geometria allude ad una compenetrazione quasi perfetta di corpi solidi. Differenti eventi hanno messo in pregiudizio lo stato dell’opera: dal susseguirsi di terremoti fino ad eventi meno devastanti, come l’invasione crociata, quella delle truppe di Enrico VI del 1194 e, infine, l’attacco delle galee veneziane nello scontro del 1240 contro Federico II di Svevia. Ed è proprio Federico II ad aver avviato un programma militare di recupero delle fortificazioni, costruendo le maglie nodali del sistema difensivo e, nel caso in esame, constatato lo stato di abbandono e degrado in cui versava il Castello, la sua ristrutturazione. Quest’ultimo svolgeva la duplice funzione di difesa della costa e della stessa città e, al contempo, era una sorta di simbolo del potere federiciano, fronteggiando, con la sua presenza, i fermenti delle autonomie locali contrarie al governo degli Svevi.

Un’analisi della struttura dichiara la mancanza della funzione residenziale della torre: se in epoca normanna essa svolgeva essenzialmente una funzione difensiva, con la prevalenza di caratteri militari della costruzione, sotto il dominio di Federico II, invece, esso ha assunto connotati più artistici e residenziali, nonostante conservasse ancora le funzioni originali di sicurezza. Si può affermare che l’aspetto definitivo del Castello è stato assunto proprio nel XV secolo, con la presenza di quattro torri circolari atte ad ospitare le bocche bombardiere e delle robuste cortine curvilinee, con la funzione di schivare i fuochi delle artiglierie. Dal 1885 il Castello è annoverato tra i monumenti nazionali e designato quale museo storico regionale: è oggi convertito in ambiente per le esposizioni temporanee di arte e per la celebrazione dei matrimoni civili. La parte superiore, invece, è chiusa al pubblico perché presidiata dall’aeronautica militare che utilizza gli spazi del torrione e ha costruito, in sommità, un locale che funge da stazione metereologica, dotata dei relativi impianti strumentali. Ogni anno, il 15 agosto, si svolge la suggestiva manifestazione dell’incendio del castello, rievocazione dell’assalto subito da parte dei turchi, e, nell’incantevole cornice del borgo vecchio, il castello si illumina a giorno di fuochi e colori.

BORGO ANTICO
Il borgo antico di Termoli conserva ancora oggi i segni del carattere polivalente della città: il porto, sviluppato a sud , testimonia lo stato di luogo di transito del posto, punto cruciale per lo spostamento di merci e persone; il trabucco, strutturato sull’antico sistema delle palafitte, ricorda un importante aspetto della vita della popolazione locale, quello della pesca. Il Borgo Vecchio, sulla sommità di un promontorio proteso sul mare Adriatico, si presenta come una suggestiva cittadella fortificata, caratterizzata da piazzette e vicoli molto caratteristici; tra questi si evidenza Vico Il Castello, uno dei più stretti d’Europa. Non esistono fonti d’archivio che documentano la storia delle origini di Termoli, a causa del saccheggio turco avvenuto nel 1566, ma il ritrovamento di alcune necropoli nelle località Porticone e Difesa Grande testimonia la presenza umana nella zona sin dal VI secolo a.C. Per sfuggire all’invasione dei Goti, nel 412 d.C. alcuni abitanti dell’entroterra termolese si rifugiarono sul vicino promontorio. Tale località prese l’appellativo di Tornola, in ricordo del nucleo originale che si chiamava Cliterniola. Alcuni vicoli e piazze del Borgo Vecchio hanno conservato questo nome fino ai giorni nostri. Successivamente, nel 568 d.C. i Longobardi fondarono il Ducato di Benevento e proclamarono Termoli capoluogo di Contea. Proprio per questo, la città fu munita di mura, di un torrione e di otto torrette merlate. Dalla dominazione Longobarda Termoli passò a quella Carolingia, nel periodo dall’ 801 al 1030 d.C Termoli divenne anche un possedimento del Regno delle Due Sicilie, governato prima dai Normanni e poi dagli Svevi. Risalgono al periodo Svevo la ricostruzione e l’ampliamento della cerchia muraria e del castello e l’istituzione di un importante mercato settimanale, da tenersi il lunedì entro le mura.

Una passeggiata nel borgo, tra stretti vicoli ed architetture dalle linee essenziali, che denotano un impianto urbano riconducibile al basso medio evo, permette di scoprire e vivere angoli e spazi suggestivi. Montecastello, la via panoramica, posta all’entrata del borgo in prossimità del castello è la parte più alta del borgo e dalle sue mura di cinta è possibile godere di una vista panoramica sul lungomare, sul golfo di Vasto , sul litorale di Rio Vivo e sulle isole Tremiti. Vico castello (rejecelelle) è un vicolo largo 41 cm., una delle vie più strette d’Italia, ed è una sorpresa trovarselo sul cammino, attraversarlo e continuare ad esplorare i segreti del borgo marinaro. I Trabucchi: antiche e affascinanti macchine da pesca che, nei tempi passati, permettevano ai pescatori di pescare anche quando il mare era in tempesta. Il primo trabucco di Termoli venne costruito intorno al 1850. Oggi i trabucchi sono fra i simboli che caratterizzano la città di Termoli. Per osservarli in tutta la loro bellezza si può percorrere la ‘Passeggiata dei trabucchi’ che dai piedi del Castello Svevo si snoda lungo tutta la cinta muraria del Borgo Antico fino ad arrivare al Porto. La Cattedrale è edificata sul punto più alto del Borgo Vecchio, nel luogo dell’insediamento urbano più antico, come testimoniano alcuni reperti archeologici risalenti all’età del bronzo. La prima costruzione sorge, verosimilmente su rovine di un antico edificio pagano di cui però non ci sono tracce. Ci sono, invece, tracce evidenti, quali il giro delle tre absidi e il mosaico pavimentale, di un edificio religioso preesistente a quello attuale e già Cattedrale, dedicata a S. Maria. Durante il sec. XII, due terremoti compromisero gravemente la Chiesa “mosaicata” e si decise quindi la costruzione di un nuovo tempio. La Cattedrale è suddivisa in tre navate da pilastri cruciformi e presenta una copertura a capriate nella navata centrale e volte a crociera in quelle laterali. Nel corso dei secoli la Cattedrale subì calamità naturali e saccheggi che la devastarono notevolmente. A metà del XVIII secolo l’interno subì una trasformazione barocca da cui venne liberata negli anni trenta, quando vennero alla luce i mosaici pavimentali e i resti delle absidi dell’edificio religioso preesistente. Con i recenti interventi di restauro sono venute alla luce altre parti del mosaico pavimentale e un’ampia area cimiteriale sotto i locali della sagrestia, risalente al IX secolo negli strati più antichi. Il 31 dicembre 1761 nella cripta della Cattedrale furono rinvenute le ossa di S. Basso, patrono di Termoli; mentre, nel maggio del 1945 vi furono rinvenute quelle di S. Timoteo, discepolo di S. Paolo.

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  • Museo

Museo Sannitico

Campobasso, Molise

Museo Sannitico
Un viaggio nel Sannio prima, durante e dopo i Sanniti attraverso ambre, ceramiche, bronzi, avori, marmi e contesti funerari. Dove i reperti in vetrina richiamano i contesti di una storia millenaria.
Campobasso si trova nel cuore della regione abitata dai Sanniti della tribù dei Pentri, il cui nome significherebbe “popolo dei monti”. Infatti questo territorio è ricco di villaggi fortificati e santuari sulle alture, edificati da questo popolo che si dice si sia stanziato in Molise nel primo millennio avanti Cristo seguendo il loro animale protettore, un bue.

Nel nobiliare Palazzo Mazzarotta, nel centro storico di Campobasso, è aperto dal 1995 il Museo provinciale sannitico. Espone reperti provenienti dal territorio dell’antico Sannio, nello specifico dalla Provincia di Campobasso, che vanno dalla tarda preistoria fino al Medioevo. Gli spazi espositivi racchiudono molto materiale archeologico proveniente sia da collezioni private, donato poi alla comunità campobassana nella seconda metà del diciannovesimo secolo, sia da moderni scavi archeologici.

Il Sannio prima dei Sanniti
Nella sezione dedicata alla formazione della cultura sannitica, si torna indietro fino al secondo millennio avanti Cristo, quando si formano le società guerriere, maestre nella lavorazione dei metalli: nelle vetrine sono esposti alcuni dei prodotti dei primi artigiani del bronzo, le armi e i gioielli dei primi guerrieri e delle loro dame.

Con il primo millennio avanti Cristo inizia la formazione dell’ identità etnica dei popoli preromani, i cui capi gestiscono i contatti commerciali e culturali con le regioni vicine. Le tombe delle classi dominanti sono eccellenti fonti di informazioni, con i loro corredi ricchi di materiali esotici: ceramiche, bronzi ed ambre.

Il Sannio dei Sanniti- i culti
Al museo rivivono gli aspetti della vita quotidiana, dei riti e delle credenze di un popolo che per molto tempo si oppose al dominio di Roma in Italia. Il culto di Ercole, praticato in santuari montani, è testimoniato da numerose statuine votive in bronzo. Le terrecotte architettoniche originali dei luoghi di culto sulle pareti delle sale, fanno rivivere parte dell’aspetto esteriore dei santuari. Le offerte nei tesoretti, ricche di ceramiche, terrecotte e gioielli, rispecchiano la devozione dei Sanniti e delle Sannite.

Il Sannio dei Sanniti- la scrittura
L’ Osco, la lingua usata dai Sanniti, è presente in una sezione con tavole in bronzo, tegole e incisioni su ceramica. Trovarsi di fronte a un segno scritto da un sannita, significa essere in diretto contatto col suo pensiero e con il suo mondo, dopo più di 2.000 anni.

Il Sannio dopo i Sanniti- vita e arte romane
L’ arte e il modo di vivere tipico del mondo romano arrivano anche nel Sannio, dove nascono molte città. Da queste, come Sepino, provengono diversi oggetti che ci parlano chiaramente della vita del Sannio romano: l’acqua corrente, il vetro soffiato, la scultura in marmo, la toilette femminile, l’uso delle lucerne.

Il Sannio dopo i Sanniti- vita e morte dei cavalieri barbari
Con la caduta dell’ impero romano anche il Sannio iniziò ad essere aperto alle scorribande di tribù barbariche. Tra queste quelle dei Bulgari che nel settimo secolo dopo Cristo marcano la loro presenza nella valle di Boiano con centinaia di tombe. In queste i guerrieri a cavallo barbari, come le loro donne, sono sepolti con tutta la loro opulenza.
Il Museo nasce nel 1881 e viene ospitato, insieme alla Biblioteca Provinciale, nel Palazzo della Prefettura.
Si provvede ad una prima catalogazione del materiale a cura dell’archeologo Antonio Sogliano che ne pubblica nel 1889 l’Inventario. Da allora il Museo e la Biblioteca hanno conosciuto vicende alterne e molteplici cambi di sede fino al 1995, quando il Museo è stato allestito nei locali del settecentesco Palazzo Mazzarotta, nel centro storico di Campobasso.
Al suo interno le collezioni contano sia sull’originaria raccolta provinciale ottocentesca, sia su ritrovamenti avvenuti durante moderni scavi archeologici nella Provincia di Campobasso. L’esposizione permanente si articola secondo un criterio cronologico e tematico.
Al pian terreno l’età del Bronzo e la Prima età del Ferro, con l’ emergere e il consolidamento delle aristocrazie guerriere: di particolare rilevanza le armi dell’età del Bronzo Finale e i gioielli in ambra dell’ età del Ferro.
Al primo piano i Sanniti, i loro santuari, i loro commerci, le loro tombe: da segnalare una ricca collezione di statuine votive di Ercole, ornamenti in terracotta provenienti dai santuari e alcuni tesoretti votivi.
Al Secondo piano la romanizzazione del Sannio, con materiali provenienti anche dalla città romana di Sepino: di particolare interesse le sculture in marmo e tanti piccoli oggetti di vita quotidiana, come chiavi, elementi di toilette femminile e suppellettili in bronzo.
Sempre al secondo piano l’alto medioevo rappresentato dalle ricchissime tombe di cavalieri Bulgari ritrovate nella Piana di Bojano: tra di queste la ricostruzione integrale della tomba di un guerriero e del suo cavallo con ricche bardature in argento; segue in appendice una breve sezione con materiali basso medioevali, in particolare ceramiche.

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  • Sito Archeologico

Complesso Monumentale di San Vincenzo al Volturno

Castel San Vincenzo, Molise

Il sito monastico di San Vincenzo al Volturno è oggi una della maggiori aree archeologiche altomedievali europee. Da almeno tre decenni la sua importanza è ben nota a livello mondiale presso gli studiosi di storia, archeologia, storia dell’arte ed epigrafia. Da qualche tempo la sua importanza è apprezzata anche da parte di un pubblico più ampio, comunque interessato alle vestigia del passato ed alla loro comprensione. La scoperta dei resti del monastero altomedievale, avvenuta quasi casualmente nella prima metà dell’ottocento, ha dovuto attendere oltre un secolo perche dai ritrovamenti più o meno fortuiti si passasse ad una sistematica opera di indagine dei preziosi resti sepolti e dimenticati. Dall’inizio degli anni ’80 del XX secolo, quando la Soprintendenza del Molise ha avviato i lavori di esplorazione, l’impegno di decine di archeologi, restauratori, disegnatori e studiosi di varie discipline, ha reso sempre più chiari ed evidenti i diversi aspetti della complessa civiltà e la profonda cultura e spiritualità della comunità monastica volternunense, nei diversi periodi della sua storia che ebbe i suoi momenti più fulgidi fra gli anni del VIII e tutto il XII secolo. L’entità delle scoperte rende oggi possibile comprendere per chi visita il sito, più che in ogni altro luogo esistente in Europa, cosa davvero fosse un grande monastero sviluppatosi fra l’età longobarda, quella di Carlo Magno, e degli imperatori di Sassonia e, infine, quella dei Normanni.

L’abbazia benedettina di San Vincenzo al Volturno si trova a in prossimità delle sorgenti del fiume omonimo, in una posizione favorevole sulla fertile Piana di Rocchetta, difesa dalle catene delle Mainarde e della Meta a ovest e dal massiccio del Matese a sud. Sulle vicende del monastero siamo informati dal Chronicon Vulturnense, un codice miniato redatto nel 1130 da un monaco di nome Giovanni, che aveva usato a sua volta fonti interne del monastero di VIII-XI secolo. La fondazione risalirebbe, secondo il Chronicon, all’inizio dell’VIII secolo e sarebbe dovuta a tre nobili beneventani, Paldo, Taso e Tato, e alla loro ricerca di un luogo in cui dedicarsi alla vita ascetica. L’area prescelta era stata frequentata in età tardoromana come mostrano i resti di una chiesa e di un’area sepolcrale di V-VI secolo d.C. Nell’anno 787 Carlo Magno pone il monastero sotto la sua diretta protezione, emanando un privilegio contenente esenzioni fiscali e giudiziarie e l’autorizzazione alla comunità ad eleggere il proprio abate senza alcuna interferenza da parte di altre autorità ecclesiastiche. L’importanza rivestita dall’abbazia è dovuta alla sua posizione di avamposto, al confine tra il principato longobardo di Benevento e le terre conquistate dai Franchi. Un momento di grande difficoltà per la comunità monastica si ha nella seconda metà del IX secolo a causa dei movimenti dei saraceni che sfociano nell’attacco dell’ottobre delll’881, conclusosi con l’incendio che danneggiò gravemente il cenobio; in seguito a tale evento, i monaci superstiti furono costretti a rifugiarsi presso i principi longobardi di Capua. La ricostruzione del monastero si avrà solo alla fine del X secolo con l’aiuto degli imperatori tedeschi, Ottone II e Ottone III. Alla fine del XI secolo, a causa della minaccia normanna, il cenobio viene trasferito lungo la riva destra del Volturno in una posizione più sicura e difendibile (il cosiddetto “San Vincenzo Nuovo”). Nel corso del XIII-XV secolo inizia la decadenza e lo sfaldamento del complesso monastico e delle sue proprietà terriere (che si estendono in Molise, Abruzzo, Lazio, Campania, Basilicata e Puglia), che nel 1699, per volere dell’ultimo abate Innico Caracciolo, passeranno sotto la giurisdizione dell’Abbazia di Montecassino.

PERCORSO
Dal ponte della Zingara, sul fiume Volturno, si accede al’interno del complesso monastico: a sinistra si apre una porta che da accesso alla corte a giardino mentre a destra si aprono una serie di varchi che immettono in ambienti ricavati nella navata della Chiesa Sud. La corte a giardino ha pianta trapezoidale; i lati settentrionale e orientale erano porticati e la parte centrale caratterizzata dal giardino al centro del quale era stato collocato un grande vaso marmoreo con scene dionisiache di fine II-inizi III secolo d.C. La chiesa Sud, dedicata originariamente alla Vergine, viene costruita nella seconda metà dell’VIII secolo, sostituendone probabilmente una di V secolo. La chiesa Nord (IX secolo) o “chiesa di Epifanio” è un’aula a navata unica, coperta originariamente a capriate, e terminante ad ovest in un’abside trilobata e sopraelevata che conserva tracce della decorazione a fresco. La cripta di Epifanio si trova al di sotto del presbiterio della Chiesa Nord e fu realizzata insieme alla ristrutturazione della chiesa sovrastante. Ha una forma grossolanamente a croce greca ed è coperta da una volta a botte. La sala dei Profeti ha forma trapezoidale e vi si accede dal vestibolo: il lato sud si apre direttamente su uno dei portici della grande corte centrale del monastero e su una rampa di scale che dà accesso al corridoio che porta a San Vincenzo Maggiore. La sala è così chiamata per la decorazione della parete ovest, degli inizi del IX secolo, che reca una fila di personaggi reggenti nelle mani dei cartigli, tra cui sono stati riconosciuti i profeti Michea e Geremia. Il refettorio è un ampio vano rettangolare diviso in due da una spina muraria centrale in cui erano alloggiate le colonne che servivano per sostenere il tetto. Le cucine, in funzione nel IX secolo, sono state scavate solo in parte. Si articolano in due ambienti: la cucina vera e propria e un vano che doveva fungere da anticucina. Il loggiato, ricavato scavando la parete di travertino, conduce alla rampa d’accesso a San Vincenzo Maggiore. È riccamente affrescato nella sua parete interna, con uno schema a pannelli con all’interno figure geometriche o animali. Le officine in uso nel IX secolo vengono distrutte dall’incendio saraceno dell’881 e rasate tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo per poter costruire l’accesso monumentale alla basilica di San Vincenzo Maggiore. Tra le officine si segnala quella per la lavorazione del vetro e quella attigua in cui si eseguono piccole fusioni di bronzo. La basilica di San Vincenzo Maggiore è triabsidata, priva di transetto e divisa in tre navate da due file di dodici colonne. Ha la facciata rivolta ad oriente e le absidi ad occidente riproducendo l’orientamento delle basiliche paleocristiane di Roma. Nel IX secolo l’accesso avveniva dal lato lungo settentrionale, successivamente, venne aperto l’ingresso sulla facciata orientale, realizzando un grande avancorpo su cui era impostata la scala monumentale; questa conduceva all’atrio, il paradisus, circondato da portici. La cappella di Santa Restituta venne costruita presso l’originaria porta d’entrata laterale della basilica di San Vincenzo Maggiore, nell’ultimo quarto dell’XI secolo. È un edificio a pianta quasi quadrata, diviso in tre navate da due coppie di colonne.
Il complesso, noto come “Abbazia Nuova”, risale all’inizio del XII secolo. Risulta di difficile lettura a causa della mancanza di scavi sistematici e della presenza di restauri e ricostruzioni, che hanno alterato la planimetria dell’edificio. Il monastero viene costruito all’interno di un recinto fortificato, si individuano facilmente i resti della torre di nord-ovest e del cosiddetto “Portico dei Pellegrini” appartenente al XV secolo. All’interno del recinto claustrale viene costruita la basilica di San Vincenzo Nuovo e l’atrio antistante. L’edificio è stato totalmente ricostruito nel Ventesimo secolo ad eccezione del coro quadrato trecentesco, coperto da una volta a crociera costolonata, i cui piedritti sono colonne e capitelli romani riutilizzati

GLI AFFRESCHI DELLA CRIPTA DI EPIFANIO
Gli affreschi che decorano la Cripta di Epifanio sono tra le testimonianze più importanti della pittura altomedievale europea, per la qualità tecnica e formale, per la complessità dei temi raffigurati e per l’ottimo stato di conservazione. Le raffigurazioni iniziano con l’immagine di una mano distesa, simbolo della mano del Padre Eterno. Nella parete est si narra l’Incarnazione del Verbo in Cristo, il rinnovo dell’alleanza con l’uomo che permette la sua salvezza. Sulla destra del braccio orientale è la raffigurazione di Maria Regina seduta in trono, abbigliata come un’imperatrice bizantina. Ha in braccio Gesù bambino con in mano il rotolo della legge che rinnova il patto di alleanza tra Dio e l’uomo. Nella parete ovest si narra invece la testimonianza di coloro che hanno scelto di credere in Gesù accettando il martirio. La narrazione giunge al culmine nell’abside in cui sono raffigurati alcuni elementi delle visioni avute da Giovanni l’Evangelista e riportate nel Libro dell’Apocalisse (i quattro angeli ai quattro angoli della terra e il quinto angelo, forse Cristo stesso). Al di sopra della figura del quinto angelo è nuovamente Maria Regina, seduta in trono, tra le mani ha un libro aperto con i primi versi del “Magnificat” con cui ringrazia Dio per la sua miracolosa maternità. La sua posizione potrebbe alludere al ruolo di mediatrice tra Dio giudice e l’umanità. La fascia decorativa che corre nella parte bassa delle pareti riproduce i motivi dei tessuti che si usavano sospendere alle pareti delle chiese; in particolare, di fronte all’entrata, è raffigurato un nodo apotropaico che serviva ad allontanare le forze del male.

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  • Sito Archeologico

Area Archeologica di Sepino

Sepino, Molise

L’Area Archeologica di Altilia Saepinum è situata ai piedi del Matese e aperto a sulla valle del Tammaro. La città romana è preceduta da un centro fortificato di epoca sannitica che sorge sulla montagna retrostante, detta di “Terravecchia”, espugnato dai romani nel 293 a.C., durante la terza guerra sannitica, ed in seguito a ciò abbandonato dalla popolazione che si sposta appunto a valle. Sceglie un luogo che è punto di incontro di due assi stradali che diventano il decumano e il cardo massimi della città: il tratturo Pescasseroli-Candela e quello trasversale che scende dal Matese e prosegue verso le colline della piana del Tammaro. Il centro ha una sua prima organizzazione nel II secolo a.C. e la massima fioritura in età augustea, quando vengono costruiti o restaurati i più importanti edifici della città (dal foro alla basilica, dal macellum alle terme). L’impianto urbano si mantiene vitale almeno fino al IV-V secolo d.C., quando si registra un nuovo fermento edilizio, probabilmente a seguito del terremoto del 346 d.C. che colpì il Sannio e la Campania. A questo periodo segue una forte crisi economica e demografica, aggravata dalle devastazioni della guerra greco-gotica (535-553 d.C.) riflessa nell’abbandono e crollo degli edifici più importanti del centro, nel restringimento dell’area abitata, nell’interramento del basolato del foro e nell’uso sepolcrale di alcune aree ai suoi margini. Nel 667 d.C. si ha la cessione di tutta la piana ad una colonia di Bulgari da parte dei duchi longobardi di Benevento e la ripresa dell’agricoltura per opera dei benedettini del monastero di S. Sofia di Benevento. La ripresa dura fino alla metà del IX secolo d.C. quando il territorio è minacciato dalle scorrerie dei Saraceni e la popolazione si sposta sulle cime che circondano la piana, alla ricerca di luoghi più sicuri, determinando la successiva nascita dei castelli. La popolazione della Sepino romana si sposta così nel Castellum Sepini, l’attuale Sepino, posto in montagna, in un luogo più sicuro e difendibile. La situazione rimane immutata fino all’arrivo dei Normanni, nella prima metà del XI secolo d.C., quando il territorio di Sepino, insieme a quello di Campobasso, diviene una delle baronie della Contea di Molise.

PERCORSO VIRTUALE nell’area archeologica inizia dalla cinta muraria, prosegue tra le porte monumentali , il teatro, la basilica, il macellum, un quartiere di abitazioni private, il complesso termale, il foro, il tempio , il complesso termale, la fontana del grifo per finire la casa dell’impluvio sannitico.

IL MUSEO DELLA CITTÀ E DEL TERRITORIO
Il Museo della città e del territorio di Sepino è allestito all’interno di edifici rurali del ‘700, impiantati sulle strutture del teatro romano di cui riprendono l’andamento curvo.All’interno delle abitazioni sono conservati gli elementi caratteristici della vita quotidiana degli abitanti dell’epoca, quali il lavandino, il camino, il forno e le nicchie ricavate nelle murature utilizzate anticamente come ripostigli.
La peculiarità del Museo consiste nel raccogliere reperti rinvenuti direttamente all’interno dell’area archeologica in cui è collocato o dal territorio circostante. Il materiale va dall’età preistorica fino al Medioevo. Nel primo settore si conservano gli strumenti in pietra del Paleolitico rinvenuti nell’intera valle del medio corso del Tammaro, da San Giuliano del Sannio e Cercemaggiore alla montagna di Sepino e al confine settentrionale di Santa Croce del Sannio. Le sale successive rimandano a aspetti della vita romana: il simposio, i passatempi e le attività artigianali, i riti funerari.

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Museo Nazionale del Paleolitico

Isernia, Molise

Il Museo nazionale del Paleolitico di Isernia si inserisce all’interno di un progetto di parco archeologico che si sviluppa attorno al giacimento di Isernia La Pineta che, data la sua importanza e la sua antichità, è considerato uno dei principali siti archeologici preistorici per la comprensione dei modi di vita e delle dinamiche di popolamento nell’area del Mediterraneo nel corso della Preistoria.
Tra i 700.000 e i 500.000 anni fa la piana di Isernia fu frequentata a più riprese da gruppi di antenati dell’uomo moderno. I resti delle attività di caccia e sfruttamento delle risorse animali hanno formato il sito archeologico di Isernia La Pineta: questo è il cuore pulsante del Museo nazionale del Paleolitico meta obbligata per chi vuol scoprire, in un moderno museo, le tappe dell’evoluzione umana attraverso comportamenti e tecnologie preistoriche.
Resti di bisonti, rinoceronti e elefanti associati a strumenti in calcare e schegge in selce sono stati abbandonati dai gruppi umani che hanno frequentato l’area di Isernia circa 600.000 anni fa.
La fedele ricostruzione di una porzione della superficie archeologica all’interno di una delle sale espositive del museo, vetrine con i reperti più significativi, pannelli didattici e un divertente schermo interattivo permettono anche al pubblico non esperto di leggere con facilità la porzione della superficie archeologica di Isernia La Pineta.
Preistoria in Molise non è solo Isernia La Pineta. Nel corso degli anni le ricerche sul territorio hanno permesso di individuare nuovi siti archeologici a testimonianza di un’intensa frequentazione di gruppi umani che va dal Paleolitico inferiore fino all’Età del Bronzo.
Supporti multimediali, la ricostruzione di una capanna paleolitica e una neolitica e la riproduzione a grandezza naturale di un esemplare di Elephas antiquus completano il percorso espositivo rendendolo ancora più coinvolgente e suggestivo.
Il Museo nasce attorno l’area archeologica di Isernia La Pineta e si articola in tre corpi di fabbrica di circa 4.000 mq uniti tra loro da un lungo corridoio esterno che accompagna il visitatore alla visita grazie anche a una serie di grandi fotografie dedicate a tutti gli aspetti della ricerca, della didattica e della valorizzazione del sito e del museo.
L’area archeologica è parte integrante del complesso museale grazie ad un padiglione di circa 700 mq caratterizzato da due percorsi posti a quote differenti: quello superiore destinato alle visite, quello inferiore dedicato ai ricercatori che ancora oggi, in particolare nei mesi estivi, lavorano alle attività di scavo e studio dei materiali rinvenuti nel sito.
Ampio risalto è dato ai reperti de “La Pineta” nella sala espositiva dedicata al giacimento stesso che ospita, nella sua parte centrale, una grande vetrina aperta al cui interno è stata fedelmente ricostruita, con i reperti originali opportunamente restaurati, una porzione di circa 65 mq della superficie archeologica principale.
In entrambi i livelli vetrine e pannelli completano il percorso, guidando il visitatore alla scoperta delle tecniche di scavo del sito archeologico, la documentazione, il restauro e l’asportazione dei materiali. Il percorso è reso ancor più coinvolgente dalla presenza di supporto multimediale con contenuti audio e video che spaziano dalle interviste allo scopritore alla ricostruzione visiva e selettiva dell’archeosuperficie e dei reperti che la compongono.
La terza sala ospita tre sezioni e espone reperti rinvenuti sul territorio molisano che coprono un arco temporale che va dal Paleolitico inferiore al Paleolitico superiore, dal Neolitico all’Età del Bronzo. Completano l’esposizione una fedele riproduzione di esemplare di Elephas antiquus, grandi raffigurazioni pittoriche e ricostruzioni scenografiche tra cui una tipica capanna paleolitica e una dell’Età del Bronzo.

Vivere 700.000 anni fa: il sito paleolitico di Isernia La Pineta
ricostruzione Ventisei anni fa la Rivista americana Nature dedicava la copertina al giacimento preistorico di Isernia La Pineta. La novità della scoperta consisteva nella gran quantità di reperti, ma soprattutto essa contribuiva, in modo determinante, a sostenere l’età remota del primo popolamento del nostro continente.
Il giacimento paleolitico di Isernia La Pineta è una delle più complete testimonianze della storia del popolamento umano dell’Europa. I dati emersi con gli scavi sistematici e con lo studio interdisciplinare, attivati a partire del 1978, hanno consentito di ricostruire nel tempo, anche negli aspetti particolareggiati, la vita e l’ambiente naturale in cui visse l’uomo circa 700.000 anni fa.
Gli interventi di ricerca, valorizzazione e divulgazione, tuttora in corso, sono stati realizzati con il supporto delle Istituzioni locali (Provincia, Regione, Comune) e in stretta collaborazione tra la Soprintendenza Archeologica del Molise e l’Università degli Studi di Ferrara, sotto la direzione scientifica del Prof. C. Peretto. Ciò ha contribuito allo sviluppo di iniziative ad ampio respiro che hanno favorito l’internazionalizzazione delle attività e la possibilità di creare un polo di ricerca locale che oggi trova un suo valido supporto nel Centro Europeo di Ricerche Preistoriche, Associazione per la ricerca scientifica Onlus, istituito nel 2001.

ISERNIA
L’origine di Isernia è antichissima. Nel periodo paleolitico, l’uomo già vi dimorava, benché la storia della città inizi con l’epoca sannitica. Infatti fu centro strategico centro sannita, successivamente città romana, oggi capoluogo della provincia omonima, terra dal cuore e dal sapore antico, si distende su un crinale racchiuso tra due fiumi e protetta dai Monti del Matese e delle Mainarde. Porta d’ingresso dell’alto Molise essa stessa è alto Molise, scrigno ineguagliabile di paesaggi da scoprire, di flora e fauna uniche, di borghi e castelli dal fascino inconfondibile e di tipicità enogastronomiche di eccellenza. Suggestiva ed interessante una visita nel borgo antico tra i vicoli e le piazze che si aprono ali lati della via principale, Corso Marcelli (cardo maximus) della colonia latina, dove è facile ascoltare il ticchettio dei fuselli delle merlettaie dedite al lavoro. In quest’area brillano alcune gemme: il Museo di Santa Maria delle Monache, oggi custode di una raccolta di manufatti lapidei epoca romana; la Cattedrale S. Pietro Apostolo, costruita sul perimetro del preesistente tempio di Giove; la Fontana Fraterna, per la sua unica ed elegante struttura architettonica, una delle fontane monumentali d’Italia.

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Museo Storico della Campana – Pontificia Fonderia Marinelli

Agnone, Molise

MUSEO STORICO DELLA CAMPANA
Il museo Storico della Campana “Giovanni Paolo II” nasce nel 1999 ed è attiguo alla Fonderia Marinelli, che opera in Agnone sin dal medioevo. Sono documentate origine, storia e tradizioni, riferite alle campane ed è esposta la più vasta collezione al mondo di bronzi sacri tra cui la preziosissima “campana dell’anno mille”. Inoltre vi sono conservati studi, manoscritti, antichi documenti e testi rari come l’edizione olandese, del 1664, del “de tintinnabulis”, opera definita la “bibbia” dell’arte campanaria. Grande spazio è dedicato ai grandi avvenimenti del XX secolo che sono commentati dall’opera dei fonditori Marinelli attraverso testimonianze fotografiche e campane commemorative.

Molto significativi sono i ricordi che legano la famiglia Marinelli ai papi del XX sec. a partire da Pio XI che la onorò del Brevetto Pontificio, a Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II, che visitò la fonderia il 19 Marzo del 1995. Il Museo Storico della Campana dispone inoltre di un’ampia sala per esposizioni e convegni, un riferimento internazionale aperto a qualsiasi incontro culturale. Sempre all’interno del Museo troviamo la biblioteca, l’archivio, la videoteca, lo spazio proiezioni, che sono fucina di lavoro e di studio sull’arte delle campane, dove si confrontano studiosi e fonditori per discutere sulle attività di formazione professionale e per approfondire diversi campi di ricerca.

PONTIFICIA FONDERIA MARINELLI
Una storia lunga oltre 1000 anni quella della Pontificia Fonderia Marinelli che ha visto alternarsi momenti di difficoltà a momenti di grandi soddisfazioni. Su tutte forse l’esperienza più significativa risale al 1924, anno in cui Papa Pio XI concesse alla famiglia Marinelli il privilegio di effigiarsi dello Stemma Pontificio e alla storica visita del 19 marzo 1995 di San Giovanni Paolo II. Campane Marinelli è situata ad Agnone, comune italiano di circa 5.200 abitanti in provincia di Isernia in Molise. Antica città sannita, è sede di quello che si presume sia il più antico stabilimento al mondo per la fabbricazione delle campane. Nell’anno 1954 il Presidente della Repubblica consegna alla famiglia Marinelli la medaglia d’oro “quale premio ambitissimo alla Ditta più anziana per attività e fedeltà al lavoro in campo Nazionale. Da allora sono trascorsi 50 anni ed il lavoro dei fonditori Marinelli prosegue inalterato sia per la tecnica di produzione, che è quella del Medioevo, sia per la perizia, la passione e la professionalità cui ci si dedica da 18 secoli. La Pontificia Fonderia è l’unica sopravvissuta tra le dinastie dei numerosi fonditori di campane di Agnone che da otto secoli, si tramanda ininterrottamente, di padre in figlio, quest’arte antica. Proprio nel Museo Marinelli è infatti conservato un raro esemplare di campana gotica che la tradizione vuole sia stata fusa 1000 anni fa, ad Agnone.

AGNONE
L’attuale centro abitato di Agnone, di origine sannitica, sarebbe sorto sull’antica Aquilonia. Nel corso dei secoli Agnone è stata feudo dei Borrello, dei Carbonara, degli Angioini, dei Carafa, dei Gonzaga e dei Caracciolo. Notevole l’architettura e l’arte dei numerosi edifici religiosi: da visitare la chiesa madre dedicata a San Marco (XI sec.), intorno alla quale si sviluppò il centro medioevale di Agnone; la chiesa di Sant’ Antonio Abate, con campanile settecentesco; la chiesa intitolata a San Francesco con pregevoli opere; la chiesa di Sant’Emidio che conserva tredici statue lignee del XVII secolo raffiguranti Cristo e gli Apostoli. Tra le costruzioni civili, meritano menzione Casa Nuonno con la bottega orafa, Casa Apollonio e Palazzo Fioriti, che presentano interessanti elementi decorativi.

La N’DOCCIATA
Altamente spettacolare e di assoluto rilievo demologico è il rito igneo denominato ‘Ndocciata, che si svolge il giorno 8 dicembre e il giorno 24 dicembre, consistente in una lunga sfilata di ‘ndoccie (torce) per le vie del paese. Le ‘ndocce agnonesi sono strutture dalla caratteristica forma a ventaglio, composte da polifiaccole (sono marginalmente in uso, ad inizio sfilata, anche monotorce) di numero variabile, sempre pari, fino a esemplari costituiti da venti fuochi e oltre. Tali ‘ndocce, che riecheggiano antichi culti mitraici, vengono trasportate da uno o due portatori in costume contadino. I portatori (‘ndocciari) introducono la testa tra le fiaccole, afferrandone saldamente due e tenendo in equilibrio l’intera struttura. Durante la sfilata, gli ‘ndocciari eseguono la ruotata, ossia una piroetta con cui, compiendo una rotazione completa su se stessi, mostrano lo splendore delle fiaccole e fanno sì che il fuoco formi spettacolari strisce di luce. Il materiale usato per la fabbricazione delle ‘ndocce di Agnone è l’abete bianco, una pianta resinosa e di facile combustione, rintracciabile nei boschi e nelle fustaie circostanti. Da qualche anno un Museo Permanente delle ‘Ndocce è stato aperto in un locale in Via Caracciolo, in prossimità di Piazza Plebiscito. L’evento richiama un numerosissimo numero di visitatori ed è stato riproposto in altri contesti nazionali: Roma Piazza San Pietro Roma – Milano Zona Navigli.

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Eventi

Mostra Mercato Tartufo Bianco

Fiera

Comune: San Pietro Avellana

Mese di inizio: Novembre

Durata: 2 Giorni

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Santa Lucia – Natale e Presepi al Borgo

Culturale

Comune: Campomarino

Mese di inizio: Dicembre

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La ‘Ndocciata

Culturale

Comune: Agnone

Mese di inizio: Dicembre

Durata: 2 Giorni

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