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Comune di BRINDISI
Il tempio di San Giovanni al Sepolcro (o chiesa del Santo Sepolcro) è una costruzione a forma circolare edificata sul finire dell’XI secolo, per volontà del normanno Boemondo probabilmente con materiali di reimpiego già destinati alla basilica cattedrale di Brindisi. Nei documenti del XII-XIII secolo non mancano riferimenti al complesso, pertinenza dell’ordine canonicale del Santo Sepolcro di Nostro Signore Gesù Cristo, che mantennero il possesso della struttura, verosimilmente, sino alla soppressione del 1489 e conseguente trasferimento dei beni all’Ordine di Malta che ebbero concreta realizzazione, in Italia, solo circa il 1560. Con la soppressione dell’ordine i beni passarono all’ordine di San Giovanni di Gerusalemme (o Ordine di Malta) e poi alla Mensa Arcivescovile. Agli inizi del Seicento la chiesa appariva in stato di abbandono ed in cattive condizioni di conservazione e così rimase fino all’acquisto da parte del comune nel 1868. Tra il 1881 ed il 1883 furono eseguiti i lavori di restauro a seguito dei quali la chiesa venne adibita a Museo Civico che si avvaleva della direzione onoraria del canonico Pasquale Camassa (1858-1941), appassionato conoscitore della storia di Brindisi. L’interno, a pianta a staffa di cavallo – formata da due cerchi concentrici di colonne che ricorda quella del Santo Sepolcro in Gerusalemme, è sostenuto da otto colonne dal fusto liscio con pregevoli capitelli con foglie di acanto alternate a capitelli cubici. Il tetto originale a volta è stato sostituito da quello attuale in legno. La decorazione pittorica risulta, rispetto al periodo di edificazione del monumento, più tarda e mostra diverse fasi attribuibili ad un periodo compreso tra la prima metà del XIII ed il XIV secolo. Ai dipinti, che richiamano la tradizione bizantina e la cultura connessa al movimento crociato si sovrappongono ulteriori strati dal linguaggio più moderno. La struttura cambiò nei secoli. In origine l’accesso alla chiesa era consentito attraverso tre portali. Il portale principale è incorniciato da un protiro formato da due leoni stilofori in marmo accovacciati e con le teste affrontate. Essi sorreggono colonne di marmo bianco su cui poggiano due interessanti capitelli scolpiti. Gli stipiti sono decorati con motivi vegetali tra i quali trovano posto figure umane, animali e mitologiche dal significato simbolico. Il portale minore, posto lungo l’asse principale dell’edificio, presenta invece una decorazione di gusto orientale. Il terzo accesso, attualmente murato, si apriva verso il giardino retrostante con una semplice apertura architravata. I mosaici romani visibili sono riferibili ad una domus di età imperiale (I-II sec. d.C.) , una residenza di grandi dimensioni che doveva estendersi anche oltre il perimetro del tempio. Non c’è turista, cittadino o passante che non sia catturato dalla sua bellezza, ragion per cui gli artisti che esponevano nella galleria “Il Tempietto” dei coniugi Giuseppe e Maria Vescina, ne restavano affascinati e nessuno escluso erano catturati “dalla bellezza e dalla lunga storia delle sue pietre, dal protiro delicato, dai solidi leoni, nessuno che non fosse tentato dal fissarlo a matita o a olio, en plein air o nello studio. Nacque così una raccolta di ‘operine’ del cuore che non vogliamo tenere per noi o dividere, ora che siamo anziani, e per i nostri figli e nipoti desideriamo che esse restino qui a Brindisi, in dono alla città dove sono nate”. Così Giuseppe e Maria Vescina donano nel giugno 2018 al Comune di Brindisi una raccolta di 50 opere d’arte contemporanea oggi esposte al secondo piano di Palazzo Granafei Nervegna. La collezione ha la sua peculiarità nel fatto che tutte le opere hanno come soggetto il Tempietto di San Giovanni al Sepolcro, edificato tra l’XI ed il XII secolo, situato a pochi passi dalla storica sede della galleria. Avenali, Bertolini, Bodini, Kokocinski, Zanetti-Righi, Ferroni, Armodio, Marzano, Carron, Modica, Pompa, Cattaneo sono solo alcuni degli artisti che hanno regalato una vera e propria celebrazione al monumento medievale della città di Brindisi.
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