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Campania

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Data della prima scoperta, 1748. Data del più recente rinvenimento, estate 2022. Pompei, come la Campania tutta, non smette mai di stupire. In ogni epoca ha regalato sempre soddisfazioni ai suoi molti studiosi e visitatori. Lo faceva nel Settecento, da fulcro dell’immancabile Grand Tour d’Italie che artisti, letterati, scienziati e aristocratici di tutta Europa compivano per abbeverarsi alla fonte delle molte antichità del Bel Paese, e lo fa ancora oggi, aprendo ogni tanto qualche nuovo spiraglio su quella civiltà ferma alla notte del 24 agosto del 79 d.C.. Quell’attimo fuggente che sigillò sotto metri di lava e lapilli una città intera con tutti i suoi abitanti, atroce destino che accomunò migliaia di persone ma che ha permesso a generazioni di archeologi, da quei primi fortunati scopritori al soldo di Carlo III di Borbone in poi, di ricostruire abitudini, conoscenze, stile di vita di duemila anni fa.

Alla casata dei Borbone si deve anche un altro dei siti Unesco di cui oggi si può fregiare la Campania, vale a dire la Reggia di Caserta, la “Versailles d’Italia”, che con le sue 1.200 stanze e saloni divisi in quattro parti da due bracci che si tagliano ortogonalmente e si aprono su altrettanti cortili e sul prospetto infinito dei Giardini è non solo uno dei massimi capolavori architettonici e artistici del Settecento, ma è in assoluto la residenza reale del passato più grande al mondo, una sorta di “cittadella” della bellezza in cui lasciarsi andare alla contemplazione delle tante opere in essa conservate. Perdersi al suo interno, nei chilometri di corridoi progettati da Luigi e Carlo Vanvitelli, è fin troppo facile, così come lo è nell’affascinante complesso di San Leucio, antica fabbrica serica nonché modello di industria d’avanguardia ante litteram, le cui pregiate produzioni già allora conquistarono le principali corti europee, da Buckingham Palace al Vaticano. San Leucio, insieme alla vicina Reggia e all’Acquedotto Carolino, altro capolavoro ingegneristico vanvitelliano commissionato dai Borbone, è oggi una tappa irrinunciabile per la conoscenza della Campania, Regione con alcune macro evidenze diventate a buon diritto fra le mete più gettonate d’Italia, ma accanto alle quali si nascondono molte altre perle tutte da scoprire.

Ne è un paradigma perfetto l’Arcipelago Campano, quella magnifica trilogia di suggestioni che ha inizio a Capri, meta d’élite scoperta dall’imperatore Augusto e da Tiberio poi, che vi costruì la mirabile Villa Jovis da cui, fra il 26 e il 37 d.C., governò persino Roma e l’impero. Se Capri, si sa, è l’isola della Grotta Azzurra, della riservata ed esclusiva Anacapri, degli hotel di lusso e dei locali frequentati dal jet set, dei porticcioli e delle calette affollati di yacht da sogno, e se Ischia è la meta delle vacanze benessere, da godersi da soli o in famiglia in uno dei numerosi parchi termali o Spa hotel che attingono dalle falde fanghi e acque medicamentose, Procida è l’isola che prima del 1994, anno di uscita de “Il Postino” di Massimo Troisi, era sconosciuta ai più e che solo nel 2022 ha avuto i riflettori finalmente accesi su di sé grazie al ruolo di “Capitale della Cultura”. Una “novità” o quasi a livello turistico, una meta in più, ma fondamentale, da aggiungere alla lista delle tappe campane.

Guardando poi la costa da qui, si potrebbe puntare a occhi chiusi sulla linea dell’orizzonte ed essere certi che qualunque approdo sarà quello giusto. Per par condicio, la prima tappa potrebbe essere Sant’Agata sui Due Golfi, spartiacque di due realtà distinte ma similari: da un lato il Golfo di Napoli e la Penisola Sorrentina, dall’altro il Golfo di Salerno e la Costiera Amalfitana. Sorrento, Meta, Vico Equense, Castellammare di Stabia, Pompei, Ercolano e Oplontis da una parte, Positano, Praiano, Furore, Amalfi, Atrani, Ravello, Minori, Maiori, Cetara e Vietri sul Mare dall’altra. Altro non occorre dire, perché non c’è località che non richiami alla mente immagini di monumenti e palazzi aristocratici, spiagge e anfratti rocciosi da cartolina immersi in scorci da immortalare, profumi e sapori da gustare fra vicoli di luoghi incantati. Micro borghi di pescatori talvolta di poche case, che i Monti Lattari alle loro spalle trasformano in perfette Comunità Montane, attraversate da sentieri del Cai che sprofondano nel blu del mare. Al di là di queste cime, parte del cosiddetto Antiappennino campano, ecco la piana della Campania Felix raccontata da Strabone e Plinio il Vecchio, prospera per i ricchi centri di Capua, Atella, Cumae, Baia, Puteoli, Acerra, Oplontis, fino alle più grandi Neapolis e Salernum.

Terra che da allora non ha smesso di coltivare, per così dire, sacro e profano: l’antica Abellium, oggi Avellino, è punto di partenza per un’escursione al Santuario di Montevergine e verso la verde Irpinia, quasi una regione nella regione, grazie a un paesaggio che alterna zone selvagge da esplorare come il Parco del Partenio e l’Oasi del WWF Lago di Conza, o le misteriose grotte del Laceno, alla più placida piana del Dragone disseminata di cantine vitivinicole che di recente hanno portato alla ribalta gli autoctoni Taurasi, Fiano e Greco di Tufo, solo per un primo assaggio. Dal canto suo, Benevento, da città prima romana e poi longobarda qual è, mostra orgogliosa quel mix di culture che la rende unica, con il teatro romano e l’arco di Traiano, fra le massime espressioni dell’arte antica, e il Duomo medievale, oltre al Complesso di Santa Sofia, sito Unesco. Al medioevo deve tanto anche Salerno, che ha il suo cuore nel quartiere sorto in epoca normanna, attorno all’anno mille, di cui rimangono fra le tappe d’obbligo Castel Terracena e il Duomo, Anno Domini 1085. Senza dimenticare, qualche chilometro più a sud lungo la costa, di fare un tuffo nella Magna Grecia, nel Parco Archeologico di Paestum e Velia. Nota anche come Poseidonia in onore del dio del mare, Paestum era in realtà devotissima ad Atena ed Era, cui è dedicato il tempio al centro della vasta area di scavo. Nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, quasi al confine con la Basilicata ma sempre in provincia di Salerno, ecco la Certosa di Padula, che con i suoi 51.500 mq di superficie è il più esteso edificio religioso d’Italia nonché, come il Parco stesso, Patrimonio dell’Umanità.

Capitolo a parte merita il capoluogo, la bella Parthenope fondata nel 680 a.C. ed evolutasi poi in Neapolis e infine nella multisfaccettata Napoli. Altera come i suoi molti fortilizi – Castel dell’Ovo, Castel Sant’Elmo, Castel Nuovo e Castel Capuano – santa come le sue chiese, talvolta severe, vedi Santa Chiara e San Lorenzo Maggiore, talvolta opulente e barocche, come la celebre Certosa di San Martino, la Chiesa del Gesù Nuovo e della Pietà dei Turchini. Colta come i suoi teatri, dal San Carlo al Mercadante, dal Bellini al Sannazaro, e i musei di fama internazionale, dall’Archeologico Nazionale al Capodimonte, dal Filangieri al San Martino. Pittorica come Posillipo e l’Opera buffa. Scanzonata e folcloristica come i Quartieri Spagnoli, sfrontata come il lusso delle boutique della Riviera di Chiaia, raffinata come i palazzi aristocratici, da Palazzo Reale in giù. Infine, ecco la “Napoli segreta”, quella nascosta e silenziosa delle tremila grotte e catacombe sotterranee. Un ultimo mistero svelato da raccontare al mondo.

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I Tesori Borbonici: La Seta di San Leucio e il Complesso Monumentale del Belvedere

Caserta, Campania

69 elementi Cosa fare e vedere

  • Arti, Saperi e Sapori

I Tesori Borbonici: La Seta di San Leucio e il Complesso Monumentale del Belvedere

Caserta, Campania

Tra tutti i periodi storici, quello Borbonico fu per Caserta e la Campania il più glorioso e riconoscibile per palazzi, monumenti e residenze degne di una capitale Europea.
Soprattutto il regno di Carlo III di Borbone, primo e più importante tra i re della dinastia, tra il 1734 e il 1759, produsse così tanti cantieri di grande magnificenza, da sottolinearne il livello raggiunto e competere in grandiosità con i reali francesi per la supremazia culturale.
La più famosa è la Reggia di Caserta, che per motivi di sicurezza fu costruita a nord della capitale, ma che, per rivaleggiare con la reggia di Versailles, fu progettata dal grande architetto Luigi Vanvitelli, come simbolo di splendore e mecenatismo.
Nelle immediate vicinanze merita una visita il Borgo di San Leucio, la città ideale, che a fine ‘700 riforniva di tessuti i sovrani borbonici e che ancora oggi mantiene viva la preziosa arte della tessitura. Intuizione del re Ferdinando IV di Borbone, che fece edificare un vasto setificio e raccolse intorno ad esso una colonia di operai, in una struttura urbanistica organica e simmetrica, regolata con un codice scritto di suo pugno che doveva assicurare la felicità dei sudditi.
Oggi è possibile ripercorrere le tappe salienti del successo serico ammirando antichi macchinari, telai, manufatti, torcitoi e non solo presso il “Museo della seta”
Il Museo è composto da diverse sezioni: la sezione di archeologia industriale, ossia l’antica Fabbrica della Seta, l’Appartamento Storico e i Reali Giardini. Ciò che caratterizza questo Sito è lo strettissimo rapporto storico determinato dall’edificio-contenitore e la raccolta di beni presente in esso formandone un tutt’uno. Il percorso di visita, arricchito da dispositivi multimediali che aiutano la comprensione dell’enorme lavoro che c’è dietro ogni prodotto serico, si articola in:
• Sezione di Archeologia Industriale, si sviluppa su due piani e ospita numerosi macchinari e attrezzature dell’epoca utilizzate nelle varie fasi della lavorazione della seta. In particolare evidenza sono i nove telai a mano, tutti restaurati e funzionanti, per la produzione di broccati, broccatelli, lampassi, damaschi e della famosa “coperta leuciana” (un magnifico tessuto di damasco ad una spola, di grandi dimensioni, la cui produzione si afferma nella seconda metà dell’ottocento). Tra le eccezionalità si annoverano i due grandi torcitoi cilindrici in legno, sui quali 1200 rocchetti girano all’unisono, ricostruiti negli anni novanta del secolo scorso secondo i disegni originali e mossi dalla ruota idraulica posta nel sottosuolo. Nella parte finale della sezione sono esposti vari tessuti serici di moderna fattura, per poter finalmente toccare con mano la ricchezza e la delicatezza del prodotto finito.
• Appartamento Reale, composto da una serie di stanze particolarmente affascinanti, in cui la seta è sempre protagonista. Tra tutte spiccano: il Bagno Grande, cosiddetto “Bagno di Maria Carolina”, interamente dipinto ad encausto nel 1792 dal primo pittore di corte, Philiph Hachert; la sala da pranzo, dipinta con storie della vita di Bacco da Fedele Fischetti; la stanza da letto, sul cui soffitto campeggia l’Aurora, opera di Giuseppe Cammarano; il Coretto, da cui i sovrani assistevano alle celebrazioni liturgiche nella sottostante chiesa di San Ferdinando Re, tuttora aperta al culto.
• Sul fianco del Palazzo si aprono i Reali Giardini, disposti su sette terrazze. Dopo aver eseguito studi e rilievi approfonditi, si è potuta ottenere una conoscenza dei luoghi tale da poter riproporre anche la sistemazione dei giardini con le essenze e il disegno che originariamente ne componevano l’architettura.
Infine, è possibile visitare la Casa del Tessitore, un tipico esempio di abitazione dell’operaio leuciano, arredata con mobilio dei primi anni del ‘900, dove è ricostruito l’ambiente e le condizioni di vita dell’epoca.

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  • Castello/Fortezza/Rocca/Villa

I Tesori Borbonici: Real Sito di Carditello

San Tammaro, Campania

Il Real Sito di Carditello, situato nella provincia di Caserta, nel cuore della Campania Felix, fu costruito per volere di Ferdinando IV di Borbone nel 1787, nell’area individuata già alla metà del XVIII secolo da Carlo di Borbone e destinata all’allevamento, alla selezione di cavalli di razza reale e alla produzione agricola e casearia. Progettato dall’architetto romano Francesco Collecini, allievo di Luigi Vanvitelli, il Real Sito è composto da una palazzina centrale sormontata da un loggiato e da un belvedere, affiancata da altri edifici di servizio, e da un ampio galoppatoio ellittico, delimitato da due fontane con obelischi e con un tempietto circolare nel mezzo.

Negli anni, il complesso monumentale è passato attraverso vicende alterne e a partire dal 2004, con l’auspicato ‘vincolo’- dapprima limitato al solo edificio monumentale, ampliato poi all’area paesaggistica circostante – è iniziato il rapido processo di rivalorizzazione, sia grazie alla passione dei movimenti civici, che all’impegno del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, che lo ha acquistato nel 2013. A partire da queste premesse è stata costituita, nel febbraio del 2016, dal MiBACT, dalla Regione Campania e dal Comune di San Tammaro, la Fondazione Real Sito di Carditello.

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  • Arti, Saperi e Sapori

La vitivinicoltura del Vesuvio

Sant’ Anastasia, Campania

Le prime testimonianze delle tradizioni enologiche del Vesuvio si rintracciano in Aristotele, il quale racconta che i Tessali impiantarono le viti nella zona Vesuviana sin dal V secolo a.C.
Nel mito, Poseidone ed Efesto tennero a battesimo le prime bacche, Nettuno e Vulcano videro scorrere l’antico nettare dalle pendici del Vesuvio fino al mare.
Le divinità greche e romane del mare e del fuoco protessero i vitigni che affondavano le radici nel cuore di una terra ribollente allungando i loro tralci sulla costa tirrenica.
Due fulcri geologici vulcanici sono l’humus naturale dell’origine, evoluzione e peculiarità della viticultura campana: il complesso vulcanico Monte Somma – Vesuvio e i Campi Flegrei, tutt’oggi ambienti ideali e ricchi di varietà di vigne e di tradizioni culturali.
La superficie vitata si estende dalle prime falde fino all’altitudine di circa 700 m.s.l.m. dell’area vulcanica Monte Somma – Vesuvio.
I terreni godono di una diversa giacitura e possono essere distinti in 2 sottozone: l’Alto Colle Vesuviano (oltre i 200 m s.l.m.) con terreni tutti più o meno in pendio e il Versante Sud-Orientale, i cui terreni sono rivolti verso il mare.
Il Vesuvio è collocato tra il Golfo di Napoli, le impetuose catene dei Monti Lattari e l’Appenino Irpino. Il territorio beneficia dei venti provenienti dal mare che, uniti ai venti dei monti, garantiscono alla vite il microclima ideale per vegetare e produrre uve di straordinaria qualità.

Il suolo, di natura vulcanica e ricco di potassio, è formato in parte da depositi di ricaduta o di flusso ed in parte da depositi vulcanoclastici risedimentati localmente ad opera di acque di scorrimento superficiale.

L’areale di produzione può essere suddiviso in due macroaree:
– Il Vesuvio: l’area vulcanica venutasi a creare con l’eruzione del 79 d.C. con esposizione sul versante SUD, icona e simbolo della Città di Napoli e della Regione Campania. Il suo paesaggio rappresenta la facies terribile del Vulcano, a morfologia irregolare e ancora priva di un reticolo idrografico affermato.La vicinanza al mare e la presenza di un microclima più mite, caratterizzano i vini prodotti su tale versante.
– Il Monte Somma: l’originaria area vulcanica da cui è nato il Vesuvio, zona vitivinicola più antica e primordiale, con esposizione sul versante NORD. Il suo paesaggio rappresenta la facies tranquilla, verde, rigogliosa del Vulcano, con i suoi boschi di latifoglie e castagno, i terrazzamenti eroici che si inerpicano lungo i versanti, fino al limite del bosco, con gli albicoccheti e gli orti arborati lussureggianti e disordinati, che simulano essi stessi un boscogiardino ancestrale. Le forti escursioni termiche e un microclima fresco ed umido caratterizzano i vini prodotti su questo versante.
Tutto il territorio ricade nell’area del Parco Nazionale del Vesuvio, patrimonio di biodiversità.
La vitivinicoltura del Vesuvio ha preservato le sue particolari caratteristiche e i suoi tratti distintivi di antiche origini.
Il Caprettone e il Piedirosso, considerati ormai da diversi anni l’espressione della produzione vitivinicola del territorio, sono coltivati, sui declivi vulcanici, a piede franco, cosi da trasferire a ogni grappolo la tipicità del vitigno e l’impronta vulcanica dei terreni.
Le vigne, infatti, affondano le loro radici nella sabbia vulcanica la cui composizione impedisce alla Fillossera, nefasto parassita, di raggiungere l’apparato radicale della pianta.
L’esposizione dei vigneti, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, i terreni ricchi di declivi naturali, l’influenza della brezza marina che attraversa le vigne costantemente, la calda esposizione e la buona illuminazione, sono tutti fattori che concorrono a determinare un ambiente pedoclimatico particolarmente favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.
Non è difficile imbattersi in vigne centenarie e quelle ormai improduttive sono reimpiantate con l’antico metodo della propaggine, interrando un tralcio di una vite produttiva per far nascere una nuova pianta.
Gli anziani viticoltori hanno tramandato conoscenza e tradizione alle nuove generazioni consentendo così di preservare la biodiversità e la ricchezza ampelografica dell’area.
Le varietà autoctone più diffuse sono:
– Piedirosso;
– Caprettone.
I vitigni minori sono:
– Coda di volpe bianco;
– Aglianico;
– Falanghina;
– Catalanesca

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  • Arti, Saperi e Sapori

Procida Capitale Italiana della Cultura per il 2022

Procida, Campania

L’isola di Procida è stata nominata dal MiBACT Capitale Italiana della Cultura 2022; la commissione ha proceduto alla valutazione dei dossier di candidatura presentati e alla scelta della vincitrice.

“Il progetto culturale presenta elementi di attrattività e qualità di livello eccellente. Il contesto di sostegni locali e regionali, pubblici e privati, è ben strutturato; la dimensione patrimoniale e paesaggistica del luogo è straordinaria; la dimensione laboratoriale che comprende aspetti sociali e di diffusione tecnologica è dedicata alle isole tirreniche, ma è rilevante per tutte le realtà delle piccole isole mediterranee” la motivazione con cui la commissione ha nominato Procida Capitale Italiana della Cultura 2022.

Procida è la capacità di collegarsi al tempo ritrovato, è l’isola che non isola. Nel momento stesso dello sbarco, ti avvolge nel suo ritmo lento fatto di persone e di luoghi. Prima ancora che della Cultura per il 2022, è stata, è e sarà Capitale di relazioni, di inclusione, di cura e amore per l’ambiente marino e storico. Va vissuta preferibilmente a piedi, seguendo gli odori e i sapori che ti accolgono già a Marina Grande con il suo caratteristico Centro Storico affacciato sul Porto e, poco più in là, la spiaggia attrezzata di Silurenza. Proseguendo verso l’interno, in lieve salita, si arriva a piazza dei Martiri con la sua terrazza che domina il lato orientale dell’isola. Prologo della panoramicissima Terra Murata, l’antica città fortificata con il castello d’Avalos e l’Abbazia di San Michele. È la cosiddetta “montagna”, punto più alto e borgo medievale arroccato su un promontorio di tufo a picco sul mare, che per secoli è stato l’unico nucleo abitato di Procida.

Percorrendo la strada che scende si arriva alla Corricella, il coloratissimo borgo di pescatori dove tutto è autentico e genuino, anche i caratteristici locali nei quali è possibile mangiare a un metro dal mare. Case che sembrano dipinte coi pastelli: rosa, bianco, azzurro e verde, con porticine e finestrelle perennemente aperte. Un presepe marino, ma anche una storica location letteraria e cinematografica: qui fu allestito negli anni Cinquanta il set della casa di “Graziella”, il film tratto dall’omonimo romanzo di Lamartine; e qui, quarant’anni dopo, fu girato “Il postino”, ultima pellicola di Massimo Troisi.

Le spiagge più famose sono Chiaia e Chiaiolella. La prima garantisce, grazie alla scogliera e al fondale poco profondo, una maggiore fruibilità per le famiglie che vi arrivano munite di ombrellone e sdraio poiché l’arenile è per la maggior parte libero, anche se esistono delle zone attrezzate con dei lidi.

La Chiaiolella è invece la spiaggia più estesa dell’isola, spazi aperti si alternano agli stabilimenti balneari. Partendo da questa zona, si sale su una stradina stretta che costeggia un’area residenziale che affaccia sul lato sinistro della darsena. Si prosegue in una promenade che, tra ville con giardini a picco sul mare, natura e scorci mozzafiato, arriva a Punta Solchiaro, il promontorio più a sud di Procida‬ da cui ammirare Terra Murata e la terraferma da un punto di vista unico.

Altro luogo sospeso nel tempo e nello spazio è Vivara, riserva naturale collegata da un vecchio ponte alla “terraferma” di Procida. Verde e incontaminata, quest’area è popolata da una flora e una fauna selvagge che custodiscono reperti archeologici di origine micenea.

Tra natura e cultura, Procida ispira e inventa atmosfere che attraversano intatte gli effimeri e modaioli trend. È la sintesi perfetta della Campania che, nella sua unicità, ovunque e in ogni stagione riesce a stupire e sorprendere il viaggiatore.

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  • Termale

Le Terme d’Ischia

Casamicciola Terme, Campania

Le acque termali dell’Isola d’Ischia sono ben conosciute ed utilizzate fin dall’antichità.Già i primi coloni Euboici (VIII sec. A. C.), come dimostrano i numerosi reperti archeologici rinvenuti nel sito di Pithecusa e conservati presso il Museo Archeologico di Villa Arbusto a Lacco Ameno, apprezzavano ed usavano le acque delle sorgenti termali dell’Isola.

I Greci infatti utilizzavano le acque termali per ritemprare lo spirito ed il corpo e come rimedio per la guarigione dei postumi di ferite di guerra (in epoca pre-antibiotica!) attribuendo alle acque ed ai vapori che sgorgavano dalla terra poteri soprannaturali; non a caso presso ogni località termale sorgevano templi dedicati a divinità come quello di Apollo a Delfi.
Strabone, storico e geografo greco, cita nella sua monumentale opera geografica l’Isola d’Ischia e le virtù delle sue sorgenti termali (Geograph. Lib. V).

Se i Greci furono i primi popoli a conoscere i poteri delle acque termali, i Romani le esaltarono come strumento di cura e relax attraverso la realizzazione di Thermae pubbliche ed utilizzarono sicuramente e proficuamente le numerose sorgenti dell’Isola (come dimostrano le tavolette votive rinvenute presso la Sorgente di Nitrodi a Barano d’Ischia, dove sorgeva un tempietto dedicato ad Apollo ed alle Ninfe Nitrodie, custodi delle acque) anche senza fastosi insediamenti;
nell’Isola infatti non sono state rinvenute, come invece a Roma ed in altri centri termali dell’antichità, imponenti vestigia di edifici termali probabilmente per le eruzioni vulcaniche ed i terremoti che frequentemente ne hanno violentemente scosso le balze.
Il declino della potenza di Roma coincise con l’abbandono dell’uso dei balnea anche ad Ischia: non ci sono infatti tracce dell’uso delle acque nel Medioevo.

Di terme e termalismo si riprende attivamente a parlare nel Rinascimento ed un impulso decisivo alla moderna medicina termale venne dato da Giulio Iasolino, un medico calabrese, docente presso l’Università di Napoli, che verso la fine del 1500, affascinato dal clima e dai fenomeni di vulcanismo secondario (fumarole ed acque termali), intuendo le potenzialità terapeutiche del mezzo termale,Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
effettuò un meticoloso censimento delle sorgenti dell’Isola (per la prima volta appare la ricchezza idrogeologica del territorio isolano), ne individuò la composizione delle acque e compì dettagliate osservazione circa gli effetti delle stesse su numerose patologie che affliggevano i suoi contemporanei (nel descrivere la Sorgente del Castiglione, una delle più famose dell’epoca, Iasolino esprime tutto il suo entusiasmoper le acque termali: “Noi ogni dì vediamo operazioni e virtù di quest’acqua così meravigliose e stupende che veramente bisogna credere essere data dal cielo per la salute degli uomini”).

Con la pubblicazione del trattato “De Rimedi Naturali che sono nell’Isola di Pithecusa; hoggi detta Ischia” il Professor Iasolino liberò le acque termali di Ischia da quell’alone magico che fino ad allora ne aveva condizionato l’utilizzo.
Dopo le esperienze di Iasolino, agli inizi del ‘600, considerando che molte guarigioni si ottenevano con l’uso dei bagni termali e che le curead Ischia, abbastanza costose, potevano permettersele solo nobili e ricchi borghesi, un gruppo di nobili filantropi napoletani fece edificare nel comune di Casamicciola il “Pio Monte della Misericordia”, “stabilimento termale (per l’epoca) più grande d’Europa”, per permettere anche a chi non aveva adeguate possibilità economiche di godere delle qualità terapeutiche delle locali acque termali.
Dal ‘600 alla metà del ‘900 vennero costruiti in prossimità delle più rinomate sorgenti termali numerosi stabilimenti e strutture ricettive che fecero dell’Isola d’Ischia una rinomata stazione internazionale di cura e soggiorno dove vennero a curare le malattie del corpo, e non solo, personaggi celebri come Giuseppe Garibaldi, dopo la battaglia di Aspromonte, Camillo Benso conte di Cavour, Arturo Toscanini.
Dagli anni Sessanta, grazie alla lungimiranza ed all’intuito imprenditoriale del cav. Angelo Rizzoli, l’Isola d’Ischia e le sue acque si aprono ai grandi flussi turistici ed una intensa attività scientifica consacra le cure termali al rango di terapie alternative alle terapie farmacologiche per la cura di molte delle affezioni già perfettamente descritte da Iasolino.

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  • Parco

Parco Regionale del Matese

Piedimonte Matese, Campania

Il Parco si articola attorno al massiccio del Matese che con il Monte Miletto, la Gallinola ed il Monte Mutria, arriva a toccare il cielo. Il Matese si estende a cavallo tra Campania e Molise delle quali coinvolge 4 province Caserta e Benevento da un lato, Isernia e Campobasso dall’altro. Congiunge territori tra loro molto diversi, quello calcareo, aspro e splendente, composto da creste e profonde valli, e quello argilloso, dalle forme morbide e sinuose del versante adriatico. Clima continentale ad alta quota e mediterraneo a valle favoriscono l’alto grado di biodiversità del territorio. Peculiarità del parco sono i laghi: il Matese a 1000 metri, il più alto d’Italia, il Gallo e il Letino che vengono usati perlopiù per l’energia elettrica. Le grotte di Lete riservano ai visitatori grandi sorprese: le cascate della galleria superiore e le stalattiti e stalagmiti e le farfalle dagli occhi fosforescenti all’interno delle cavità. Il Parco del Matese è il paradiso degli escursionisti e degli sportivi: mountainbike, trekking, sci d‘erba e alpino, deltaplano, ma anche passeggiate a cavallo e escursioni speleologiche. Interessanti cittadine e borghi storici circondano il parcoche propongono interessanti itinerari culturali e artistici, enogastronomici e di artigianato.
Il Parco Regionale abbraccia i comuni campani di Ailano, Alife, Capriati a Volturno, Castello del Matese, Cerreto Sannita, Cusano Mutri, Faicchio, Fontegreca, Gallo Matese, Gioia Sannitica, Letino, Piedimonte Matese, Pietraroja, Prata Sannita, Raviscanina, San Gregorio Matese, San Lorenzello, San Potito Sannitico, Sant’Angelo d’Alife, Valle Agricola

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  • Arti, Saperi e Sapori

I Tesori Borbonici: La Seta di San Leucio e il Complesso Monumentale del Belvedere

Caserta, Campania

Tra tutti i periodi storici, quello Borbonico fu per Caserta e la Campania il più glorioso e riconoscibile per palazzi, monumenti e residenze degne di una capitale Europea.
Soprattutto il regno di Carlo III di Borbone, primo e più importante tra i re della dinastia, tra il 1734 e il 1759, produsse così tanti cantieri di grande magnificenza, da sottolinearne il livello raggiunto e competere in grandiosità con i reali francesi per la supremazia culturale.
La più famosa è la Reggia di Caserta, che per motivi di sicurezza fu costruita a nord della capitale, ma che, per rivaleggiare con la reggia di Versailles, fu progettata dal grande architetto Luigi Vanvitelli, come simbolo di splendore e mecenatismo.
Nelle immediate vicinanze merita una visita il Borgo di San Leucio, la città ideale, che a fine ‘700 riforniva di tessuti i sovrani borbonici e che ancora oggi mantiene viva la preziosa arte della tessitura. Intuizione del re Ferdinando IV di Borbone, che fece edificare un vasto setificio e raccolse intorno ad esso una colonia di operai, in una struttura urbanistica organica e simmetrica, regolata con un codice scritto di suo pugno che doveva assicurare la felicità dei sudditi.
Oggi è possibile ripercorrere le tappe salienti del successo serico ammirando antichi macchinari, telai, manufatti, torcitoi e non solo presso il “Museo della seta”
Il Museo è composto da diverse sezioni: la sezione di archeologia industriale, ossia l’antica Fabbrica della Seta, l’Appartamento Storico e i Reali Giardini. Ciò che caratterizza questo Sito è lo strettissimo rapporto storico determinato dall’edificio-contenitore e la raccolta di beni presente in esso formandone un tutt’uno. Il percorso di visita, arricchito da dispositivi multimediali che aiutano la comprensione dell’enorme lavoro che c’è dietro ogni prodotto serico, si articola in:
• Sezione di Archeologia Industriale, si sviluppa su due piani e ospita numerosi macchinari e attrezzature dell’epoca utilizzate nelle varie fasi della lavorazione della seta. In particolare evidenza sono i nove telai a mano, tutti restaurati e funzionanti, per la produzione di broccati, broccatelli, lampassi, damaschi e della famosa “coperta leuciana” (un magnifico tessuto di damasco ad una spola, di grandi dimensioni, la cui produzione si afferma nella seconda metà dell’ottocento). Tra le eccezionalità si annoverano i due grandi torcitoi cilindrici in legno, sui quali 1200 rocchetti girano all’unisono, ricostruiti negli anni novanta del secolo scorso secondo i disegni originali e mossi dalla ruota idraulica posta nel sottosuolo. Nella parte finale della sezione sono esposti vari tessuti serici di moderna fattura, per poter finalmente toccare con mano la ricchezza e la delicatezza del prodotto finito.
• Appartamento Reale, composto da una serie di stanze particolarmente affascinanti, in cui la seta è sempre protagonista. Tra tutte spiccano: il Bagno Grande, cosiddetto “Bagno di Maria Carolina”, interamente dipinto ad encausto nel 1792 dal primo pittore di corte, Philiph Hachert; la sala da pranzo, dipinta con storie della vita di Bacco da Fedele Fischetti; la stanza da letto, sul cui soffitto campeggia l’Aurora, opera di Giuseppe Cammarano; il Coretto, da cui i sovrani assistevano alle celebrazioni liturgiche nella sottostante chiesa di San Ferdinando Re, tuttora aperta al culto.
• Sul fianco del Palazzo si aprono i Reali Giardini, disposti su sette terrazze. Dopo aver eseguito studi e rilievi approfonditi, si è potuta ottenere una conoscenza dei luoghi tale da poter riproporre anche la sistemazione dei giardini con le essenze e il disegno che originariamente ne componevano l’architettura.
Infine, è possibile visitare la Casa del Tessitore, un tipico esempio di abitazione dell’operaio leuciano, arredata con mobilio dei primi anni del ‘900, dove è ricostruito l’ambiente e le condizioni di vita dell’epoca.

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  • Castello/Fortezza/Rocca/Villa

I Tesori Borbonici: Real Sito di Carditello

San Tammaro, Campania

Il Real Sito di Carditello, situato nella provincia di Caserta, nel cuore della Campania Felix, fu costruito per volere di Ferdinando IV di Borbone nel 1787, nell’area individuata già alla metà del XVIII secolo da Carlo di Borbone e destinata all’allevamento, alla selezione di cavalli di razza reale e alla produzione agricola e casearia. Progettato dall’architetto romano Francesco Collecini, allievo di Luigi Vanvitelli, il Real Sito è composto da una palazzina centrale sormontata da un loggiato e da un belvedere, affiancata da altri edifici di servizio, e da un ampio galoppatoio ellittico, delimitato da due fontane con obelischi e con un tempietto circolare nel mezzo.

Negli anni, il complesso monumentale è passato attraverso vicende alterne e a partire dal 2004, con l’auspicato ‘vincolo’- dapprima limitato al solo edificio monumentale, ampliato poi all’area paesaggistica circostante – è iniziato il rapido processo di rivalorizzazione, sia grazie alla passione dei movimenti civici, che all’impegno del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, che lo ha acquistato nel 2013. A partire da queste premesse è stata costituita, nel febbraio del 2016, dal MiBACT, dalla Regione Campania e dal Comune di San Tammaro, la Fondazione Real Sito di Carditello.

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  • Arti, Saperi e Sapori

La vitivinicoltura del Vesuvio

Sant’ Anastasia, Campania

Le prime testimonianze delle tradizioni enologiche del Vesuvio si rintracciano in Aristotele, il quale racconta che i Tessali impiantarono le viti nella zona Vesuviana sin dal V secolo a.C.
Nel mito, Poseidone ed Efesto tennero a battesimo le prime bacche, Nettuno e Vulcano videro scorrere l’antico nettare dalle pendici del Vesuvio fino al mare.
Le divinità greche e romane del mare e del fuoco protessero i vitigni che affondavano le radici nel cuore di una terra ribollente allungando i loro tralci sulla costa tirrenica.
Due fulcri geologici vulcanici sono l’humus naturale dell’origine, evoluzione e peculiarità della viticultura campana: il complesso vulcanico Monte Somma – Vesuvio e i Campi Flegrei, tutt’oggi ambienti ideali e ricchi di varietà di vigne e di tradizioni culturali.
La superficie vitata si estende dalle prime falde fino all’altitudine di circa 700 m.s.l.m. dell’area vulcanica Monte Somma – Vesuvio.
I terreni godono di una diversa giacitura e possono essere distinti in 2 sottozone: l’Alto Colle Vesuviano (oltre i 200 m s.l.m.) con terreni tutti più o meno in pendio e il Versante Sud-Orientale, i cui terreni sono rivolti verso il mare.
Il Vesuvio è collocato tra il Golfo di Napoli, le impetuose catene dei Monti Lattari e l’Appenino Irpino. Il territorio beneficia dei venti provenienti dal mare che, uniti ai venti dei monti, garantiscono alla vite il microclima ideale per vegetare e produrre uve di straordinaria qualità.

Il suolo, di natura vulcanica e ricco di potassio, è formato in parte da depositi di ricaduta o di flusso ed in parte da depositi vulcanoclastici risedimentati localmente ad opera di acque di scorrimento superficiale.

L’areale di produzione può essere suddiviso in due macroaree:
– Il Vesuvio: l’area vulcanica venutasi a creare con l’eruzione del 79 d.C. con esposizione sul versante SUD, icona e simbolo della Città di Napoli e della Regione Campania. Il suo paesaggio rappresenta la facies terribile del Vulcano, a morfologia irregolare e ancora priva di un reticolo idrografico affermato.La vicinanza al mare e la presenza di un microclima più mite, caratterizzano i vini prodotti su tale versante.
– Il Monte Somma: l’originaria area vulcanica da cui è nato il Vesuvio, zona vitivinicola più antica e primordiale, con esposizione sul versante NORD. Il suo paesaggio rappresenta la facies tranquilla, verde, rigogliosa del Vulcano, con i suoi boschi di latifoglie e castagno, i terrazzamenti eroici che si inerpicano lungo i versanti, fino al limite del bosco, con gli albicoccheti e gli orti arborati lussureggianti e disordinati, che simulano essi stessi un boscogiardino ancestrale. Le forti escursioni termiche e un microclima fresco ed umido caratterizzano i vini prodotti su questo versante.
Tutto il territorio ricade nell’area del Parco Nazionale del Vesuvio, patrimonio di biodiversità.
La vitivinicoltura del Vesuvio ha preservato le sue particolari caratteristiche e i suoi tratti distintivi di antiche origini.
Il Caprettone e il Piedirosso, considerati ormai da diversi anni l’espressione della produzione vitivinicola del territorio, sono coltivati, sui declivi vulcanici, a piede franco, cosi da trasferire a ogni grappolo la tipicità del vitigno e l’impronta vulcanica dei terreni.
Le vigne, infatti, affondano le loro radici nella sabbia vulcanica la cui composizione impedisce alla Fillossera, nefasto parassita, di raggiungere l’apparato radicale della pianta.
L’esposizione dei vigneti, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, i terreni ricchi di declivi naturali, l’influenza della brezza marina che attraversa le vigne costantemente, la calda esposizione e la buona illuminazione, sono tutti fattori che concorrono a determinare un ambiente pedoclimatico particolarmente favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.
Non è difficile imbattersi in vigne centenarie e quelle ormai improduttive sono reimpiantate con l’antico metodo della propaggine, interrando un tralcio di una vite produttiva per far nascere una nuova pianta.
Gli anziani viticoltori hanno tramandato conoscenza e tradizione alle nuove generazioni consentendo così di preservare la biodiversità e la ricchezza ampelografica dell’area.
Le varietà autoctone più diffuse sono:
– Piedirosso;
– Caprettone.
I vitigni minori sono:
– Coda di volpe bianco;
– Aglianico;
– Falanghina;
– Catalanesca

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  • Arti, Saperi e Sapori

Procida Capitale Italiana della Cultura per il 2022

Procida, Campania

L’isola di Procida è stata nominata dal MiBACT Capitale Italiana della Cultura 2022; la commissione ha proceduto alla valutazione dei dossier di candidatura presentati e alla scelta della vincitrice.

“Il progetto culturale presenta elementi di attrattività e qualità di livello eccellente. Il contesto di sostegni locali e regionali, pubblici e privati, è ben strutturato; la dimensione patrimoniale e paesaggistica del luogo è straordinaria; la dimensione laboratoriale che comprende aspetti sociali e di diffusione tecnologica è dedicata alle isole tirreniche, ma è rilevante per tutte le realtà delle piccole isole mediterranee” la motivazione con cui la commissione ha nominato Procida Capitale Italiana della Cultura 2022.

Procida è la capacità di collegarsi al tempo ritrovato, è l’isola che non isola. Nel momento stesso dello sbarco, ti avvolge nel suo ritmo lento fatto di persone e di luoghi. Prima ancora che della Cultura per il 2022, è stata, è e sarà Capitale di relazioni, di inclusione, di cura e amore per l’ambiente marino e storico. Va vissuta preferibilmente a piedi, seguendo gli odori e i sapori che ti accolgono già a Marina Grande con il suo caratteristico Centro Storico affacciato sul Porto e, poco più in là, la spiaggia attrezzata di Silurenza. Proseguendo verso l’interno, in lieve salita, si arriva a piazza dei Martiri con la sua terrazza che domina il lato orientale dell’isola. Prologo della panoramicissima Terra Murata, l’antica città fortificata con il castello d’Avalos e l’Abbazia di San Michele. È la cosiddetta “montagna”, punto più alto e borgo medievale arroccato su un promontorio di tufo a picco sul mare, che per secoli è stato l’unico nucleo abitato di Procida.

Percorrendo la strada che scende si arriva alla Corricella, il coloratissimo borgo di pescatori dove tutto è autentico e genuino, anche i caratteristici locali nei quali è possibile mangiare a un metro dal mare. Case che sembrano dipinte coi pastelli: rosa, bianco, azzurro e verde, con porticine e finestrelle perennemente aperte. Un presepe marino, ma anche una storica location letteraria e cinematografica: qui fu allestito negli anni Cinquanta il set della casa di “Graziella”, il film tratto dall’omonimo romanzo di Lamartine; e qui, quarant’anni dopo, fu girato “Il postino”, ultima pellicola di Massimo Troisi.

Le spiagge più famose sono Chiaia e Chiaiolella. La prima garantisce, grazie alla scogliera e al fondale poco profondo, una maggiore fruibilità per le famiglie che vi arrivano munite di ombrellone e sdraio poiché l’arenile è per la maggior parte libero, anche se esistono delle zone attrezzate con dei lidi.

La Chiaiolella è invece la spiaggia più estesa dell’isola, spazi aperti si alternano agli stabilimenti balneari. Partendo da questa zona, si sale su una stradina stretta che costeggia un’area residenziale che affaccia sul lato sinistro della darsena. Si prosegue in una promenade che, tra ville con giardini a picco sul mare, natura e scorci mozzafiato, arriva a Punta Solchiaro, il promontorio più a sud di Procida‬ da cui ammirare Terra Murata e la terraferma da un punto di vista unico.

Altro luogo sospeso nel tempo e nello spazio è Vivara, riserva naturale collegata da un vecchio ponte alla “terraferma” di Procida. Verde e incontaminata, quest’area è popolata da una flora e una fauna selvagge che custodiscono reperti archeologici di origine micenea.

Tra natura e cultura, Procida ispira e inventa atmosfere che attraversano intatte gli effimeri e modaioli trend. È la sintesi perfetta della Campania che, nella sua unicità, ovunque e in ogni stagione riesce a stupire e sorprendere il viaggiatore.

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  • Termale

Le Terme d’Ischia

Casamicciola Terme, Campania

Le acque termali dell’Isola d’Ischia sono ben conosciute ed utilizzate fin dall’antichità.Già i primi coloni Euboici (VIII sec. A. C.), come dimostrano i numerosi reperti archeologici rinvenuti nel sito di Pithecusa e conservati presso il Museo Archeologico di Villa Arbusto a Lacco Ameno, apprezzavano ed usavano le acque delle sorgenti termali dell’Isola.

I Greci infatti utilizzavano le acque termali per ritemprare lo spirito ed il corpo e come rimedio per la guarigione dei postumi di ferite di guerra (in epoca pre-antibiotica!) attribuendo alle acque ed ai vapori che sgorgavano dalla terra poteri soprannaturali; non a caso presso ogni località termale sorgevano templi dedicati a divinità come quello di Apollo a Delfi.
Strabone, storico e geografo greco, cita nella sua monumentale opera geografica l’Isola d’Ischia e le virtù delle sue sorgenti termali (Geograph. Lib. V).

Se i Greci furono i primi popoli a conoscere i poteri delle acque termali, i Romani le esaltarono come strumento di cura e relax attraverso la realizzazione di Thermae pubbliche ed utilizzarono sicuramente e proficuamente le numerose sorgenti dell’Isola (come dimostrano le tavolette votive rinvenute presso la Sorgente di Nitrodi a Barano d’Ischia, dove sorgeva un tempietto dedicato ad Apollo ed alle Ninfe Nitrodie, custodi delle acque) anche senza fastosi insediamenti;
nell’Isola infatti non sono state rinvenute, come invece a Roma ed in altri centri termali dell’antichità, imponenti vestigia di edifici termali probabilmente per le eruzioni vulcaniche ed i terremoti che frequentemente ne hanno violentemente scosso le balze.
Il declino della potenza di Roma coincise con l’abbandono dell’uso dei balnea anche ad Ischia: non ci sono infatti tracce dell’uso delle acque nel Medioevo.

Di terme e termalismo si riprende attivamente a parlare nel Rinascimento ed un impulso decisivo alla moderna medicina termale venne dato da Giulio Iasolino, un medico calabrese, docente presso l’Università di Napoli, che verso la fine del 1500, affascinato dal clima e dai fenomeni di vulcanismo secondario (fumarole ed acque termali), intuendo le potenzialità terapeutiche del mezzo termale,Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
effettuò un meticoloso censimento delle sorgenti dell’Isola (per la prima volta appare la ricchezza idrogeologica del territorio isolano), ne individuò la composizione delle acque e compì dettagliate osservazione circa gli effetti delle stesse su numerose patologie che affliggevano i suoi contemporanei (nel descrivere la Sorgente del Castiglione, una delle più famose dell’epoca, Iasolino esprime tutto il suo entusiasmoper le acque termali: “Noi ogni dì vediamo operazioni e virtù di quest’acqua così meravigliose e stupende che veramente bisogna credere essere data dal cielo per la salute degli uomini”).

Con la pubblicazione del trattato “De Rimedi Naturali che sono nell’Isola di Pithecusa; hoggi detta Ischia” il Professor Iasolino liberò le acque termali di Ischia da quell’alone magico che fino ad allora ne aveva condizionato l’utilizzo.
Dopo le esperienze di Iasolino, agli inizi del ‘600, considerando che molte guarigioni si ottenevano con l’uso dei bagni termali e che le curead Ischia, abbastanza costose, potevano permettersele solo nobili e ricchi borghesi, un gruppo di nobili filantropi napoletani fece edificare nel comune di Casamicciola il “Pio Monte della Misericordia”, “stabilimento termale (per l’epoca) più grande d’Europa”, per permettere anche a chi non aveva adeguate possibilità economiche di godere delle qualità terapeutiche delle locali acque termali.
Dal ‘600 alla metà del ‘900 vennero costruiti in prossimità delle più rinomate sorgenti termali numerosi stabilimenti e strutture ricettive che fecero dell’Isola d’Ischia una rinomata stazione internazionale di cura e soggiorno dove vennero a curare le malattie del corpo, e non solo, personaggi celebri come Giuseppe Garibaldi, dopo la battaglia di Aspromonte, Camillo Benso conte di Cavour, Arturo Toscanini.
Dagli anni Sessanta, grazie alla lungimiranza ed all’intuito imprenditoriale del cav. Angelo Rizzoli, l’Isola d’Ischia e le sue acque si aprono ai grandi flussi turistici ed una intensa attività scientifica consacra le cure termali al rango di terapie alternative alle terapie farmacologiche per la cura di molte delle affezioni già perfettamente descritte da Iasolino.

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  • Parco

Parco Regionale del Matese

Piedimonte Matese, Campania

Il Parco si articola attorno al massiccio del Matese che con il Monte Miletto, la Gallinola ed il Monte Mutria, arriva a toccare il cielo. Il Matese si estende a cavallo tra Campania e Molise delle quali coinvolge 4 province Caserta e Benevento da un lato, Isernia e Campobasso dall’altro. Congiunge territori tra loro molto diversi, quello calcareo, aspro e splendente, composto da creste e profonde valli, e quello argilloso, dalle forme morbide e sinuose del versante adriatico. Clima continentale ad alta quota e mediterraneo a valle favoriscono l’alto grado di biodiversità del territorio. Peculiarità del parco sono i laghi: il Matese a 1000 metri, il più alto d’Italia, il Gallo e il Letino che vengono usati perlopiù per l’energia elettrica. Le grotte di Lete riservano ai visitatori grandi sorprese: le cascate della galleria superiore e le stalattiti e stalagmiti e le farfalle dagli occhi fosforescenti all’interno delle cavità. Il Parco del Matese è il paradiso degli escursionisti e degli sportivi: mountainbike, trekking, sci d‘erba e alpino, deltaplano, ma anche passeggiate a cavallo e escursioni speleologiche. Interessanti cittadine e borghi storici circondano il parcoche propongono interessanti itinerari culturali e artistici, enogastronomici e di artigianato.
Il Parco Regionale abbraccia i comuni campani di Ailano, Alife, Capriati a Volturno, Castello del Matese, Cerreto Sannita, Cusano Mutri, Faicchio, Fontegreca, Gallo Matese, Gioia Sannitica, Letino, Piedimonte Matese, Pietraroja, Prata Sannita, Raviscanina, San Gregorio Matese, San Lorenzello, San Potito Sannitico, Sant’Angelo d’Alife, Valle Agricola

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Dove dormire

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Calabritto, Campania

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Calitri, Campania

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