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Veneto

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Nelle classifiche ufficiali delle Regioni più visitate d’Italia c’è sempre il Veneto, che spesso è pure sul gradino più alto del podio. Il perché di questo successo è presto detto: mare, montagna, laghi, terme, parchi naturali, itinerari a tema per soddisfare ogni interesse, da quelli religiosi a quelli enogastronomici, senza contare le numerose città d’arte, di cui Venezia è sicuramente simbolo, al centro di una rosa di degne “competitor” che nulla hanno da invidiare e che hanno anzi saputo conquistare la loro giusta fama. A cominciare da Verona e Vicenza, beni Unesco come la stessa “Serenissima” per i loro meravigliosi centri storici, insieme alla “dotta” Padova, per il suo Orto Botanico, oltre a Treviso, Rovigo e Belluno, cuore di altrettante province floride di punti di interesse in grado di stimolare ogni genere di visitatore.

In Veneto il paesaggio cambia in fretta: 150 km per passare dalle spiagge dell’Adriatico, con Bibione, Jesolo e Caorle in prima fila, che si stempera nelle languide acque dell’arco lagunare, alle nevi eterne del ghiaccio della Marmolada, che con i suoi 3.343 metri è la vetta più alta. Si va poi dalle vaste pianure solcate da fiumi e canali al Po e il suo Delta fino all’Adige, al più che mai veneto Piave, e ancora, dalle alture isolate dei Colli Euganei, cantate da Francesco Petrarca, padovano Doc, a quelle dei Colli Berici vicentini, punteggiati di vigneti e sontuose ville progettate dal genio di Andrea Palladio (altro bene Unesco): terre ovattate nelle brume e dalle foschie dell’autunno, che accarezzano anche le sponde del Lago di Garda, in un assaggio poetico che precede il grande balzo fra le crode svettanti delle Dolomiti. L’Antelao, il Pelmo, le Tofane, le Tre Cime di Lavaredo, le Marmarole, la Civetta e l’Agnèr… Un legame ancestrale quello fra la montagna e l’acqua, che vede in quel miracolo di fragile precarietà, di cui Venezia è icona assoluta, il suo connubio più sottile. Il Veneto, che pagò un alto prezzo all’emigrazione nei non lontani tempi della fame e della malaria, resta pur sempre una Regione che all’urbanizzazione delle grandi metropoli contrappone le sue deliziose province, vivibili e gradevolissime, seppur talvolta soggette al transito di milioni di turisti (una media di 20 all’anno nel solo capoluogo), oltre a una miriade di borghi e cittadine “minori”, per numero di abitanti ma non per attrattive, fra cui si citano a titolo di esempio Asiago, Castelfranco, Cittadella, Vittorio Veneto, Conegliano, Bassano, Monselice e Feltre. Luoghi che fanno parte di quella “civiltà visiva” che da sempre identifica la Regione: Tiziano, Giorgione, Tintoretto, Canaletto, Tiepolo, Palladio, Canova e un’infinità di altri maestri che hanno lasciato un’enorme eredità artistica che non ha pari, nata sotto l’ala protettrice di quella Repubblica Marinara che per oltre sei secoli dominò i mari ma anche la scena aristocratica mitteleuropea. Età dell’oro che oggi rivive nelle sontuose maschere del Carnevale più famoso e spettacolare d’Italia e forse del mondo, e nella Regata Storica che ogni anno a settembre fa rivivere lungo Canal Grande lo splendore del tempo dei Dogi.

Volgendo lo sguardo all’aspetto paesaggistico, non si può che partire da Cortina, la “Regina delle Dolomiti”, che ha nel cuore 400 anni sotto gli Asburgo e dove ancora oggi vestirsi alla tirolese nelle occasioni che contano è un must anche per il jet-set che la frequenta. Qui il mito dell’alpinismo e degli sport invernali, insieme a quello effimero della mondanità, ha una delle sue culle più prestigiose e ha contagiato le altre località delle Dolomiti bellunesi che la coronano. Misurina resta un’oasi avulsa dai grandi caroselli dello sci, ma proprio per questo piena di fascino, contrapposta al comprensorio sciistico del Civetta, il più grande della Regione, mentre sul confine con l’Austria c’è Sappada, dove si mastica già tedesco. Un contesto naturalistico tanto pregevole non poteva non essere sottoposto a tutela, e allora ecco il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi – dal 2009 iscritto nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco – , seguito da cinque parchi regionali – delle Dolomiti d’Ampezzo, dei Colli Euganei, della Lessinia, del Fiume Sile e del Delta del Po – cui vanno ad aggiungersi sei Riserve naturali regionali e quattordici statali, due Zone umide di importanza internazionale, nove Foreste demaniali regionali  e diversi Parchi e Riserve regionali di interesse locale. Nel complesso, un variegato terreno di gioco per appassionati dell’outdoor, in ogni sua declinazione stagionale possibile: trekking, nordik walking, MTB, equitazione, free e ice climbing, deltaplano… Nessun limite alla fantasia e alla voglia di emozionarsi di fronte a Madre Natura. Magari brindando alla sua bellezza con un calice di prosecco in mano, fra le Colline di Conegliano e Valdobbiadene, dal 2019 bene Unesco proprio in virtù di un panorama disegnato da chilometri di filari, che lambiscono antiche pievi e borghi medievali perfettamente conservati, risalendo i cosiddetti “ciglioni”, gli stretti terrazzamenti piantumati a vite.

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Il Cammino di Sant'Antonio

Camposampiero, Veneto

28 elementi Cosa fare e vedere

  • Cammino-Religioso

Il Cammino di Sant’Antonio

Camposampiero, Veneto

Cammino che ripercorre la vita del Santo: dal nascondimento nell’eremo di Montepaolo, dimora iniziale di frate Antonio in Italia, prima di venire scoperto come predicatore preparato ed infuocato a Forlì, definitivamente inviato sulle strade dell’Italia settentrionale e del sud della Francia come evangelizzatore, maestro di sacra Scrittura e persino superiore provinciale (per tre anni) sino ai giorni di Padova e Camposampiero. Il viandante che decide di intraprendere questa faticosa marcia sa di dover portare con sé uno zaino carico di fede, entusiasmo e coraggio, e la consapevolezza di essere un semplice pellegrino che accetta con umiltà tutte le faticose incognite che ogni giornata di cammino può riservare.
Il Cammino di Sant’Antonio attende di essere percorso da chi lo desidera, e non ha senso e non può esistere senza il sudore ed il dolore ai piedi dell’esercito dei suoi variegati camminatori.
In un contesto di suggestivi paesaggi, di grandiose città, di solitari sentieri immersi nella lussureggiante natura, tra il sorgere di incantevoli albe e tramonti pieni di poesia, la meta s’intravede laddove lo sguardo del pellegrino si posa a rimirar quella luce e quell’Amor che move il Sole e l’altre Stelle.

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  • Naturalistico - Altro

Orto Botanico Universitario di Padova

Padova, Veneto

L’orto botanico di Padova fu fondato nel 1545 ed è il più antico orto botanico al mondo ancora nella sua collocazione originaria[1]. Situato in un’area di circa 2,2 ettari, dal 1997 è Patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Nell’ottobre 2014 è stata inaugurata la nuova ala dell’orto botanico, denominata “Giardino della Biodiversità”. L’orto botanico di Padova, istituito nel 1545, nasce per la coltivazione delle piante medicinali che costituivano la maggioranza dei “semplici”, medicamenti provenienti dalla natura. Per tale ragione la denominazione primitiva dell’orto era “Giardino dei Semplici” (“Horti Simplicium”).

L’ateneo padovano (fondato nel 1222) era già largamente famoso per lo studio delle piante, in particolare modo per l’applicazione di queste alle scienze mediche e farmacologiche. Quando l’orto fu fondato regnava una grande incertezza circa l’identificazione delle piante usate dai celebri medici dell’antichità: erano frequenti errori e frodi, con gravissimi danni per la salute dei pazienti. L’istituzione di un horto medicinale fu sollecitata su richiesta di Francesco Bonafede, che allora ricopriva la cattedra di Lettura dei Semplici presso l’Università di Padova, per facilitare l’apprendimento ed il riconoscimento delle piante medicinali autentiche rispetto alle sofisticazioni. Nel 1545 un decreto del senato della Repubblica di Venezia ne approva la costituzione: i lavori sono immediatamente avviati.

L’orto botanico (o “Giardino dei Semplici”) di Padova in una litografia; sullo sfondo, la basilica di Sant’Antonio.
Il primo custode dell’orto è, nel 1547, Luigi Squalermo detto Anguillara, che fa introdurre 1800 medicinali. Nel 1551 all’Anguillara viene affiancato Pier Antonio Michiel, già creatore di un mirabile giardino privato, conoscitore e amatore delle specie vegetali ed autore di un eccellente erbario illustrato.

L’Orto per la rarità dei vegetali contenuti e per il prezzo elevato dei medicamenti che da essi venivano ricavati era oggetto di frequenti furti notturni, nonostante le severe pene comminate dalla legge. Per tale ragione fu edificato un muro di recinzione circolare, tutt’oggi visibile e caratterizzante da qui il nome di “Hortus Cintus”.

Nel corso dei secoli, l’Orto botanico di Padova è situato al centro di una fittissima rete di relazioni internazionali, esercitando un ruolo preponderante nell’ambiente della ricerca nello scambio di idee, di coscienze e di piante. Per tali motivazioni nel 1997 è stato inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO (World Heritage List), come bene culturale, costituendo una testimonianza eccezionale di una tradizione culturale inveterata da secoli (criterio iii) ed inoltre testimonia uno scambio di influenze cruciali nell’area culturale delle scienze botaniche (criterio ii); a tal proposito vedere le Linee guida operative della Convenzione del patrimonio mondiale. La motivazione in base alla quale l’orto botanico fu inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità è la seguente:

“L’orto botanico di Padova è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra la natura e la cultura. Ha largamente contribuito al progresso di numerose discipline scientifiche moderne, in particolare la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacia”.

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  • Museo

Memoriale Veneto della Grande Guerra (MEVE)

Montebelluna, Veneto

Localizzato nel complesso monumentale di Villa Correr Pisani di Montebelluna, il Memoriale Veneto della Grande Guerra (MEVE) è uno spazio interattivo e multimediale dedicato ai conflitti e agli eventi che hanno segnato l’ultimo secolo della nostra storia a partire dal primo conflitto mondiale. Un approccio contemporaneo, esperienziale ed emozionale caratterizza Il percorso espositivo. Gli oggetti, pochi e “totemici”, sono parte di uno storytelling allestitivo dove la componente digitale, la realtà virtuale, le installazioni immersive, l’importante documentazione filmografica e il sound-design consentono di vivere un’esperienza unica, toccante e sempre diversa. Il primo conflitto mondiale è occasione per ripercorrere 100 anni di storia.

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  • Museo

Complesso Conventuale Museale di Santa Caterina

Treviso, Veneto

Il complesso conventuale di Santa Caterina risale alla metà del ‘300 nel sito allora occupato dal Palazzo dei Caminesi, cacciati dalla città in seguito al loro coinvolgimento nella congiura che voleva consegnare Treviso agli Scaligeri. Alla fine del secolo la chiesa risultava ancora incompiuta, mentre già alla fine del ‘500 e nel corso del ‘600 si interveniva con radicali restauri. Nel 1772 la Repubblica Veneta sopprimeva il Convento che, in seguito all’occupazione napoleonica, veniva convertito in caserma, subendo un oltraggioso intervento di ristrutturazione con notevoli alterazioni della tipologia originale. La tipologia d’uso a caserma permane fino alle soglie del secondo conflitto mondiale, che arreca gravi danni con il bombardamento del 7 aprile 1944.Dopo quasi trent’anni di abbandono dopo il bombardamento del 1944, interrotti solo nel 1967 in occasione della mostra antologica sull’opera di Arturo Martini, allestita da Carlo Scarpa, nel 1973 il Demanio affida il complesso al Comune di Treviso per destinarlo a Museo Civico. Infatti con atto n° 4015 di rep. stipulato in data 18.2.1975 presso l’Intendenza di Finanza di Treviso, il complesso venne dato in concessione al Comune di Treviso per il periodo 1.1.1975/31.12.1993, verso la corresponsione di un canone annuo.Attualmente è in fase di ultimazione l’iter per l’acquisizione del bene da parte del Comune di Treviso ai sensi dell’art. 5, comma 5, del D. Lgs 85/2010 e s.m.i. essendo già stato sottoscritto in data 28 luglio 2015 il relativo accordo di valorizzazione con il ministero per i Beni e le Attività culturali e l’agenzia del Demanio.

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  • Festival

Tocatì – Festival Internazionale dei Giochi In Strada

Verona, Veneto

Dal 12 al 15 settembre 2019 si terrà a Verona la XVII edizione di Tocatì, Festival Internazionale dei Giochi in Strada, organizzato da Associazione Giochi Antichi con il patrocinio di Comune di Verona, Regione del Veneto e della Provincia di Verona. Riconfermata per questa diciassettesima edizione la collaborazione con AEJeST e rafforzata ulteriormente quella con MIBAC e ICDE – Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia. Tocatì è al terzo anno del percorso di candidatura del Programma di attività del festival al Registro delle Buone Pratiche di Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale UNESCO, i simboli che racconteranno i valori legati al gioco in questo Tocatì 2019 saranno: Salvaguardia, Impegno e Evoluzione (dopo Patrimonio, Confronto e Territorio del 2018 e Appartenenza, Incontro e Comunità del 2017.)

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  • Culturale Materiale - Altro

Andrea Brustolon, Scultore del Legno

Belluno, Veneto

“Le sculture lignee barocche si distinguono per una straordinaria fecondità di fantasia, per l’accuratezza dell’esecuzione, per i contrasti cromatici fra i vari tipi di legno”.
Il tema di questo articolo riguarda uno dei più straordinari scultori bellunesi del Seicento ma allo stesso tempo artista poco conosciuto: Andrea Brustolon.
Grande considerazione ebbe di lui lo scrittore francese Honorè de Balzac tanto da definirlo il “Michelangelo del legno” e non solo, anche successivamente lo storico dell’arte Leopoldo Cicognara ebbe parole positive nei suoi confronti attribuendogli “eleganza e dolcezza” e definendo gli altri artisti contemporanei ad Andrea Brustolon come “una folla di cattivi manieristi”.
Andrea Brustolon nacque a Belluno nel 1662 e la sua formazione avvenne principalmente a Venezia (1677) dove subì l’influsso dello scultore genovese Filippo Parodi e dello scultore belga Josse Le Court considerato il Bernini veneziano. Parodi gli infuse eleganza e vivacità compositiva. Si presume poi, un suo viaggio a Roma dove avrebbe subito l’influsso del Bernini. Ritornato a Belluno, scolpì una delle opere più sorprendenti per la sua composizione, per la sua carica espressiva, per il suo trasmettere il sentimento del dolore, per il suo estremo realismo: l’Altare delle Anime di San Floriano a Pieve di Zoldo. Non mancano comunque le commissioni di patrizi veneziani quali i Correr, i Pisani e i Venier ma la sua committenza fu prevalentemente ecclesiastica. La sua arte non riguardò solo la statuaria ma anche apparati decorativi come mobili, cornici e arredi. Andrea Brustolon fu uno scultore che seppe creare un suo personale stile e eccezionale fu il suo estrarre dalla materia prima del legno l’anima della composizione. Morì a Belluno nel 1732.
Le sue opere sono presenti in quasi tutto il territorio provinciale: a Belluno presso il Museo Civico e la chiesa di San Pietro; a Feltre nel Museo Diocesano d’Arte Sacra; in Val di Zoldo nella Chiesa di San Floriano e Valentino e in Comelico presso la chiesa dei Santi Rocco e Osvaldo e a Farra d’Alpago.

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  • Cammino-Religioso

Il Cammino di Sant’Antonio

Camposampiero, Veneto

Cammino che ripercorre la vita del Santo: dal nascondimento nell’eremo di Montepaolo, dimora iniziale di frate Antonio in Italia, prima di venire scoperto come predicatore preparato ed infuocato a Forlì, definitivamente inviato sulle strade dell’Italia settentrionale e del sud della Francia come evangelizzatore, maestro di sacra Scrittura e persino superiore provinciale (per tre anni) sino ai giorni di Padova e Camposampiero. Il viandante che decide di intraprendere questa faticosa marcia sa di dover portare con sé uno zaino carico di fede, entusiasmo e coraggio, e la consapevolezza di essere un semplice pellegrino che accetta con umiltà tutte le faticose incognite che ogni giornata di cammino può riservare.
Il Cammino di Sant’Antonio attende di essere percorso da chi lo desidera, e non ha senso e non può esistere senza il sudore ed il dolore ai piedi dell’esercito dei suoi variegati camminatori.
In un contesto di suggestivi paesaggi, di grandiose città, di solitari sentieri immersi nella lussureggiante natura, tra il sorgere di incantevoli albe e tramonti pieni di poesia, la meta s’intravede laddove lo sguardo del pellegrino si posa a rimirar quella luce e quell’Amor che move il Sole e l’altre Stelle.

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Orto Botanico Universitario di Padova

Padova, Veneto

L’orto botanico di Padova fu fondato nel 1545 ed è il più antico orto botanico al mondo ancora nella sua collocazione originaria[1]. Situato in un’area di circa 2,2 ettari, dal 1997 è Patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Nell’ottobre 2014 è stata inaugurata la nuova ala dell’orto botanico, denominata “Giardino della Biodiversità”. L’orto botanico di Padova, istituito nel 1545, nasce per la coltivazione delle piante medicinali che costituivano la maggioranza dei “semplici”, medicamenti provenienti dalla natura. Per tale ragione la denominazione primitiva dell’orto era “Giardino dei Semplici” (“Horti Simplicium”).

L’ateneo padovano (fondato nel 1222) era già largamente famoso per lo studio delle piante, in particolare modo per l’applicazione di queste alle scienze mediche e farmacologiche. Quando l’orto fu fondato regnava una grande incertezza circa l’identificazione delle piante usate dai celebri medici dell’antichità: erano frequenti errori e frodi, con gravissimi danni per la salute dei pazienti. L’istituzione di un horto medicinale fu sollecitata su richiesta di Francesco Bonafede, che allora ricopriva la cattedra di Lettura dei Semplici presso l’Università di Padova, per facilitare l’apprendimento ed il riconoscimento delle piante medicinali autentiche rispetto alle sofisticazioni. Nel 1545 un decreto del senato della Repubblica di Venezia ne approva la costituzione: i lavori sono immediatamente avviati.

L’orto botanico (o “Giardino dei Semplici”) di Padova in una litografia; sullo sfondo, la basilica di Sant’Antonio.
Il primo custode dell’orto è, nel 1547, Luigi Squalermo detto Anguillara, che fa introdurre 1800 medicinali. Nel 1551 all’Anguillara viene affiancato Pier Antonio Michiel, già creatore di un mirabile giardino privato, conoscitore e amatore delle specie vegetali ed autore di un eccellente erbario illustrato.

L’Orto per la rarità dei vegetali contenuti e per il prezzo elevato dei medicamenti che da essi venivano ricavati era oggetto di frequenti furti notturni, nonostante le severe pene comminate dalla legge. Per tale ragione fu edificato un muro di recinzione circolare, tutt’oggi visibile e caratterizzante da qui il nome di “Hortus Cintus”.

Nel corso dei secoli, l’Orto botanico di Padova è situato al centro di una fittissima rete di relazioni internazionali, esercitando un ruolo preponderante nell’ambiente della ricerca nello scambio di idee, di coscienze e di piante. Per tali motivazioni nel 1997 è stato inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO (World Heritage List), come bene culturale, costituendo una testimonianza eccezionale di una tradizione culturale inveterata da secoli (criterio iii) ed inoltre testimonia uno scambio di influenze cruciali nell’area culturale delle scienze botaniche (criterio ii); a tal proposito vedere le Linee guida operative della Convenzione del patrimonio mondiale. La motivazione in base alla quale l’orto botanico fu inserito nella lista dei patrimoni dell’umanità è la seguente:

“L’orto botanico di Padova è all’origine di tutti gli orti botanici del mondo e rappresenta la culla della scienza, degli scambi scientifici e della comprensione delle relazioni tra la natura e la cultura. Ha largamente contribuito al progresso di numerose discipline scientifiche moderne, in particolare la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacia”.

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Memoriale Veneto della Grande Guerra (MEVE)

Montebelluna, Veneto

Localizzato nel complesso monumentale di Villa Correr Pisani di Montebelluna, il Memoriale Veneto della Grande Guerra (MEVE) è uno spazio interattivo e multimediale dedicato ai conflitti e agli eventi che hanno segnato l’ultimo secolo della nostra storia a partire dal primo conflitto mondiale. Un approccio contemporaneo, esperienziale ed emozionale caratterizza Il percorso espositivo. Gli oggetti, pochi e “totemici”, sono parte di uno storytelling allestitivo dove la componente digitale, la realtà virtuale, le installazioni immersive, l’importante documentazione filmografica e il sound-design consentono di vivere un’esperienza unica, toccante e sempre diversa. Il primo conflitto mondiale è occasione per ripercorrere 100 anni di storia.

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Complesso Conventuale Museale di Santa Caterina

Treviso, Veneto

Il complesso conventuale di Santa Caterina risale alla metà del ‘300 nel sito allora occupato dal Palazzo dei Caminesi, cacciati dalla città in seguito al loro coinvolgimento nella congiura che voleva consegnare Treviso agli Scaligeri. Alla fine del secolo la chiesa risultava ancora incompiuta, mentre già alla fine del ‘500 e nel corso del ‘600 si interveniva con radicali restauri. Nel 1772 la Repubblica Veneta sopprimeva il Convento che, in seguito all’occupazione napoleonica, veniva convertito in caserma, subendo un oltraggioso intervento di ristrutturazione con notevoli alterazioni della tipologia originale. La tipologia d’uso a caserma permane fino alle soglie del secondo conflitto mondiale, che arreca gravi danni con il bombardamento del 7 aprile 1944.Dopo quasi trent’anni di abbandono dopo il bombardamento del 1944, interrotti solo nel 1967 in occasione della mostra antologica sull’opera di Arturo Martini, allestita da Carlo Scarpa, nel 1973 il Demanio affida il complesso al Comune di Treviso per destinarlo a Museo Civico. Infatti con atto n° 4015 di rep. stipulato in data 18.2.1975 presso l’Intendenza di Finanza di Treviso, il complesso venne dato in concessione al Comune di Treviso per il periodo 1.1.1975/31.12.1993, verso la corresponsione di un canone annuo.Attualmente è in fase di ultimazione l’iter per l’acquisizione del bene da parte del Comune di Treviso ai sensi dell’art. 5, comma 5, del D. Lgs 85/2010 e s.m.i. essendo già stato sottoscritto in data 28 luglio 2015 il relativo accordo di valorizzazione con il ministero per i Beni e le Attività culturali e l’agenzia del Demanio.

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Tocatì – Festival Internazionale dei Giochi In Strada

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Dal 12 al 15 settembre 2019 si terrà a Verona la XVII edizione di Tocatì, Festival Internazionale dei Giochi in Strada, organizzato da Associazione Giochi Antichi con il patrocinio di Comune di Verona, Regione del Veneto e della Provincia di Verona. Riconfermata per questa diciassettesima edizione la collaborazione con AEJeST e rafforzata ulteriormente quella con MIBAC e ICDE – Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia. Tocatì è al terzo anno del percorso di candidatura del Programma di attività del festival al Registro delle Buone Pratiche di Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale UNESCO, i simboli che racconteranno i valori legati al gioco in questo Tocatì 2019 saranno: Salvaguardia, Impegno e Evoluzione (dopo Patrimonio, Confronto e Territorio del 2018 e Appartenenza, Incontro e Comunità del 2017.)

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Andrea Brustolon, Scultore del Legno

Belluno, Veneto

“Le sculture lignee barocche si distinguono per una straordinaria fecondità di fantasia, per l’accuratezza dell’esecuzione, per i contrasti cromatici fra i vari tipi di legno”.
Il tema di questo articolo riguarda uno dei più straordinari scultori bellunesi del Seicento ma allo stesso tempo artista poco conosciuto: Andrea Brustolon.
Grande considerazione ebbe di lui lo scrittore francese Honorè de Balzac tanto da definirlo il “Michelangelo del legno” e non solo, anche successivamente lo storico dell’arte Leopoldo Cicognara ebbe parole positive nei suoi confronti attribuendogli “eleganza e dolcezza” e definendo gli altri artisti contemporanei ad Andrea Brustolon come “una folla di cattivi manieristi”.
Andrea Brustolon nacque a Belluno nel 1662 e la sua formazione avvenne principalmente a Venezia (1677) dove subì l’influsso dello scultore genovese Filippo Parodi e dello scultore belga Josse Le Court considerato il Bernini veneziano. Parodi gli infuse eleganza e vivacità compositiva. Si presume poi, un suo viaggio a Roma dove avrebbe subito l’influsso del Bernini. Ritornato a Belluno, scolpì una delle opere più sorprendenti per la sua composizione, per la sua carica espressiva, per il suo trasmettere il sentimento del dolore, per il suo estremo realismo: l’Altare delle Anime di San Floriano a Pieve di Zoldo. Non mancano comunque le commissioni di patrizi veneziani quali i Correr, i Pisani e i Venier ma la sua committenza fu prevalentemente ecclesiastica. La sua arte non riguardò solo la statuaria ma anche apparati decorativi come mobili, cornici e arredi. Andrea Brustolon fu uno scultore che seppe creare un suo personale stile e eccezionale fu il suo estrarre dalla materia prima del legno l’anima della composizione. Morì a Belluno nel 1732.
Le sue opere sono presenti in quasi tutto il territorio provinciale: a Belluno presso il Museo Civico e la chiesa di San Pietro; a Feltre nel Museo Diocesano d’Arte Sacra; in Val di Zoldo nella Chiesa di San Floriano e Valentino e in Comelico presso la chiesa dei Santi Rocco e Osvaldo e a Farra d’Alpago.

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