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Campania Felix. Gli Antichi Romani la chiamavano così, e il senso di questa definizione sta nella fortunata composizione di elementi naturalistici e “umani” che sono andati nel tempo a creare realtà straordinarie come Capri, Pompei e Sorrento, solo per citarne alcune. In periodo imperiale, la Regione comprendeva i territori che da Capua arrivavano fino a Salernum e poi tutta l’area circumvesuviana. Particolarmente apprezzati erano già all’epoca quelle che oggi chiameremmo wellness destination, ossia le sorgenti termali attorno a cui sorsero grandiosi stabilimenti termali frequentati anche da personalità e aristocrazia romana. Fra questi, le “Spa” di Contursi Terme, Telese e Napoli, attive ancora, oltre ovviamente a quell’unicum che è Ischia, vera e propria “Isola del benessere”. La natura generosa ha regalato alla Campania anche una serie di oasi verdi, a iniziare dal Parco Nazionale del Vesuvio e quello del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, cui si aggiungono il Parco Regionale del Matesesino, il Parco sommerso di Gaia e l’Area Marina Protetta di Costa degli infreschi e della Masseta nel Cilento.

Felix la Campania lo è anche per la ricchezza che ha saputo coltivare l’uomo, a volte letteralmente, con colture come la vite, presente da oltre duemila anni con vitigni autoctoni – vedi le vitis Hellenica, Apiana e Aminea Gemina – che oggi hanno ceduto il passo a Taurasi, Fiano di Avellino e Greco di Tufo, prodotti da esportazione che fanno parlare di questa terra in tutto il mondo.

Così come altri prodotti di tradizione locale: le ceramiche artistiche di Vietri sul Mare, i tessuti artigianali di San Leucio, i coralli e cammei di Torre del Greco, cuore di un fiorente distretto orafo noto a livello internazionale, e le ceramiche di Capodimonte nel capoluogo.

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I Tesori Borbonici: Real Sito di Carditello

San Tammaro, Campania

25 elementi Cosa fare e vedere

  • Castello/Fortezza/Rocca/Villa

I Tesori Borbonici: Real Sito di Carditello

San Tammaro, Campania

Il Real Sito di Carditello, situato nella provincia di Caserta, nel cuore della Campania Felix, fu costruito per volere di Ferdinando IV di Borbone nel 1787, nell’area individuata già alla metà del XVIII secolo da Carlo di Borbone e destinata all’allevamento, alla selezione di cavalli di razza reale e alla produzione agricola e casearia. Progettato dall’architetto romano Francesco Collecini, allievo di Luigi Vanvitelli, il Real Sito è composto da una palazzina centrale sormontata da un loggiato e da un belvedere, affiancata da altri edifici di servizio, e da un ampio galoppatoio ellittico, delimitato da due fontane con obelischi e con un tempietto circolare nel mezzo.

Negli anni, il complesso monumentale è passato attraverso vicende alterne e a partire dal 2004, con l’auspicato ‘vincolo’- dapprima limitato al solo edificio monumentale, ampliato poi all’area paesaggistica circostante – è iniziato il rapido processo di rivalorizzazione, sia grazie alla passione dei movimenti civici, che all’impegno del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, che lo ha acquistato nel 2013. A partire da queste premesse è stata costituita, nel febbraio del 2016, dal MiBACT, dalla Regione Campania e dal Comune di San Tammaro, la Fondazione Real Sito di Carditello.

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  • Termale

Le Terme d’Ischia

Casamicciola Terme, Campania

Le acque termali dell’Isola d’Ischia sono ben conosciute ed utilizzate fin dall’antichità.Già i primi coloni Euboici (VIII sec. A. C.), come dimostrano i numerosi reperti archeologici rinvenuti nel sito di Pithecusa e conservati presso il Museo Archeologico di Villa Arbusto a Lacco Ameno, apprezzavano ed usavano le acque delle sorgenti termali dell’Isola.

I Greci infatti utilizzavano le acque termali per ritemprare lo spirito ed il corpo e come rimedio per la guarigione dei postumi di ferite di guerra (in epoca pre-antibiotica!) attribuendo alle acque ed ai vapori che sgorgavano dalla terra poteri soprannaturali; non a caso presso ogni località termale sorgevano templi dedicati a divinità come quello di Apollo a Delfi.
Strabone, storico e geografo greco, cita nella sua monumentale opera geografica l’Isola d’Ischia e le virtù delle sue sorgenti termali (Geograph. Lib. V).

Se i Greci furono i primi popoli a conoscere i poteri delle acque termali, i Romani le esaltarono come strumento di cura e relax attraverso la realizzazione di Thermae pubbliche ed utilizzarono sicuramente e proficuamente le numerose sorgenti dell’Isola (come dimostrano le tavolette votive rinvenute presso la Sorgente di Nitrodi a Barano d’Ischia, dove sorgeva un tempietto dedicato ad Apollo ed alle Ninfe Nitrodie, custodi delle acque) anche senza fastosi insediamenti;
nell’Isola infatti non sono state rinvenute, come invece a Roma ed in altri centri termali dell’antichità, imponenti vestigia di edifici termali probabilmente per le eruzioni vulcaniche ed i terremoti che frequentemente ne hanno violentemente scosso le balze.
Il declino della potenza di Roma coincise con l’abbandono dell’uso dei balnea anche ad Ischia: non ci sono infatti tracce dell’uso delle acque nel Medioevo.

Di terme e termalismo si riprende attivamente a parlare nel Rinascimento ed un impulso decisivo alla moderna medicina termale venne dato da Giulio Iasolino, un medico calabrese, docente presso l’Università di Napoli, che verso la fine del 1500, affascinato dal clima e dai fenomeni di vulcanismo secondario (fumarole ed acque termali), intuendo le potenzialità terapeutiche del mezzo termale,Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
effettuò un meticoloso censimento delle sorgenti dell’Isola (per la prima volta appare la ricchezza idrogeologica del territorio isolano), ne individuò la composizione delle acque e compì dettagliate osservazione circa gli effetti delle stesse su numerose patologie che affliggevano i suoi contemporanei (nel descrivere la Sorgente del Castiglione, una delle più famose dell’epoca, Iasolino esprime tutto il suo entusiasmoper le acque termali: “Noi ogni dì vediamo operazioni e virtù di quest’acqua così meravigliose e stupende che veramente bisogna credere essere data dal cielo per la salute degli uomini”).

Con la pubblicazione del trattato “De Rimedi Naturali che sono nell’Isola di Pithecusa; hoggi detta Ischia” il Professor Iasolino liberò le acque termali di Ischia da quell’alone magico che fino ad allora ne aveva condizionato l’utilizzo.
Dopo le esperienze di Iasolino, agli inizi del ‘600, considerando che molte guarigioni si ottenevano con l’uso dei bagni termali e che le curead Ischia, abbastanza costose, potevano permettersele solo nobili e ricchi borghesi, un gruppo di nobili filantropi napoletani fece edificare nel comune di Casamicciola il “Pio Monte della Misericordia”, “stabilimento termale (per l’epoca) più grande d’Europa”, per permettere anche a chi non aveva adeguate possibilità economiche di godere delle qualità terapeutiche delle locali acque termali.
Dal ‘600 alla metà del ‘900 vennero costruiti in prossimità delle più rinomate sorgenti termali numerosi stabilimenti e strutture ricettive che fecero dell’Isola d’Ischia una rinomata stazione internazionale di cura e soggiorno dove vennero a curare le malattie del corpo, e non solo, personaggi celebri come Giuseppe Garibaldi, dopo la battaglia di Aspromonte, Camillo Benso conte di Cavour, Arturo Toscanini.
Dagli anni Sessanta, grazie alla lungimiranza ed all’intuito imprenditoriale del cav. Angelo Rizzoli, l’Isola d’Ischia e le sue acque si aprono ai grandi flussi turistici ed una intensa attività scientifica consacra le cure termali al rango di terapie alternative alle terapie farmacologiche per la cura di molte delle affezioni già perfettamente descritte da Iasolino.

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  • Parco

Parco Regionale del Matese

Piedimonte Matese, Campania

Il Parco si articola attorno al massiccio del Matese che con il Monte Miletto, la Gallinola ed il Monte Mutria, arriva a toccare il cielo. Il Matese si estende a cavallo tra Campania e Molise delle quali coinvolge 4 province Caserta e Benevento da un lato, Isernia e Campobasso dall’altro. Congiunge territori tra loro molto diversi, quello calcareo, aspro e splendente, composto da creste e profonde valli, e quello argilloso, dalle forme morbide e sinuose del versante adriatico. Clima continentale ad alta quota e mediterraneo a valle favoriscono l’alto grado di biodiversità del territorio. Peculiarità del parco sono i laghi: il Matese a 1000 metri, il più alto d’Italia, il Gallo e il Letino che vengono usati perlopiù per l’energia elettrica. Le grotte di Lete riservano ai visitatori grandi sorprese: le cascate della galleria superiore e le stalattiti e stalagmiti e le farfalle dagli occhi fosforescenti all’interno delle cavità. Il Parco del Matese è il paradiso degli escursionisti e degli sportivi: mountainbike, trekking, sci d‘erba e alpino, deltaplano, ma anche passeggiate a cavallo e escursioni speleologiche. Interessanti cittadine e borghi storici circondano il parcoche propongono interessanti itinerari culturali e artistici, enogastronomici e di artigianato.
Il Parco Regionale abbraccia i comuni campani di Ailano, Alife, Capriati a Volturno, Castello del Matese, Cerreto Sannita, Cusano Mutri, Faicchio, Fontegreca, Gallo Matese, Gioia Sannitica, Letino, Piedimonte Matese, Pietraroja, Prata Sannita, Raviscanina, San Gregorio Matese, San Lorenzello, San Potito Sannitico, Sant’Angelo d’Alife, Valle Agricola

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  • Festival

Pomigliano Jazz Festival

Pomigliano D'arco, Campania

Il Pomigliano Jazz Festival è una manifestazione musicale jazz che si svolge nel Parco Pubblico “Papa Giovanni Paolo II” nel mese di luglio a Pomigliano d’Arco (NA).

Il Festival è nato nel 1996, ad oggi è uno degli eventi musicali più importanti a livello campano. Vi hanno partecipato nel corso degli anni tanti artisti jazz del panorama italiano e internazionale, dando addirittura vita ad una etichetta discografica, Itinera, e ad una Fondazione, la Fondazione Pomigliano Jazz.

Nel 1996, sin dalla nascita il Pomigliano Jazz Festival si rivelò di altissimo livello grazie anche alla collaborazione con Umbria Jazz e al volontariato dell’associazione Metafore oltre che alla collaborazione dell’amministrazione comunale. Il battesimo dell’evento vide come ospite d’onore Herbie Hancock, alla sua seconda e ultima data in Italia dopo Perugia. Un anno dopo le cinque serate previste diventano consecutive, tre restano a pagamento e altre due totalmente gratuite come era successo anche nella prima stagione. Tra i nomi illustri quello di Roy Hargrove Crisol e Dee Dee Bridgewater. Nel 1998, tutto l’evento diventa gratuito e si decide di dedicare il tutto a George Gershwin. A ravvivare le serate, l’estro di Lester Bowie e i Brass Fantasy. Nella stagione successiva le serate scendono a tre, ma i talenti non mancano di certo.

Nel 2000 il Festival si sdoppia e comincia a prevedere anche una sezione invernale. Da questa edizione l’evento si ubica nella villa comunale di Pomigliano.

Nelle stagioni 2001 e 2002, le serate diventano quattro.

Nel 2003 ritornano al Pomigliano Jazz gli Art Ensemble of Chicago, già presenti in edizioni precedenti. La nona edizione invece, moltiplica gli spazi e dilata i tempi.

Nel 2011 il festival, per la prima volta, si è tenuto a settembre e non a luglio.

L’edizione del 2013 ha invece puntato a ridurre l’impatto ambientale agevolando la raccolta differenziata, il risparmio energetico e l’utilizzo di materiale di riciclo per gli allestimenti

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  • Arti, Saperi e Sapori

La vite maritata aversana

Aversa, Campania

La Regione Campania era denominata dai Romani Campania Felix, riferendosi alle di sicuro alle bellezze paesaggistiche e alla campagna che alla loro epoca erano assai apprezzata. I Romani consideravano la Campania zona prediletta per costruirvi le ville dove trascorrere le vacanze. La Campania è stata senza dubbio uno dei primi e più importanti “centri” di insediamento, di coltivazione, di studio e di diffusione della vite e del vino nel mondo. Non a caso i migliori vini dell’antichità come il Falerno, il Greco, il Faustiniano, il Caleno erano prodotti in Campania.
L’Aglianico, il Fiano, il Greco, la Falanghina, il Per’ e palummo, l’Asprinio, la Biancolella, la Coda di volpe, la Forastera e gli altri vitigni autoctoni coltivati in Campania costituiscono, quindi, la naturale discendenza di questi antichi vitigni denominati come Vitis Hellenica, l’Aminea Gemina, la Vitis Apiana, le Uve Alopeci, l’Aminea Lanata o Minuscola, ecc.
Questi nettari furono cantati, lodati da poeti come Orazio e Virgilio e descritti da naturalisti come Plinio il Vecchio. Oggi un certo degrado ambientale ed un mutamento nelle tendenze colturali hanno ridotto la produzione campana di vini.
Fra le antiche e storiche uve autoctone d’Italia, un posto di rilievo spetta certamente all’Asprinio. La patria indiscussa dell’uva Asprinio è l’agro Aversano – in provincia di Caserta – dove ancora oggi quest’uva viene coltivata con il tradizionale metodo della vite maritata, un sistema di viticoltura tipicamente Etrusco in cui la vite viene fatta arrampicare su alberi ad alto fusto, tipicamente il pioppo. Nonostante il sistema sia oggi in declino, è possibile ammirare ancora – viaggiando per le campagne intorno ad Aversa – il suggestivo spettacolo delle cosiddette alberate Aversane che si stagliano nel cielo anche ad altezze di 15 metri.
La testimonianza più antica della viticoltura risale al VI secolo a.C. Al tempo degli etruschi esisteva una particolare teoria sulla coltivazione delle viti: si usava la vite “maritata” a piante ad alto fusto, potata ed educata come una liana. Successivamente la scuola greca ha introdotto sistemi che allevano che la vite come arbusto sostenuto da un tutore; esempi del primo tipo sono a Caserta l’Asprino, allevato altissimo consociato a pioppi o gelsi oppure i vecchi testucchi di Taurasi, mentre esempi della seconda forma di allevamento sono gli alberelli pugliesi o la moderna spalliera.
In epoca romana, la vite fu “addomesticata” con l’utilizzo di pali e ci fu il ricorso a potature annuali. In questo modo la viticoltura campana raggiunse il massimo splendore.

Si ringrazia per il contributo di dati e di fotografie: Prof. arch. M. Isabella Amirante, arch. Antonella Violano: Dipartimento di Restauro e Costruzione dell’Architettura e dell’Ambiente Seconda Università degli Studi di Napoli

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  • Arti, Saperi e Sapori

La vitivinicoltura del Vesuvio

Sant’ Anastasia, Campania

Le prime testimonianze delle tradizioni enologiche del Vesuvio si rintracciano in Aristotele, il quale racconta che i Tessali impiantarono le viti nella zona Vesuviana sin dal V secolo a.C.
Nel mito, Poseidone ed Efesto tennero a battesimo le prime bacche, Nettuno e Vulcano videro scorrere l’antico nettare dalle pendici del Vesuvio fino al mare.
Le divinità greche e romane del mare e del fuoco protessero i vitigni che affondavano le radici nel cuore di una terra ribollente allungando i loro tralci sulla costa tirrenica.
Due fulcri geologici vulcanici sono l’humus naturale dell’origine, evoluzione e peculiarità della viticultura campana: il complesso vulcanico Monte Somma – Vesuvio e i Campi Flegrei, tutt’oggi ambienti ideali e ricchi di varietà di vigne e di tradizioni culturali.
La superficie vitata si estende dalle prime falde fino all’altitudine di circa 700 m.s.l.m. dell’area vulcanica Monte Somma – Vesuvio.
I terreni godono di una diversa giacitura e possono essere distinti in 2 sottozone: l’Alto Colle Vesuviano (oltre i 200 m s.l.m.) con terreni tutti più o meno in pendio e il Versante Sud-Orientale, i cui terreni sono rivolti verso il mare.
Il Vesuvio è collocato tra il Golfo di Napoli, le impetuose catene dei Monti Lattari e l’Appenino Irpino. Il territorio beneficia dei venti provenienti dal mare che, uniti ai venti dei monti, garantiscono alla vite il microclima ideale per vegetare e produrre uve di straordinaria qualità.

Il suolo, di natura vulcanica e ricco di potassio, è formato in parte da depositi di ricaduta o di flusso ed in parte da depositi vulcanoclastici risedimentati localmente ad opera di acque di scorrimento superficiale.

L’areale di produzione può essere suddiviso in due macroaree:
– Il Vesuvio: l’area vulcanica venutasi a creare con l’eruzione del 79 d.C. con esposizione sul versante SUD, icona e simbolo della Città di Napoli e della Regione Campania. Il suo paesaggio rappresenta la facies terribile del Vulcano, a morfologia irregolare e ancora priva di un reticolo idrografico affermato.La vicinanza al mare e la presenza di un microclima più mite, caratterizzano i vini prodotti su tale versante.
– Il Monte Somma: l’originaria area vulcanica da cui è nato il Vesuvio, zona vitivinicola più antica e primordiale, con esposizione sul versante NORD. Il suo paesaggio rappresenta la facies tranquilla, verde, rigogliosa del Vulcano, con i suoi boschi di latifoglie e castagno, i terrazzamenti eroici che si inerpicano lungo i versanti, fino al limite del bosco, con gli albicoccheti e gli orti arborati lussureggianti e disordinati, che simulano essi stessi un boscogiardino ancestrale. Le forti escursioni termiche e un microclima fresco ed umido caratterizzano i vini prodotti su questo versante.
Tutto il territorio ricade nell’area del Parco Nazionale del Vesuvio, patrimonio di biodiversità.
La vitivinicoltura del Vesuvio ha preservato le sue particolari caratteristiche e i suoi tratti distintivi di antiche origini.
Il Caprettone e il Piedirosso, considerati ormai da diversi anni l’espressione della produzione vitivinicola del territorio, sono coltivati, sui declivi vulcanici, a piede franco, cosi da trasferire a ogni grappolo la tipicità del vitigno e l’impronta vulcanica dei terreni.
Le vigne, infatti, affondano le loro radici nella sabbia vulcanica la cui composizione impedisce alla Fillossera, nefasto parassita, di raggiungere l’apparato radicale della pianta.
L’esposizione dei vigneti, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, i terreni ricchi di declivi naturali, l’influenza della brezza marina che attraversa le vigne costantemente, la calda esposizione e la buona illuminazione, sono tutti fattori che concorrono a determinare un ambiente pedoclimatico particolarmente favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.
Non è difficile imbattersi in vigne centenarie e quelle ormai improduttive sono reimpiantate con l’antico metodo della propaggine, interrando un tralcio di una vite produttiva per far nascere una nuova pianta.
Gli anziani viticoltori hanno tramandato conoscenza e tradizione alle nuove generazioni consentendo così di preservare la biodiversità e la ricchezza ampelografica dell’area.
Le varietà autoctone più diffuse sono:
– Piedirosso;
– Caprettone.
I vitigni minori sono:
– Coda di volpe bianco;
– Aglianico;
– Falanghina;
– Catalanesca

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  • Castello/Fortezza/Rocca/Villa

I Tesori Borbonici: Real Sito di Carditello

San Tammaro, Campania

Il Real Sito di Carditello, situato nella provincia di Caserta, nel cuore della Campania Felix, fu costruito per volere di Ferdinando IV di Borbone nel 1787, nell’area individuata già alla metà del XVIII secolo da Carlo di Borbone e destinata all’allevamento, alla selezione di cavalli di razza reale e alla produzione agricola e casearia. Progettato dall’architetto romano Francesco Collecini, allievo di Luigi Vanvitelli, il Real Sito è composto da una palazzina centrale sormontata da un loggiato e da un belvedere, affiancata da altri edifici di servizio, e da un ampio galoppatoio ellittico, delimitato da due fontane con obelischi e con un tempietto circolare nel mezzo.

Negli anni, il complesso monumentale è passato attraverso vicende alterne e a partire dal 2004, con l’auspicato ‘vincolo’- dapprima limitato al solo edificio monumentale, ampliato poi all’area paesaggistica circostante – è iniziato il rapido processo di rivalorizzazione, sia grazie alla passione dei movimenti civici, che all’impegno del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, che lo ha acquistato nel 2013. A partire da queste premesse è stata costituita, nel febbraio del 2016, dal MiBACT, dalla Regione Campania e dal Comune di San Tammaro, la Fondazione Real Sito di Carditello.

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Le Terme d’Ischia

Casamicciola Terme, Campania

Le acque termali dell’Isola d’Ischia sono ben conosciute ed utilizzate fin dall’antichità.Già i primi coloni Euboici (VIII sec. A. C.), come dimostrano i numerosi reperti archeologici rinvenuti nel sito di Pithecusa e conservati presso il Museo Archeologico di Villa Arbusto a Lacco Ameno, apprezzavano ed usavano le acque delle sorgenti termali dell’Isola.

I Greci infatti utilizzavano le acque termali per ritemprare lo spirito ed il corpo e come rimedio per la guarigione dei postumi di ferite di guerra (in epoca pre-antibiotica!) attribuendo alle acque ed ai vapori che sgorgavano dalla terra poteri soprannaturali; non a caso presso ogni località termale sorgevano templi dedicati a divinità come quello di Apollo a Delfi.
Strabone, storico e geografo greco, cita nella sua monumentale opera geografica l’Isola d’Ischia e le virtù delle sue sorgenti termali (Geograph. Lib. V).

Se i Greci furono i primi popoli a conoscere i poteri delle acque termali, i Romani le esaltarono come strumento di cura e relax attraverso la realizzazione di Thermae pubbliche ed utilizzarono sicuramente e proficuamente le numerose sorgenti dell’Isola (come dimostrano le tavolette votive rinvenute presso la Sorgente di Nitrodi a Barano d’Ischia, dove sorgeva un tempietto dedicato ad Apollo ed alle Ninfe Nitrodie, custodi delle acque) anche senza fastosi insediamenti;
nell’Isola infatti non sono state rinvenute, come invece a Roma ed in altri centri termali dell’antichità, imponenti vestigia di edifici termali probabilmente per le eruzioni vulcaniche ed i terremoti che frequentemente ne hanno violentemente scosso le balze.
Il declino della potenza di Roma coincise con l’abbandono dell’uso dei balnea anche ad Ischia: non ci sono infatti tracce dell’uso delle acque nel Medioevo.

Di terme e termalismo si riprende attivamente a parlare nel Rinascimento ed un impulso decisivo alla moderna medicina termale venne dato da Giulio Iasolino, un medico calabrese, docente presso l’Università di Napoli, che verso la fine del 1500, affascinato dal clima e dai fenomeni di vulcanismo secondario (fumarole ed acque termali), intuendo le potenzialità terapeutiche del mezzo termale,Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
Frontespizio del trattato del professore Giulio Iasolino
effettuò un meticoloso censimento delle sorgenti dell’Isola (per la prima volta appare la ricchezza idrogeologica del territorio isolano), ne individuò la composizione delle acque e compì dettagliate osservazione circa gli effetti delle stesse su numerose patologie che affliggevano i suoi contemporanei (nel descrivere la Sorgente del Castiglione, una delle più famose dell’epoca, Iasolino esprime tutto il suo entusiasmoper le acque termali: “Noi ogni dì vediamo operazioni e virtù di quest’acqua così meravigliose e stupende che veramente bisogna credere essere data dal cielo per la salute degli uomini”).

Con la pubblicazione del trattato “De Rimedi Naturali che sono nell’Isola di Pithecusa; hoggi detta Ischia” il Professor Iasolino liberò le acque termali di Ischia da quell’alone magico che fino ad allora ne aveva condizionato l’utilizzo.
Dopo le esperienze di Iasolino, agli inizi del ‘600, considerando che molte guarigioni si ottenevano con l’uso dei bagni termali e che le curead Ischia, abbastanza costose, potevano permettersele solo nobili e ricchi borghesi, un gruppo di nobili filantropi napoletani fece edificare nel comune di Casamicciola il “Pio Monte della Misericordia”, “stabilimento termale (per l’epoca) più grande d’Europa”, per permettere anche a chi non aveva adeguate possibilità economiche di godere delle qualità terapeutiche delle locali acque termali.
Dal ‘600 alla metà del ‘900 vennero costruiti in prossimità delle più rinomate sorgenti termali numerosi stabilimenti e strutture ricettive che fecero dell’Isola d’Ischia una rinomata stazione internazionale di cura e soggiorno dove vennero a curare le malattie del corpo, e non solo, personaggi celebri come Giuseppe Garibaldi, dopo la battaglia di Aspromonte, Camillo Benso conte di Cavour, Arturo Toscanini.
Dagli anni Sessanta, grazie alla lungimiranza ed all’intuito imprenditoriale del cav. Angelo Rizzoli, l’Isola d’Ischia e le sue acque si aprono ai grandi flussi turistici ed una intensa attività scientifica consacra le cure termali al rango di terapie alternative alle terapie farmacologiche per la cura di molte delle affezioni già perfettamente descritte da Iasolino.

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  • Parco

Parco Regionale del Matese

Piedimonte Matese, Campania

Il Parco si articola attorno al massiccio del Matese che con il Monte Miletto, la Gallinola ed il Monte Mutria, arriva a toccare il cielo. Il Matese si estende a cavallo tra Campania e Molise delle quali coinvolge 4 province Caserta e Benevento da un lato, Isernia e Campobasso dall’altro. Congiunge territori tra loro molto diversi, quello calcareo, aspro e splendente, composto da creste e profonde valli, e quello argilloso, dalle forme morbide e sinuose del versante adriatico. Clima continentale ad alta quota e mediterraneo a valle favoriscono l’alto grado di biodiversità del territorio. Peculiarità del parco sono i laghi: il Matese a 1000 metri, il più alto d’Italia, il Gallo e il Letino che vengono usati perlopiù per l’energia elettrica. Le grotte di Lete riservano ai visitatori grandi sorprese: le cascate della galleria superiore e le stalattiti e stalagmiti e le farfalle dagli occhi fosforescenti all’interno delle cavità. Il Parco del Matese è il paradiso degli escursionisti e degli sportivi: mountainbike, trekking, sci d‘erba e alpino, deltaplano, ma anche passeggiate a cavallo e escursioni speleologiche. Interessanti cittadine e borghi storici circondano il parcoche propongono interessanti itinerari culturali e artistici, enogastronomici e di artigianato.
Il Parco Regionale abbraccia i comuni campani di Ailano, Alife, Capriati a Volturno, Castello del Matese, Cerreto Sannita, Cusano Mutri, Faicchio, Fontegreca, Gallo Matese, Gioia Sannitica, Letino, Piedimonte Matese, Pietraroja, Prata Sannita, Raviscanina, San Gregorio Matese, San Lorenzello, San Potito Sannitico, Sant’Angelo d’Alife, Valle Agricola

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  • Festival

Pomigliano Jazz Festival

Pomigliano D'arco, Campania

Il Pomigliano Jazz Festival è una manifestazione musicale jazz che si svolge nel Parco Pubblico “Papa Giovanni Paolo II” nel mese di luglio a Pomigliano d’Arco (NA).

Il Festival è nato nel 1996, ad oggi è uno degli eventi musicali più importanti a livello campano. Vi hanno partecipato nel corso degli anni tanti artisti jazz del panorama italiano e internazionale, dando addirittura vita ad una etichetta discografica, Itinera, e ad una Fondazione, la Fondazione Pomigliano Jazz.

Nel 1996, sin dalla nascita il Pomigliano Jazz Festival si rivelò di altissimo livello grazie anche alla collaborazione con Umbria Jazz e al volontariato dell’associazione Metafore oltre che alla collaborazione dell’amministrazione comunale. Il battesimo dell’evento vide come ospite d’onore Herbie Hancock, alla sua seconda e ultima data in Italia dopo Perugia. Un anno dopo le cinque serate previste diventano consecutive, tre restano a pagamento e altre due totalmente gratuite come era successo anche nella prima stagione. Tra i nomi illustri quello di Roy Hargrove Crisol e Dee Dee Bridgewater. Nel 1998, tutto l’evento diventa gratuito e si decide di dedicare il tutto a George Gershwin. A ravvivare le serate, l’estro di Lester Bowie e i Brass Fantasy. Nella stagione successiva le serate scendono a tre, ma i talenti non mancano di certo.

Nel 2000 il Festival si sdoppia e comincia a prevedere anche una sezione invernale. Da questa edizione l’evento si ubica nella villa comunale di Pomigliano.

Nelle stagioni 2001 e 2002, le serate diventano quattro.

Nel 2003 ritornano al Pomigliano Jazz gli Art Ensemble of Chicago, già presenti in edizioni precedenti. La nona edizione invece, moltiplica gli spazi e dilata i tempi.

Nel 2011 il festival, per la prima volta, si è tenuto a settembre e non a luglio.

L’edizione del 2013 ha invece puntato a ridurre l’impatto ambientale agevolando la raccolta differenziata, il risparmio energetico e l’utilizzo di materiale di riciclo per gli allestimenti

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La vite maritata aversana

Aversa, Campania

La Regione Campania era denominata dai Romani Campania Felix, riferendosi alle di sicuro alle bellezze paesaggistiche e alla campagna che alla loro epoca erano assai apprezzata. I Romani consideravano la Campania zona prediletta per costruirvi le ville dove trascorrere le vacanze. La Campania è stata senza dubbio uno dei primi e più importanti “centri” di insediamento, di coltivazione, di studio e di diffusione della vite e del vino nel mondo. Non a caso i migliori vini dell’antichità come il Falerno, il Greco, il Faustiniano, il Caleno erano prodotti in Campania.
L’Aglianico, il Fiano, il Greco, la Falanghina, il Per’ e palummo, l’Asprinio, la Biancolella, la Coda di volpe, la Forastera e gli altri vitigni autoctoni coltivati in Campania costituiscono, quindi, la naturale discendenza di questi antichi vitigni denominati come Vitis Hellenica, l’Aminea Gemina, la Vitis Apiana, le Uve Alopeci, l’Aminea Lanata o Minuscola, ecc.
Questi nettari furono cantati, lodati da poeti come Orazio e Virgilio e descritti da naturalisti come Plinio il Vecchio. Oggi un certo degrado ambientale ed un mutamento nelle tendenze colturali hanno ridotto la produzione campana di vini.
Fra le antiche e storiche uve autoctone d’Italia, un posto di rilievo spetta certamente all’Asprinio. La patria indiscussa dell’uva Asprinio è l’agro Aversano – in provincia di Caserta – dove ancora oggi quest’uva viene coltivata con il tradizionale metodo della vite maritata, un sistema di viticoltura tipicamente Etrusco in cui la vite viene fatta arrampicare su alberi ad alto fusto, tipicamente il pioppo. Nonostante il sistema sia oggi in declino, è possibile ammirare ancora – viaggiando per le campagne intorno ad Aversa – il suggestivo spettacolo delle cosiddette alberate Aversane che si stagliano nel cielo anche ad altezze di 15 metri.
La testimonianza più antica della viticoltura risale al VI secolo a.C. Al tempo degli etruschi esisteva una particolare teoria sulla coltivazione delle viti: si usava la vite “maritata” a piante ad alto fusto, potata ed educata come una liana. Successivamente la scuola greca ha introdotto sistemi che allevano che la vite come arbusto sostenuto da un tutore; esempi del primo tipo sono a Caserta l’Asprino, allevato altissimo consociato a pioppi o gelsi oppure i vecchi testucchi di Taurasi, mentre esempi della seconda forma di allevamento sono gli alberelli pugliesi o la moderna spalliera.
In epoca romana, la vite fu “addomesticata” con l’utilizzo di pali e ci fu il ricorso a potature annuali. In questo modo la viticoltura campana raggiunse il massimo splendore.

Si ringrazia per il contributo di dati e di fotografie: Prof. arch. M. Isabella Amirante, arch. Antonella Violano: Dipartimento di Restauro e Costruzione dell’Architettura e dell’Ambiente Seconda Università degli Studi di Napoli

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La vitivinicoltura del Vesuvio

Sant’ Anastasia, Campania

Le prime testimonianze delle tradizioni enologiche del Vesuvio si rintracciano in Aristotele, il quale racconta che i Tessali impiantarono le viti nella zona Vesuviana sin dal V secolo a.C.
Nel mito, Poseidone ed Efesto tennero a battesimo le prime bacche, Nettuno e Vulcano videro scorrere l’antico nettare dalle pendici del Vesuvio fino al mare.
Le divinità greche e romane del mare e del fuoco protessero i vitigni che affondavano le radici nel cuore di una terra ribollente allungando i loro tralci sulla costa tirrenica.
Due fulcri geologici vulcanici sono l’humus naturale dell’origine, evoluzione e peculiarità della viticultura campana: il complesso vulcanico Monte Somma – Vesuvio e i Campi Flegrei, tutt’oggi ambienti ideali e ricchi di varietà di vigne e di tradizioni culturali.
La superficie vitata si estende dalle prime falde fino all’altitudine di circa 700 m.s.l.m. dell’area vulcanica Monte Somma – Vesuvio.
I terreni godono di una diversa giacitura e possono essere distinti in 2 sottozone: l’Alto Colle Vesuviano (oltre i 200 m s.l.m.) con terreni tutti più o meno in pendio e il Versante Sud-Orientale, i cui terreni sono rivolti verso il mare.
Il Vesuvio è collocato tra il Golfo di Napoli, le impetuose catene dei Monti Lattari e l’Appenino Irpino. Il territorio beneficia dei venti provenienti dal mare che, uniti ai venti dei monti, garantiscono alla vite il microclima ideale per vegetare e produrre uve di straordinaria qualità.

Il suolo, di natura vulcanica e ricco di potassio, è formato in parte da depositi di ricaduta o di flusso ed in parte da depositi vulcanoclastici risedimentati localmente ad opera di acque di scorrimento superficiale.

L’areale di produzione può essere suddiviso in due macroaree:
– Il Vesuvio: l’area vulcanica venutasi a creare con l’eruzione del 79 d.C. con esposizione sul versante SUD, icona e simbolo della Città di Napoli e della Regione Campania. Il suo paesaggio rappresenta la facies terribile del Vulcano, a morfologia irregolare e ancora priva di un reticolo idrografico affermato.La vicinanza al mare e la presenza di un microclima più mite, caratterizzano i vini prodotti su tale versante.
– Il Monte Somma: l’originaria area vulcanica da cui è nato il Vesuvio, zona vitivinicola più antica e primordiale, con esposizione sul versante NORD. Il suo paesaggio rappresenta la facies tranquilla, verde, rigogliosa del Vulcano, con i suoi boschi di latifoglie e castagno, i terrazzamenti eroici che si inerpicano lungo i versanti, fino al limite del bosco, con gli albicoccheti e gli orti arborati lussureggianti e disordinati, che simulano essi stessi un boscogiardino ancestrale. Le forti escursioni termiche e un microclima fresco ed umido caratterizzano i vini prodotti su questo versante.
Tutto il territorio ricade nell’area del Parco Nazionale del Vesuvio, patrimonio di biodiversità.
La vitivinicoltura del Vesuvio ha preservato le sue particolari caratteristiche e i suoi tratti distintivi di antiche origini.
Il Caprettone e il Piedirosso, considerati ormai da diversi anni l’espressione della produzione vitivinicola del territorio, sono coltivati, sui declivi vulcanici, a piede franco, cosi da trasferire a ogni grappolo la tipicità del vitigno e l’impronta vulcanica dei terreni.
Le vigne, infatti, affondano le loro radici nella sabbia vulcanica la cui composizione impedisce alla Fillossera, nefasto parassita, di raggiungere l’apparato radicale della pianta.
L’esposizione dei vigneti, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, i terreni ricchi di declivi naturali, l’influenza della brezza marina che attraversa le vigne costantemente, la calda esposizione e la buona illuminazione, sono tutti fattori che concorrono a determinare un ambiente pedoclimatico particolarmente favorevole all’espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.
Non è difficile imbattersi in vigne centenarie e quelle ormai improduttive sono reimpiantate con l’antico metodo della propaggine, interrando un tralcio di una vite produttiva per far nascere una nuova pianta.
Gli anziani viticoltori hanno tramandato conoscenza e tradizione alle nuove generazioni consentendo così di preservare la biodiversità e la ricchezza ampelografica dell’area.
Le varietà autoctone più diffuse sono:
– Piedirosso;
– Caprettone.
I vitigni minori sono:
– Coda di volpe bianco;
– Aglianico;
– Falanghina;
– Catalanesca

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